Piccolo, lungo poco più di 10 cm.. Il maschio ha la testa e la nuca color grigio-chiaro e mascherina nera. La gola è biancastra. Anteriormente il dorso è castano chiaro. Parti inferiori da color grigio a crema. La femmina è simile al maschio ma ha una mascherina più ridotta e generalmente è più bruna. Abita in zone umide d’acqua dolce o salmastra; nidifica sulla vegetazione ripariale arborea in aree di pianura (soprattutto in saliceti entro i 200-300 m di quota). Si nutre prevalentemente di piccoli insetti e, in autunno e inverno, anche di semi.
lunedì 30 novembre 2009
IL PENDOLINO, UN TESSITORE LUNGO IL FIUME
Piccolo, lungo poco più di 10 cm.. Il maschio ha la testa e la nuca color grigio-chiaro e mascherina nera. La gola è biancastra. Anteriormente il dorso è castano chiaro. Parti inferiori da color grigio a crema. La femmina è simile al maschio ma ha una mascherina più ridotta e generalmente è più bruna. Abita in zone umide d’acqua dolce o salmastra; nidifica sulla vegetazione ripariale arborea in aree di pianura (soprattutto in saliceti entro i 200-300 m di quota). Si nutre prevalentemente di piccoli insetti e, in autunno e inverno, anche di semi.
giovedì 26 novembre 2009
GROENLANDIA 2009
Groenlandia 2009.
La bussola verso il Grande Nord: un'attrazione irresistibile. Da Keflavik verso l'Islanda. Poi ad Est, al campo base di Tasilaq. Di Massimo Maggiari, 29 Settembre 2009.
Campo base. Tasilaq. Dopo due ore di spruzzi e salti, entriamo nel fiordo di Tasiilaq sfrecciando tra due scogli che segnano un passaggio d'entrata. Poco più in là i galleggianti di una rete rivelano la presenza umana. E ancora più in là, la pace di un'ampia insenatura ci attende. Vicino sulle riviere brillano mille fazzoletti di neve sparsa, mentre un drappello di iceberg vaga tra i solchi blu delle acque. Mi chiedo: saranno loro i discreti guardiani di questo luogo? Sulla sinistra il rombo di un elicottero ci annuncia il villaggio, le sue case, la sua gente (circa duemila). Intorno, gli edifici lentamente s'affacciano all'occhio come puntini aguzzi di colore rosso e blu che costeggiano varcano, scalano ovunque per quel ramo di costa. Sono leggeri aerei quei profili. Ispirano al cuore l'avventura. Accostiamo. Uno scoglio meno ostile ci fa da punto d'attracco. E finalmente terra quella che tocchiamo. Destinazione sollievo dopo un lungo viaggio. Incontriamo Robert Peroni (www.tuning-greenland.com) presso la "Red House", in cima alla prima collina. Sarà proprio lì, il nostro alloggio, con il nostro pane quotidiano. Si presenta con fare amichevole questo distinto signore, e un sorriso prudente. La sua storia rasenta il mito e ricorda tanto quella di Nansen, l'esploratore norvegese, padrino di Amundsen. Peroni, alpinista noto, e viaggiatore di wilderness negli anni ottanta, e oltre, deciderà di fermarsi lassù in quella terra che attraverserà ben dodici volte per l'Ice Cap. Al punto che farà della Groenlandia casa sua. Abbracciando quel continente di ghiaccio sempre di più, sposando anche una donna Inuit. Negli anni che seguiranno, costruirà pezzo per pezzo la Red House per invogliare visitatori da tutto il mondo ad avventurarsi in quell'angolo perduto di bellezza. Oggi lo chiamano eco-turismo ed è