"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

mercoledì 30 dicembre 2009

SUA MAESTA’ L’ORSO BIANCO



L’Orso bianco o polare è signore incontrastato della banchisa, suo territorio di caccia. Maestoso e spesso solitario, impone la sua legge, quella del più forte, in questo universo ghiacciato dove non ha nemici né predatori. Questo mammifero, il più grande carnivoro terrestre, può raggiungere i 600 kg (la femmina 400 kg.) e quando si drizza sulla zampe, misura anche tre metri.


Emblematico del Grande Nord, l’Orso polare, il cui nome scientifico è Ursus maritimus, si è perfettamente adattato al clima: la sua calda pelliccia gli fa da cappotto e uno spesso strato di grasso lo ripara dal freddo. Grazie alle sue grosse zampe palmate, è un ottimo nuotatore.


Questo cacciatore passa la maggior parte del tempo a cacciare e a mangiare foche sulla banchisa. Il suo fine olfatto gli permette di fiutarne la presenza in un raggio di dieci chilometri. Allora si apposta e le coglie di sorpresa, uccidendole con una potente unghiata. Quando in estate la banchisa si scioglie, l’orso si rifugia sulle coste, dove non troverà granché da mangiare a parte bacche, alghe e uccelli. In questo periodo dell’anno le femmine scavano tane per dare alla luce i loro cuccioli. Nell’artico vivono ancora circa 25.000 esemplari di Orso polare, presenti soprattutto in Groenlandia e nell’artico canadese.


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lunedì 28 dicembre 2009

L’AMBIENTE LARIANO E LA FAUNA OMEOTERMA (prima parte)

Monte Moregallo
I contrafforti rocciosi delle sponde lacustri ospitano un rapace che in questi ambienti raggiunge densità impensabili, il Nibbio bruno (Milvus migrans). Di dimensioni relativamente grandi (possiede un’apertura alare di 130-150 cm) è riconoscibile in volo per il piumaggio uniformemente scuro e la coda forcuta, caratteristica quest’ultima che permette di distinguerlo dalla Poiana e dal Falco pecchiaiolo.



Nibbio Bruno

La specie nidifica per lo più sulle falesie lacustri, sulle cenge erbose, alla base di cespugli abbarbicati sulle pareti rocciose, ma anche sulla biforcazione di grossi alberi, sia in coppie isolate che in colonie di qualche centinaia di individui.


Città di Lecco

Dopo l’involo dei giovani, osservando da Lecco il Monte Coltiglione o la Grigna Meridionale, se ne possono vedere volteggiare insieme fino a più di 200 individui. Ed è altrettanto comune avvistare alcuni nibbi in volo sopra la città di Lecco o vederli sfiorare il pelo dell’acqua lungo tutto il bacino del Lario. Infatti il Nibbio bruno si nutre soprattutto di pesci, meglio se malati o morenti. Il Nibbio bruno è presente con continuità, quale nidificante, lungo tutta la fascia prealpina mentre risulta quasi assente nel resto del Nord Italia; generalmente “scompare” verso il mese di settembre recandosi a svernare in Africa e riappare nei cieli lariani nel mese di marzo.


Gabbiano reale


I distretti lariani risultano essere luoghi idonei anche per il Gabbiano reale, specie che ha rivelato negli ultimi decenni una netta espansione, probabilmente causata dal parallelo incremento delle risorse alimentari reperibili nelle discariche di rifiuti e nelle colture agricole: dai tradizionali siti di nidificazione, ubicati sulle coste marine e sulle isole, questo grosso laride ha infatti, negli ultimi anni, colonizzato le acque interne. In Lombardia se ne è accertata la presenza fin dal 1979, sul Lago di Garda, ed ora la sua nidificazione avviene costantemente anche su alcune falesie rocciose del Lario.

Monte Coltiglione


Più precisamente il Gabbiano reale nidifica nei pressi di Lecco, vicino a Bellagio e molto probabilmente anche sulle pareti rocciose poste a ridosso del Lago di Mezzola. Piuttosto cospicua è anche la presenza di gabbiani reali svernanti, i quali talora si uniscono ai gruppi di gabbiani comuni soprattutto nei siti di alimentazione.

