


Alla base di quanto sopra descritto si colloca fondamentalmente uno sproporzionato sviluppo della componente vegetale microscopica, che ha come conseguenza l’aumento dello zooplancton. Quest’ultimo fa da base alimentare per altri organismi, comprese alcune specie ittiche che, quando è in atto un processo di eutrofizzazione, tendono a prendere il sopravvento su altre. Si tratta di pesci che, come la Scardola, sfruttano la propria capacità di vivere in situazioni sfavorevoli, potendo così trarre profitto dalle abbondanti disponibilità alimentari. In questo modo, in un lago in cui la richiesta di ossigeno legata alla demolizione della sostanza organica si fa sempre più grande e pressante e dove quindi questo elemento raggiunge spesso concentrazioni limitatissime, le specie ittiche più sensibili scompaiono, dando ancora più spazio ad animali rustici come la Scardola ed altri ciprinidi, che diventano nettamente dominanti. Allorquando le ultime riserve di ossigeno delle acque lacustri profonde si sono esaurite, ecco che la demolizione sempre più abbondante sostanza organica, non più realizzabile a opera della flora batterica aerobica, viene a essere effettuata da una subentrante flora batterica anaerobica, ossia non necessitante di ossigeno, con produzione finale di composti chimici tossici quali l’ammoniaca e l’idrogeno solforato. Ma un ecosistema lacustre non può sopravvivere al lungo impunemente in un tale stato di compromissione: quasi in un estremo tentativo di sopravvivenza esso reagirà con crisi incontrollabili cercando di liberarsi dall’eccessivo carico vivente che lo opprime. Ecco iniziare allora le morie di pesci, prima i più sensibili poi, via via, gli altri, fino a giungere alla catastrofiche stragi di Scardole più volte ripetutesi in alcuni laghi briantei negli anni passati. Il triste, ripetitivo spettacolo di migliaia di pesci a pancia all’aria è valso a sottolineare, seppur tardivamente, l’irresponsabilità del comportamento umano e al tempo stesso la necessità di dar luogo, finalmente, a risolutivi interventi di risanamento, che allo stato attuale non sono comunque stati ancora compiutamente definiti.
Sia chiaro che non tutti i laghi della zona lariana presentano la drammatica situazione sopra delineata. Il lago di Montorfano e il lago di Al serio ad esempio hanno mantenuto (il primo) e recuperato (il secondo) una più che accettabile qualità delle acque. Lo stesso Lario dà segnali di miglioramento ormai da tempo e consente previsioni molto ottimistiche circa il recupero delle caratteristiche che gli sono naturalmente proprie. Sul lago di Annone, invece, è in atto un piano di risanamento della qualità delle acque. Una visione generale dello stato di salute dei laghi lariani è riportata nella seguente tabella, che confronta per ciascuno di essi la situazione trofica attuale con quella originaria.
La diffusione del kayak in Europa è da attribuirsi ai primi esploratori che agli inizi del Novecento s’inoltrarono nel Grande Nord. La prima descrizione degli skin on frame, i telai rivestiti di pelle, e di una dozzina di diverse manovre di tecnica risale al lontano 1700 e si trova in uno scritto di David Crantz. Alla fine dell’Ottocento Fridtjof Nansen, durante una delle sue memorabili esplorazioni, fu il primo europeo ad entrare in un kayak, dopo che la sua imbarcazione era rimasta intrappolata nei ghiacci. Ma il capostipite del kayak da mare moderno può essere senz’altro considerato Gino Watkins, l’esploratore inglese che nei primi anni trenta del secolo scorso entrò in contatto con la popolazione del fiordo di Ammassalik, dalla quale imparò l’arte di pagaiare. I suoi filmati in bianco e nero rappresentato il punto di partenza della storia del kayak da mare moderno, non più legato indissolubilmente alle genti nordiche, ma utilizzato anche da individui di altre popolazioni.
Arrivando ai nostri giorni, l’evoluzione dei materiali, e in particolare l’uso delle fibre composite, ha rivoluzionato tutto il settore, permettendo la produzione dei kayak da mare anche su larga scala. Questa evoluzione ha riguardato i materiali e i criteri costruttivi (con gli innegabili benefici conseguiti nell’ambito della sicurezza e dell’affidabilità dei mezzi), ma non i disegni e le linee, che sono rimasti pressoché inalterati nel tempo.
La lunghezza di scafo, i ponti rinforzati, le cime passanti sulla coperta, i pozzetti facilmente svuotabili in alto mare, la presenza di gavoni stagni (che significa inaffondabilità del kayak) e le pompe di sentina, sono le caratteristiche principali che al, al momento, differenziano i kayak da mare dagli altri più agili modelli, usati soprattutto in acqua dolce (kayak da velocità o da torrente). Queste caratteristiche lo rendono una vera e propria barca che, con la conoscenza delle giuste tecniche di pagaiata e salvataggio, ci consente di fruire dell’ambiente acquatico (mare e lago) con alti livelli di sicurezza e in piena libertà.
Al termine dell’ultima glaciazione, i geologi ritengono che il lago di Alserio e quello di Pusiano fossero uniti in un unico specchio d’acqua, forse l’Eupili citato da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) tra i principali laghi lombardi. Infatti, indicando gli emissari, il grande naturalista comasco classificava “…l’Adda dal Lario, il Ticino dal Verbano, il Mincio dal Benaco, l’Oglio dal Sebino, il Lambro dall’Eupili, tutti fiumi convergenti al Po…” (Naturalis Historia). Questo unico lago sarebbe poi stato diviso in due bacini dai sedimenti alluvionali portati dal fiume Lambro all’uscita della Valassina.
Dal punto di vista idrografico, i laghi Briantei appartengono a tre bacini fluviali diversi: il Montorfano al bacino del torrente Severo,l’Alserio, il Pusiano e il Segrino a quello del fiume Lambro; l’Annone al bacino dell’Adda.
Il lago di Alserio in cifre.
Altitudine media: 260 m. slm
Superficie: 1,228 kmq.
Perimetro: 5,02 km.
Profondità media: 5,34 m.
Profondità massima: 8,1 m.
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Le foto sono dell’amico Riccardo Agretti e di Eppiluk.
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