La suddivisione dei popoli artici della fascia euroasiatica è assai complessa, poiché popoli diversi convivono negli stessi territori, gli insediamenti non hanno mai un’organizzazione unitaria, tanto da potersi definire una nazione e inoltre alcune popolazioni si sono stabilite in più punti della fascia artica. A distanza di pochi chilometri, vivono abitanti i quali ignorano totalmente la lingua dei vicini: questo plurisecolare isolamento non ha consentito quindi alle popolazioni artiche di coalizzarsi per opporsi agli invasori, che conquistarono l’intero territorio siberiano fra il 1583 e il 1642, raggiungendo la costa nordoccidentale del Pacifico. Quello dei Ciukci fu l’ultimo popolo che, grazie al coraggio e alla dedizione alla loro terra, seppe resistere alla dominazione dello zar, difendendo il terreno palmo a palmo e sottraendosi agli scontri diretti grazie a una straordinaria mobilità, dovuta alla maestria nell’uso di cani e slitte.
E’ comunque da riconoscere che, malgrado i metodi brutali di sopraffazione e di sfruttamento delle popolazioni native, i Russi ebbero un merito a fronte di popoli tanto eterogenei: una nuova lingua, quella russa, fu gradualmente usata dai nuovi sudditi, che poterono così intendersi attraverso una nuova lingua comune, così come la lingua inglese ha fornito all’India un mezzo di comunicazione tra le tante etnie che parlavamo mille diversi dialetti.
Vi è infine da ricordare un altro aspetto storico spesso ignorato dai libri: già nel 1600 la Siberia rappresentava una terra di confine e di esilio politico, dove spesso il numero dei deportati superava quello della popolazione locale. Alcuni prigionieri che riuscivano a fuggire, addentrandosi nei territori quasi inesplorati, talvolta trovavano rifugio nei villaggi. I risultati di ricerche, resi noti in epoca post-sovietica, dimostrano che nel lungo periodo di deportazione in Siberia si verificarono migliaia di incroci tra gli esiliati e le popolazioni indigene.
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