una risorsa economica importante per la gente del posto. Ma questo signore di Bolzano prosegue ben al di là di quella prima vetta. Peroni s'innamora non solo dell'aura magica dei luoghi, ma prende anche a cuore la gente che lì vive stimandone le antiche usanze. Le ragioni sono semplici. Gli Inuit sono da sempre pacifici, laboriosi, vigili all'ambiente. Non ho intervistato l'alpinista con carta e penna, né mi sono guarnito di videocamera a ogni minima occasione. Lo ammetto. Non ne ho avuto il coraggio. Perché mi è bastato essere ospite alla Red House per una settimana guardandomi in giro. Questo ho visto con i miei occhi. Peroni ha creato un saldo ponte col suo mondo di origine. Il Sudtirolo. Le spedizioni e le visite dall'Italia si susseguono senza interruzioni per tutto l'anno. Ma soprattutto ha creato un forte legame con gli abitanti di Tasiilaq. Molte delle persone che lavorano al suo centro sono Inuit. E molte bussano per cercare lavoro, per vendere qualcosa, o per cercare aiuto: praticamente tutti i giorni. Una mattina ho notato impressa la più squisita dolcezza sul volto di due anziane signore del luogo che lo venivano a salutare. Lo rivelo a Peroni che condivide, poi aggiungendo: "Sai quella signora al primo scalino, dall'espressione così amabile, è nata e vissuta in una casa di sassi e terra, in un villaggio sperduto lontano millenni dal nostro mondo..." Mi dico dentro: è quindi proprio vero che sobrietà dei modi e nobiltà d'animo s'accompagnano di pari passo. Un'altra mattina un signore anziano con un magnifico sorriso ha consegnato al signor Peroni delle piccole sagome di legno ritraenti la balena Narwhal. Si sono seduti, si sono parlati, e si sono scambiati le sculture dal lungo unicorno con della valuta. Allungata sul tavolo con massimo rispetto. E un sorriso più pronunciato che diceva all'anziano: quello che tu fai è importante. Ci nutre. Fa parte di noi. È un dono, di cui siamo grati. Di questi tempi, in cui tanto si parla di globalizzazione, scambi e interscambi, non si parla ahimé di buone maniere, e di quanto esse siano cruciali tra persone e mondi lontani. Per farli avvicinare. Ma stiamo attenti. Non sto parlando di formalismi ed etichette da salotto borghese. Sto parlando di un modo di fare che genera reciprocità e fiducia reciproca. Anche tra persone distanti generazioni. Perché antico, ri-vitalizzante e proteso al futuro. Un modo di fare che relaziona la nostra quotidianità al mondo, a tutto il mondo, compresa natura, animali, antenati. Da sempre. Questo ho intravisto in Peroni, un soffio di Sapienza arcaica che benignamente collega vite e luoghi (anche se lontanissimi) alla vita con la ELLE maiuscola. Al suo grande disegno. Quell'Anima mundi che tutti condividiamo e che nutre come l'aria tutta la creazione del pianeta. Pensate se a ogni respiro seguisse un gesto di gratitudine, come cambierebbe la nostra piccola vita. E non pensate sia utopia. Gli indiani Lakota terminano ogni loro cerimonia con una frase-preghiera "Mitakuye Oyasin/To All Relations". Un ringraziamento a tutto quello che sostiene il viaggio delle nostre vite. Consapevolezza profonda che non siamo soli. Neanche agli estremi poli del mondo. Ma siamo un intero universo che respira.