Lago di Mezzola
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mercoledì 23 dicembre 2009

LA PAGAIATA ALL’INDIETRO


E’ generalmente il colpo più trascurato della tecnica del kayak, eppure riveste un’importanza fondamentale per la buona conduzione dello scafo in acqua. La pagaiata all’indietro viene spesso considerata il negativo del colpo in avanti: essa ha invece una sua precisa identità, e presenta pochissimi somiglianze con la propulsione in avanti. Per descriverla utilizzeremo anche in questo caso la suddivisione del colpo in quattro fasi.


PREPARAZIONE
Partendo dalla posizione base, il busto arretra leggermente effettuando una torsione completa verso il lato di lavoro per caricare l’energia da utilizzare nella fase di potenza. Accompagnando la rotazione, il braccio di lavoro si distende leggermente. Lo sguardo segue il movimento di torsione cercando l’obiettivo da raggiungere.



PRESA
Come per la pagaiata in avanti, anche il colpo indietro richiede una presa solida per una fase di potenza più efficace. Per cercare il punto di forza, il dorso della pala va immerso perpendicolarmente al piano dell’acqua; se viene introdotto in posizione orizzontale, infatti, non può sfruttare interamente la propria superficie, riduce la propulsione e crea un appoggio che in questo caso non è necessario.



POTENZA
Una volta caricata la molla del busto e trovato il punto di presa in acqua, si applica potenza per far arretrare il kayak. Ciò avviene attraverso la rotazione e lo spostamento del busto in avanti: la forza acquisita dalla pala in acqua viene scaricata sullo scafo grazie alla spinta del bacino sul poggiaschiena. In questa fase le braccia accompagnano semplicemente il lavoro del busto, senza esercitare alcuna trazione o spinta.




ESTRAZIONE
La pagaiata indietro sfrutta interamente lo spazio di lavoro compreso tra la poppa e la prua del kayak. Il movimento di estrazione è molto semplice: basta sollevare il braccio di lavoro una volta che si raggiunge l’altezza dei piedi. Per effettuare il colpo successivo, il busto compie nuovamente una torsione verso il lato di lavoro e si ricomincia la progressione.



ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA PAGAIATA ALL’INDIETRO:
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SGUARDO
Anche per la pagaiata all’indietro vale la regola dello sguardo: deve essere fisso sulla direzione in cui vogliamo andare. Nella fase di apprendimento, a ogni colpo è consigliabile ruotare la testa verso il lato di lavoro, in modo da favorire la torsione del busto. Una volta interiorizzato il movimento, le possibilità saranno molteplici: guardare solo da un lato per ridurre i movimenti della testa, fissare la prua del kayak utilizzandola come mirino, oppure guardare avanti e indietro a seconda delle comodità.




VERTICALITA’
La pagaiata all’indietro è prevalentemente un colpo di controllo, quindi non necessità di velocità. Mentre nella propulsione in avanti il tubo della pagaia va tenuto verticale, in questo caso è consigliabile mantenerlo piuttosto orizzontale rispetto al piano dell’acqua, per garantire maggior controllo è più stabilità, soprattutto in presenza di onde.

