"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

venerdì 15 agosto 2008

IL CANNARECCIONE, IL CANTORE STONATO DEL LAGO

Canta stando aggrappato alla parte alta delle canne - foto di RICCARDO AGRETTINon è facile vederlo perché sta nascosto nella vegetazione palustre ma è facile sentirlo cantare: il suo canto non è intonato ma fa parte della colonna sonora delle nostre pagaiate estive sul lago di Garlate. Appartiene all’ordine PASSERIFORMES, famiglia SYLVIIDAE, uccelli di piccole dimensioni ma grandi cantori, tra cui molti frequentatori delle zone umide. Il suo nome scientifico è Acrocephalus arundinaceus.
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tra gli uccelli abitanti del canneto è quello meno timido,  a volte canta da posatoi ben visibiliE’ molto simile come colorazione agli altri acrocefali: bruno-rossastro superiormente e bianco crema nelle parti inferiori, ma si identifica facilmente per la struttura e le dimensioni. Si tratta infatti di un uccello della lunghezza di 19 cm circa e del peso tra i 25 e 30 grammi. Visto a breve distanza, si notano il becco robusto e il sopracciglio chiaro. Il modo migliore per identificarlo è pero il canto, molto più forte di quello degli altri acrocefali, con note rauche e stridenti; anche la sua postura è utile al riconoscimento: è solito infatti cantare posato in vista sulla cima delle canne o di arbusti.
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La sua colorazione è molto mimetica, se allarmato si rifugia all'interno del canneto, dove è quasi impossibile scorgerloE’ il tipico abitatore degli estesi canneti a Canna palustre (Phragmites) che costituiscono i margini dei laghi e dei corsi d’acqua. I maschi, che arrivano per primi, iniziano subito le dispute canore per conquistare partner e territorio, dove la femmina costruirà il nido. La struttura, costituita da materiale vegetale, è ancorata di steli di canna e si trova ad un’altezza tra i 50 e i 150 cm dall’acqua. Durante la migrazione e nei quartieri di svernamento, situati in Africa, per lo più a sud del Sahara, frequenta zone asciutte e lontane dall’acqua. In Italia è nidificante, estivo e migratore e in Lombardia frequenta le zone della pianura fino ai 200 m e la sua distribuzione corrisponde in generale all’ubicazione delle principali zone umide. La sua alimentazione, anche se è prevalentemente insettivora, è arricchita da molluschi, piccoli pesci e anfibi; in autunno si ciba anche di bacche.
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da questo primo piano è evidente il becco robusto e il sopracciglio chiaro

venerdì 8 agosto 2008

IL MARTIN PESCATORE, IL TUFFATORE PROVETTO DEL LAGO

La colorazione del dorso ha sfumature metalliche che cambiano a seconda della luce - foto di PETERAQQuando lo vediamo volare mentre pagaiamo sul lago di Garlate, i colori metallizzati del suo piumaggio ci sorprendono ogni volta. Appartiene all’ordine CORACIIFORMES, famiglia ALCEDINIDAE, abili pescatori che si librano sull’acqua e si tuffano a capofitto per poi riemergere e rioccupare i posatoi. Il Martin pescatore è inconfondibile per la forma e la colorazione. Lunghezza circa 18 cm., peso 30-44 grammi. Le parti superiori sono blu-verdastre con vari riflessi a seconda della rifrazione della luce. Le parti inferiori e le macchie presenti ai fianchi dell’occhio sono castano-arancioni, mentre il mento e le guance sono bianchi. Le corte zampe e i piedi sono rossi negli adulti e bruni nei giovani. Il becco è nero, con la base della mandibola rossastra nel maschio e arancione nella femmina. I giovani sono in generale più opachi.
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sceglie accuratamente i propri posatoi, in genere rami o steli di canne, dai quali osserva la superficie dell'acqua sottostante in attesa di possibili prede, che cattura con acrobatici tuffiNidifica in prossimità di corsi d’acqua di varia portata, zone umide, canali, fossi e cave, situati a quote inferiori ai 500 metri. Necessita di ricchezza di pesci, acque relativamente limpide e pulite, non troppo agitate. Indispensabile la disponibilità di pareti sabbiose o di scarpate, meglio se occultate dalla vegetazione, dove poter scavare il nido; tali zone possono trovarsi anche a qualche centinaio di metri dalle zone di pesca.
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Sagoma, colorazione e modo di volare la rendono inconfondibile anche ad un occhio non espertoIn Italia è migratore a corto e medio raggio, localmente sedentario. In Lombardia è ampiamente presente in pianura e in collina. Le popolazioni che vivono ai margini dell’areale europeo migrano, ma l’area di svernamento non oltrepassa il Mediterraneo. A migrare sono principalmente giovani e femmine; i maschi difendono i territori anche in inverno.

martedì 5 agosto 2008

IL TEMPO PER GLI INUIT

focaGli Inuit avevano una nozione del tempo del tutto diversa dalla nostra: misuravano i viaggi in SINIK (sonni), e facevano riferimento ai movimenti del sole, della luna e alla posizione delle stelle. La stagione di riferimento per situare una data nell’anno è sempre stato l’inverno, e gli anni si contavano in base alle stagioni di caccia. Il tempo era scandito dalle fasi lunari, e i diversi periodi dell’anno erano chiamati in base ai fenomeni naturali o ai cicli della vita degli animali. Così, l’epoca corrispondente a gennaio-febbraio (NALLIQAITUQ) è il “periodo più freddo e bisogna aspettare che passi”; fine febbraio-marzo (AVUNNITI) è “il periodo in cui le foche abortiscono”; a marzo-aprile (NATSIALIUT) “il periodo in cui nascono le piccole foche”; ad aprile-maggio (TIRILLULIUT) è “il periodo in cui nascono le piccole foche barbute”; a maggio-giugno (NURRALIUT) è “il periodo in cui nascono i piccoli caribù”; giugno-luglio (MANNILIUT) è “il tempo in cui gli uccelli depongono le uova” e così via. Nei mesi estivi piccoli gruppi di una o due famiglie si mettevano in viaggio verso luoghi propizi per una caccia e pesca abbondanti. D’inverno, invece, ci si univa in un campo più numeroso, per vivere a stretto contatto durante il periodo più duro dell’anno. Durante le lunghe notti artiche ci si scambiava notizie, si combinavano matrimoni e alleanze, gli anziani raccontavano antiche storie.