La guida danese. Alla "casa rossa" faccio anche la conoscenza di Olaf. Un danese alto e ben piantato che fa da guida per il mondo agli appassionati di kayak. Il suo gruppo deve arrivare fra tre giorni. A cena condividiamo le nostre storie sull'artico, i suoi protagonisti, e le sue vicende. Parliamo di Amundsen e del Duca delgi Abruzzi. Gli spiego la mia ammirazione sia per il norvegese che per l'aristocratico italiano. E lui mi rivela il personale apprezzamento per Vittorio Sella e le sue splendide foto, specialmente quelle della Georgia e del Caucaso. Ma ci inoltriamo avanti. Nei temi della durezza dell'ambiente artico e della sua sopravvivenza. Olaf ha cacciato con gli Inuit in diverse occasioni e periodi più o meno lunghi. Sostiene di aver osservato tre cose in quella gente così caparbia e diversa da noi. Innanzitutto, che sono creativamente pieni di risorse. Se una slitta si danneggia, o un cane si ferisce, loro trovano sempre una soluzione. E in qualche maniera, la spuntano sempre, anche in una tempesta di neve. In secondo luogo, quanto siano attenti all'ambiente intorno a se stessi. "Se c'è un animale nei paraggi ne avvertono la presenza di gran lunga prima di te". Questo lo posso confermare io stesso perché ho assistito in mare aperto alla cattura di una foca, appena affiorata per un attimo tra due iceberg. Terza cosa, aggiunge, hanno un gran senso dell'umorismo. Che li aiuta anche in mezzo al peggior Piteraq (una specie di bora artica) in cui possono incappare. Peroni racconta di come un visitatore tedesco sia rimasto sospeso a quattro o cinque metri da terra in quel vento, con la moglie che lo guardava terrorizzata. "Gli avevo detto di stare al riparo che era un vento molto forte, non mi ha creduto... È finito sospeso in aria per un bel po'. Il Piteraq può arrivare improvviso in qualsiasi stagione. Si spegne in una decina di ore. E poi tutto ritorna come prima". Credere a ciò che non si conosce a volte può sembrare folle o ingenuo. Ma il non prendere in considerazione la selvatichezza del luogo e del suo tempo può essere in questo contesto l'anticamera di una tragedia, peraltro annunciata. Secondo, il danese Olaf quello è il punto clou dello spirito artico (e qui cita Arctic Dreams di Barry Lopez). Quello che meno ci si aspetta può capitare improvviso in ogni momento. Bisogna quindi avere prontezza, forza d'animo, anche per la peggiore eventualità. La calma di un pomeriggio estivo può risultare a volte finzione, apparenza. Mentre al passaggio di un kayak un iceberg esplode in una sassaiola che getta mille aculei di luce blu.
Per i fiordi. Nei giorni che seguiranno passerò il tempo tra ghiacciai, iceberg e piste scoscese. I sentieri saranno ben diversi da quelli a cui siamo abituati ad altre latitudini. Solo povere tracce su ripidi pendii marcati a lunga distanza da segnali rotondi in pittura blu e gialla. Partirò alla mattina presto dopo colazione con lo zaino e il tamburo a tracolla. A tratti ancora tormentato dalla scomparsa di mio padre. Dopo essermi defilato dal villaggio, sfilerò via il tamburo dalla custodia e riprenderò la marcia al suo ritmo lento e cadenzato. Guarderò le mie mani con un senso di pietà. Per quello che hanno fatto e per quello che hanno omesso di fare. Lo so oramai. Il nostro operare è solo conquista parziale. A ogni mio passo riflettono sempre le ombre del giorno. Ovunque oblique. Sarò una creatura appartata e unica che lentamente avanza nel ventre della montagna. All'andatura s'accompagnerà intermittente il canto. Lontani gli iceberg punteggeranno di bianco il mare, come perle in un immenso arazzo cosmico. Il resto sarà tutto vento, silenzio, passaggio lento ritmico alleante. Progressivo entrare nella totalità del presente. Nella sua fibra più essenziale e profonda. Mi dico: qui in questi luoghi ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita Knud Rassmussen, il grande etnografo danese. O meglio il grande umanista degli Inuit. Quell'anima nobile che ha spiegato e illustrato al resto del mondo, l'artico e la sua gente. Tragicamente morirà per avere mangiato della carne di foca avariata. Qui, proprio qui, sono vissuti anche grandi sciamani come Sanimuinak, Kuuitse (sopravvissuto due volte da un attacco di orso) e lo stesso fiordo fu scoperto da un angakoq che lo riconobbe come luogo ideale per un insediamento umano. E qui ho camminato io per sette lunghe ore. Alternando tamburo e voce. Per arrivare fino alla vetta. Al suo lampo di cresta finale. In quella solitudine comparirà una guizzante ragazza danese. Bionda come il latte, tra gli spuntoni di roccia nero-scura. Così fresca e accesa di vita. Una vera figlia del vento, che perdutasi, aveva ritrovato la via col suono del tamburo. Qui ho capito che quel vecchio mondo di credenze e usanze forse, solo forse, non c'era più. Che gli spiriti del luogo parlavano ora altre lingue. Ma capivo anche che stava a noi il compito di reinventarlo quel passato magico, e farlo in qualche modo rivivere. Sì, farlo ri-vivere, ancora una volta: col suono, la voce, la poesia e il canto. Farlo ri-vivere come un'arte che risveglia senzazioni profonde, che ritualizza i nostri gesti nella verità del bello. Importante sia questo come un comandamento o una missione. Vero transito obbligatorio dell'anima al cuore. Per rilanciare un significato alla vita anche quando ci sfugge. Con un sorriso.