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lunedì 21 dicembre 2009

LIBRI - NEL BIANCO


In questa nuova prova letteraria Simona Vinci sente e segue il richiamo delle terre estreme del nord e raggiunge, via Islanda, un piccolo villaggio tra le montagne della Groenlandia orientale, Tasiilaq, nel quale trascorre due settimane in compagnia di poco meno di duemila anime quasi tutte inuit. Nel bianco non è solo un diario di viaggio, corredato di molte foto in bianco e nero, che si confronta con tutta la letteratura e l'avventura che riguarda il Polo Nord (molto utile la bibliografia finale nella quale si trovano i viaggi degli esploratori), ma è anche un indagine sull'altro, i nativi inuit, e quindi un indagine che si capovolge su se stessi, sulla nostra civiltà. La solitudine che la scrittrice cerca e trova in quel mondo incontaminato di ghiaccio e neve è quella che la porta a un viaggio interno di crescita, che le permette di cambiare la visione su molte cose. Paradossalmente si cerca il diverso per conoscere i propri simili, si ricerca la solitudine per poi capire, dal grado zero esistenziale, che sta ancora a cuore il destino dell'umanità e la sua convivialità. Gli inuit, i nativi della Groenlandia, sono un popolo completamente sradicato la cui sorte è simile ma meno conosciuta e più recente di quella occorsa ai nativi nordamericani. L'arrivo e le conquiste della modernità hanno comportato per gli inuit solo un alcolismo latente, un aumento esponenziale dei suicidi, sopratutto tra i giovanissimi, e in generale la perdita delle consuete tradizioni e dei poveri ma sufficienti mezzi di sussistenza e sopravvivenza. Una esistenza fatta solo del poco indispensabile è stata scalzata da quella occidentale dominata dall'inutilità dei consumi. Il modello occidentale non si limita all'annullamento culturale, ma persegue la trasformazione irreversibile del paesaggio e della natura: lo scioglimento dei ghiacci è una conseguenza del riscaldamento globale dovuto all'inquinamento che ha dirette conseguenze sullo stile di vita degli abitanti del polo e dell'intero pianeta. Quello che traspare da queste pagine, sopratutto quelle più apocalittiche, è che la nostra civiltà non ha alcuna speranza di progettazione e di immaginazione del futuro perché lo ha compromesso. Vinci mette a confronto, infatti, il collasso e il fallimento dell'aggressiva civiltà d'espansione vikinga, che cercò invano, intorno all'anno mille, di colonizzare l'“isola verde”, la più grande del pianeta che unisce l'Artico all'oceano Atlantico, la Groenlandia appunto, al collasso imminente del nostro stile di vita anti-ecologista e basato sullo spreco delle risorse, senza ipotesi di rinnovo, e il consumo del superfluo. Il pessimismo della scrittrice è di due nature: anti-positivista, contro il progresso e l'agire dell'uomo, e cosmico, fermamente convinto del caos che domina la natura e delle sue conseguenze. Nel bianco arriva a queste conclusioni molto radicali dopo un viaggio e un confronto interno, duro e doloroso, ma è anche un viaggio nel viaggio: un viaggio letterario che ha bene a mente anche le fascinazioni e i motivi del passato per il tema del nord, che è quello del rifiuto della società e dei suoi valori. Il titolo e la copertina con la balena bianca alludono a Moby dick di Melville, citato per la teoria del bianco come colore supremo della paura, ma ci sono molti richiami al Walden di Thoreau, per le riflessioni sulla vita in condizioni limite di sopravvivenza, e a Zanna bianca di London, soprattutto per le escursioni in slitta trainata dai cani. Tra queste evocazioni Vinci inserisce anche un elemento di originalità e riflessione: al termine del viaggio, che coincide con la crescita e con la perdita di qualsiasi speranza nell'avvenire, si arriva a una nuova affezione per il genere umano e una nuova fiducia nella scrittura non salvifica, ma vista come “un ponte lanciato al di là dell'abisso”.
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TITOLO: Nel bianco
AUTORE: Simona Vinci
EDITORE: Rizzoli
2009, 232 pagine, EUR 16,50
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giovedì 17 dicembre 2009

LA CANNAIOLA, LA PICCOLA CANTERINA DEL CANNETO



Il suo canto allieta le nostre pagaiate durante la bella stagione. Appartiene all’ordine Passeriformes, famiglia Sylviidae, uccelli di piccole dimensioni, ma instancabili cantori, dal becco sottile e dalla silhouette delicata. Il suo nome scientifico è Acrocephalus scirpaceus. E’ un piccolo passeriforme della lunghezza di circa 13 cm e del peso di 12 grammi, dal piumaggio insignificante color grigio brunastro sulle parti inferiori, con il sopraccoda più rossiccio; le parti inferiori sono chiare, tendenti al marroncino sul ventre e al bianco sulla gola. Il sopracciglio è appena disegnato e poco visibile. E’ tipica la sua silhouette slanciata, soprattutto per il profilo della testa e per il becco molto sottile. Un elemento diagnostico è il canto, più monotono e uniforme rispetto a quello della Cannaiola verdognola. E’ abbastanza confidente, ma difficilmente si espone fuori dalla fitta vegetazione palustre.