caribù

venerdì 1 agosto 2008

IL TEMPORALE

fulmini sopra il monte Moregallo - FOTO DI RICCARDO AGRETTIE’ sempre pericoloso trovarsi sul lago con il nostro kayak in mezzo ad un temporale per via delle forte raffiche di vento, delle onde, dei fulmini e magari anche della grandine! Conviene sempre consultare le previsioni meteo prima di pianificare un’escursione e se proprio il temporale arriva mentre stiamo pagaiando è meglio approdare a riva e aspettare che passi (ma non sotto un albero…). Perché si formi un temporale sono necessari tre fattori principali: umidità, instabilità e correnti ascensionali. Tre sono anche gli stadi evolutivi del fenomeno: sviluppo, maturità, dissipazione. La fase di sviluppo ha luogo quando l’aria calda e umida si solleva nell’atmosfera. Via via che la massa d’aria ascendente si raffredda, avviene la condensazione e la formazione della nube. Se la convezione è abbastanza intensa, il cumulo continua a crescere fino allo stato Congestus (lo stadio successivo dello sviluppo verticale di un cumulo). In presenza di instabilità atmosferica, la nube si sviluppa ulteriormente, alimentata anche dalla liberazione del calore latente di condensazione che mantiene attivi i moti ascendenti. Il cumulo si trasforma così in un Cumulonembo e la sua sommità può raggiungere la Tropopausa (è lo strato di atmosfera che separa la troposfera, in cui avvengono i fenomeni meteorologici, dalla stratosfera, che è stabile. Si trova ad una quota media di 12 km, che varia da circa 8 km ai poli a circa 20 km all'equatore) dove è costretta ad appiattirsi assumendo il caratteristico profilo a incudine. A queste quote la temperatura è di alcune decine di gradi inferiori allo zero e pertanto la nube è quasi completamente formata da cristalli di ghiaccio. Talora, in caso di temporali particolarmente violenti, le correnti ascendenti sfondano anche la tropopausa e debordano nella stratosfera.

temporale a LeccoAlla sommità del cumulonembo l’aria si raffredda e, divenuta più densa, si dirige verso il suolo con forti raffiche discendenti. Il temporale entra nello stato di maturità, la sua fase di maggior potenza distruttiva. La turbolenza generata dalle correnti ascendenti e discendenti crea la separazione di cariche elettriche opposte, causa dei fulmini. Quando la scarica elettrica attraversa l’aria l’intenso calore la dilata improvvisamente creando un’onda acustica: il tuono. Le cariche elettriche libere favoriscono l'intensificazione delle piogge. Un temporale maturo può produrre anche 100 mm di pioggia in un’ora, provocando gravi inondazioni. Le grandi cellule temporalesche sono anche causa di grandinate, di trombe d’aria e di venti distruttori causati dalle correnti discendenti. Proprio il graduale intensificarsi delle correnti freddi discendenti determina l’inizio della fase di senescenza del temporale. Le raffiche fredde provenienti dalla nube si espandono al suolo interrompendo l’alimentazione di aria calda e umida verso la sommità del cumulonembo, che si indebolisce fino a dissiparsi. A seconda del tipo di temporale, questo ciclo può durare da 15 minuti a più ore. I temporali sono più frequenti in primavera e in estate. Quelli convettivi tendono a scoppiare nel tardo pomeriggio, quando il riscaldamento al suolo è massimo. I temporali frontali (associati a un fronte freddo) possono avere luogo in qualsiasi momento della giornata, anche se trovano ulteriore alimentazione nel calore pomeridiano proveniente dal suolo.
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le prime gocce di pioggia del temporale - FOTO DI RICCARDO AGRETTIIl fulmine è il risultato di un accumulo di cariche elettriche di segno opposto che si viene a creare in un cumulonembo. Il meccanismo esatto di formazione non è ancora stato chiarito ma sembra che i cristalli di ghiaccio che nascono alla sommità della nube siano caricati positivamente, mentre le gocce d’acqua che tendono a cadere alla base del cumulonembo siano caricate negativamente. Quando le cariche negative raggiungono quelle positive si stabilisce un'intensa corrente elettrica, il fulmine. La maggior parte dei fulmini avviene all’interno della nube, tra nubi diverse o tra la nube e l’aria, se quest’ultima è sufficientemente carica. Solo un fulmine su quattro colpisce il suolo. La temperatura raggiunta dall’aria percorsa da una scarica elettrica supera i 22000 °C: la brusca dilatazione seguita da una ugualmente rapida contrazione crea un’onda acustica che si manifesta con il tuono. Poiché la luce si propaga molto più rapidamente del suono, noi prima vediamo il lampo poi sentiamo il tuono. Quest’ultimo impiega circa 3 secondi per percorrere un chilometro; si può dunque calcolare facilmente la distanza in chilometri di un temporale contando i secondi che separano la vista del fulmine dal rombo del tuono e dividendo per 3. Di solito il tuono non si avverte oltre una trentina di chilometri.
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temporale in arrivo sul lago di Annone - FOTO DI RICCARDO AGRETTI
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