Massimo Maggiari (Genova, 1960) insegna Lingua e Letteratura Italiana all'Università di Charleston, in South Carolina. Lì organizza anche un Festival di poesia italiana. Ha pubblicato raccolte di versi, scritti saggi e recensioni su diverse riviste di italianistica. Nel 2008 ha pubblicato il libro Dalle terre del nord, alla ricerca dell'anima artica (Vivalda editore), nato da una serie di viaggi compiuti intorno al Circolo Polare Artico, dall'Islanda all'Alaska attraverso la Groenlandia e il Canada artico di Nunavut.
lunedì 23 novembre 2009
LA PESCA SUL LARIO TRA PASSATO E PRESENTE (seconda parte)
giovedì 19 novembre 2009
Flaghéé “LE BANDIERE DEL LARIO”
I due assesi utilizzeranno infatti una canoa polinesiana a quattro posti, irribaltabile ed irrovesciabile, progettata da Alessandrini per chi, senza esperienza o affetto da disabilità fisiche, vuole avvicinarsi in piena sicurezza al mondo della canoa. L’equipaggio risalirà lungo le sue sponde raccontando giorno per giorno la loro avventura tra le meraviglie della natura, della storia e della cultura lariana portando con loro il messaggio di unione ed appartenenza simboleggiato dalle oltre 40 bandiere riunite in un’unica ghirlanda.
Al termine del loro viaggio saliranno sul Monte San Primo, la montagna più alta del Triangolo Lariano, e con una piccola cerimonia esporranno ai venti del lago la ghirlanda di bandiere così come hanno fatto in Himalaya. Giovani e anziani, abili e diversamente abili insieme per portare le bandiere della nostra terra attraverso il lago e le nostre montagne, insieme perché i nostri venti, la Breva ed il Tivano, diffondano per il mondo le preghiere lariane.
«In 3 mesi abbiamo percorso oltre 3500km attraverso l’India, oltre 400km a piedi salendo fino a 6000 metri di quota per portare le bandiere di Como quanto più in alto potevamo. Questo è stato il nostro recente viaggio. » - racconta Davide - «Ora giochiamo in casa, abbiamo davanti a noi solo i 160km in canoa del periplo del lago ed i 1600metri del Monte San Primo ma la vera sfida sarà superare le distanze tra la gente e dare voce allo spirito del nostro lago. Sarà un grande viaggio! »
www.cima-asso.it/flaghee/
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lunedì 16 novembre 2009
LA PAGAIA DA MARE
Le pagaie più diffuse tra i kayakers moderni sono quelle a pale incrociate, mentre le tradizionali pagaie groenlandesi sono dritte, cioè hanno le pale disposte sullo stesso piano. Quale tipo scegliere? Noi non abbiamo dubbi: se gli antichi abitatori dei grandi ghiacci avessero voluto dotarsi di pagaie a pale incrociate, lo avrebbero fatto senza problemi. Sono tanti i vantaggi offerti dalle pagaie groenlandesi (minor affaticamento nei lunghi percorsi, ridotto effetto vela in presenza di forte vento da prua, maggior facilità nell’esecuzione degli appoggi istintivi, possibilità di effettuare diverse manovre a pala lunga, etc…) che viene spontaneo chiedersi perché non siano le più diffuse tra i kayakers moderni. Una bella domanda. Forse è solo questione di abitudine.
Una buona pagaia da mare deve possedere alcuni requisiti fondamentali. Innanzitutto deve essere robusta, per ovvi motivi, poi deve essere leggera, per consentire al kayaker di pagaiare per molte ore di seguito. Non troppo, però, dato che deve mantenere una certa inerzia durante la pagaiata in avanti. Il manico deve essere abbastanza rigido, e in tal senso è ideale la fibra di carbonio; l’alluminio è sconsigliato, ottimo anche il legno. Il kayaker deve poter impugnare la pagaia comodamente, e a tal scopo il manico deve essere di sezione leggermente ovale in corrispondenza dei punti di presa, il che aiuta anche a individuare la posizione delle pale rispetto all’impugnatura.
Le pale possono avere superfici piatte, curve o a cucchiaio, con profilo squadrato, curvilineo o asimmetrico. Inutile sottolineare che la configurazione delle pale è un fattore di estrema importanza. Per minimizzare le turbolenze, esse devono immergersi dolcemente in acqua, senza provocare spruzzi. Ogni spruzzo che si produce significa energia che si perde. Le pale più efficienti sono quelle a cucchiaio. Tale conformazione garantisce una maggiore propulsione, ma è troppo marcata e tende a provocare molti spruzzi. Per quanto riguarda il profilo, quello curvilineo – e ancor più quello asimmetrico – consente alla pala di immergersi piuttosto dolcemente.
Con vento al traverso, una pagaia provvista di pale lunghe e sottili è meno soggetta alle raffiche. Questo perché viene immersa con un angolo più acuto, perciò resta con la pala inattiva più bassa sulla superficie dell’acqua. Con vento in poppa, la pagaie groenlandesi beneficiano dell’effetto vela dovuto alla maggior esposizione della pala inattiva, il che favorisce la progressione. Col vento al traverso, invece, questo tipo di pagaia offre una minima resistenza all’aria, a tutto vantaggio della stabilità. Così non è col vento contrario, per quanto sia modesta la resistenza. Occorre aggiungere che l’uso della pagaia groenlandese, eliminando l’esigenza di ruotare il polso della mano attiva, riduce al minimo il rischio di insorgenza di tenosinoviti all’avambraccio.
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giovedì 12 novembre 2009
LIBRI - SOLDI SUDATI
AUTORE: Sala Lucia
EDITORE: New Press
192 pagine, 2008
martedì 10 novembre 2009
II° CINEFORUM INUIT - 2009/10
lunedì 9 novembre 2009
LA CANOA ESPLORA IL MONDO – XXII EDIZIONE
La XXII edizione si terrà Sabato 14 Novembre 2009 alle ore 20:30, al Centro San Fedele in via Hoepli 3/5 a Milano.
ALASKA di Livio Bernasconi
giovedì 5 novembre 2009
LA BANDIERA E LO STEMMA DEL NUNAVUT
Il simbolismo racchiuso nello stemma, invece, è molto più complesso: al centro domina un tondo che rappresenta il cosmo; nella parte inferiore l’inukshuk rappresenta l’amicizia e la qulliq, la lampada di pietra saponaria, la luce ed il calore della famiglia e della comunità; nella parte superiore le cinque sfere dorate rappresentano ognuna le proprietà di dare vita del sole quando, ondeggiando sopra e sotto l’orizzonte, illumina il giorno della nascita del Nunavut; la stella polare al centro rappresenta la saggezza incrollabile degli anziani; più in alto, l’igloo rappresenta la vita tradizionale e significa la “sopravvivenza”, ma simboleggia anche i membri dell’Assemblea legislativa che si riuniscono per il bene del Nunavut, con la corona reale sovrastante che rappresenta il Governo democratico del popolo del Nunavut e l’eguale valore di questo territorio con gli altri territori e province della Confederazione Canadese. I due animali sacri, tuktu (caribù) e qilalugaq tugaalik (narvalo), gli animali della terra e del mare parte dell’ecosistema del Nunavut, costituiscono il nutrimento per gli esseri umani. Nella parte inferiore dello stemma sono rappresentati la terra ed il mare, rispettivamente sulla sinistra sotto gli zoccoli del caribù e sulla destra sotto la coda del narvalo, e sono raffigurate tre importanti specie di flora artica. Il motto, scritto alla base dello stemma, recita “Nunavut Sanginivut”: Nunavut, la nostra forza!
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lunedì 2 novembre 2009
LA PESCA SUL LARIO TRA PASSATO E PRESENTE (prima parte)
Senza dubbio nei secoli scorsi venivano catturati alcuni pesci che oggi sono totalmente scomparsi dalle sue acque. E’ il caso ad esempi di alcune specie migratrici, che potevano risalire il Po attraverso l’Adda, senza trovare il cammino sbarrato dalle dighe che ora interrompono il corso di tutti i nostri fiumi principali. Tra di essi ricordiamo la Cheppia, forma migratrice da cui deriva l’attuale Agone, specie stanziale nel Lario. La Cheppia era probabilmente presente nel Lario da maggio a settembre, mese in cui faceva ritorno al mare dopo essersi riprodotta nelle nostre acque. La più recente segnalazione sulla risalita delle cheppie fino ai grandi laghi subalpini risale alla prima metà del secolo XIX, quando Maurizio Monti ne attestò la presenza nel lago Maggiore.
E’ probabile che anche gli storioni potessero occasionalmente risalire nel Lario. Francesco Ballerini ne testimoniò così la presenza nel vicino Verbano: “L’anno 1609 fu sovente veduto nel lago Maggiore un pesce marino nominato sturione, stimato più di 400 libbre grosse (130 kg.)”.
Le giovani anguille in passato dovevano risalire numerose dall’Adriatico dirette alle profonde acque del lago, dove si accrescevano fina a raggiungere la maturità sessuale per poi ripercorrere il cammino inverso e migrare sino al lontanissimo Mar dei Sargassi per la deposizione delle uova. Già nel 1923, però, come riportato in una tabella sui pesci del Lario redatta in quell’anno da E. Pirola, vennero immesse artificialmente un milione di giovani anguille, a sostegno di una popolazione che, evidentemente, dava i primi segni di declino. Oggi, la presenza delle anguille nel Lario è strettamente connessa con le massicce operazioni di semina che vengono annualmente effettuate, essendo loro preclusa ogni possibilità di risalita naturale dal mare.
Un’altra testimonianza sulla pesca lariana nel passato, che ci dà importanti indicazioni sulla fauna ittica allora presente, è raccolta nell’opera di Maurizio Monti, che nel 1846 descrive i pesci della Diocesi di Como. La trota di lago – scrive il Monti – era “copiosa e di carni gustosissime” e, nel mese di settembre in Alto Lago “si possono prendere più di 90 trote per mattina” mentre nel Lago di Mezzola “si presero colle gueglie in un giorno mille libre di trote (327 kg.)”. Oggi tale valore non è probabilmente raggiunto dal pescato annuale di trote, a testimonianza del declino subito da questa specie in conseguenza del peggioramento della condizioni ambientali del lago e dei suoi principali affluenti. Sempre il Monti ricorda che il Barbo veniva pescato “a cento libbre (33 kg.) e più per volta”, che “l’anno 1841 a Lezzeno e Lenno due pesche montarono per ciascuna a 3000 libbre (980 kg.) di pighi”, che “un pescatore di Carate l’anno 1835 sotto le mura di Como prese in un momento meglio di 200 libre (654 kg.) di alborelle” e che “l’anno 1832 la pesca del luccio rese cento zecchini a quei di Gera” (Monti 1846).