Tipica abitatrice della zone umide paludose, in particolare quelle a canneto con acque poco profonde, ma si insedia anche nelle zone marginali, dove inizia la terraferma, con vegetazione anche ad arbusti e a salici. I maschi giungono nei quartieri di nidificazione almeno una settimana prima delle femmine e qui conquistano il territorio attraverso l’emissione prolungata di canti, specialmente prima dell’alba. La sua alimentazione si basa soprattutto su piccoli antropodi acquatici.



In Italia è ovunque estiva e nidificante, anche se è più scarsa nelle regioni meridionali. In Lombardia è distribuita in modo discontinuo negli ambienti acquatici di pianura. Popolazioni consistenti sono localizzate nei canneti del Lago Superiore di Mantova (80-100 coppie), della palude di Ostiglia (20-30), del Pian di Spagna (15-25). La Cannaiola è così simile alla Cannaiola verdognola che per distinguerle a distanza ravvicinata occorre esaminare la forma delle penne delle ali.

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lunedì 14 dicembre 2009

WISKIE 2009


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Sabato e domenica scorsi si è svolta in Liguria l'edizione 2009 del WISKIE, il raduno di Sottocosta di fine anno. Gli Inuit del Lario, presenti coi loro kayak, le loro pagaie e i loro brindisi, ringraziano di cuore per questa splendida esperienza Luciano e tutti quanti hanno contribuito all'impeccabile organizzazione, Sottocosta per tutto ciò che fa per il kayak da mare, e tutti partecipanti per la simpatita. Speriamo di rivederci presto in acqua!
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LA LINGUA E I DIALETTI INUIT




La lingua non è mai stata intaccata dalle culture esterne ed è tuttora parlata in tutte le comunità. Il numero totale di parlanti è stimato in circa 90.000: di questi, 3.000 in Alaska, 30.000 in Canada, 50.000 in Groenlandia, e altri 7.000 vivono in Danimarca. La lingua è tradizionalmente parlata in tutta l'Artide nordamericana e in qualche misura nella zona subartica, nel Labrador. L'inuit appartiene alla famiglia delle lingueeskimo-aleutine; più che una lingua, si tratta di un continuum linguistico suddiviso in sedici varietà, a loro volta raggruppate in quattro grandi gruppi:
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1) l'inupiaq (in Alaska settentrionale);
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2) l'inuktun (nell'Artide occidentale canadese);
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3) l'inuktitut (nell'Artide orientale canadese); questa lingua è la lingua propria degli Inuit ed è una lingua, al pari delle altre lingueeskimo-aleutine, agglutinante, ossia forma le parole unendo singole parti dall'una e dall'altra secondo una precisa logica sintattica. Il termine agglutinante deriva dal latino gluten, glutinis che appunto vuol dire "colla". Tale lingua è una lingua polisintetica, tende cioè a concentrare intorno ad un nucleo logico-semantico, intere frasi, dando come risultato aparole spesso esageratamente lunghe, per noi. Ad esempio qasuiigsagbigsagsinnitluinagnagpug significa “non siamo riusciti assolutamente a trovare un luogo in cui riposare”. Altra caratteristica della lingua è l'ergatività, termine spesso opposto a quello di "assolutività". Entrambi i termini si riferiscono alla parte nominale del verbo: una lingua è ergativa quando assegna una marca al soggetto del verbo transitivo, mentre è assolutiva quando la marca cade sul soggetto del verbo intransitivo. Lingue ergative sono, oltre all'inuktitut, il basco e il dyrbal. La coppia "ergatività-assolutività" ha ricevuto un'altra interpretazione da parte del generativismo di Noam Chomsky, secondo cui l'ergatività si riferisce non alla parte nominale, ma ai verbi intransitivi che non possono essere mai seguiti da complementi oggetto.
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4) il kalaallisut (in Groenlandia); essa è parlata in Groenlandia ed èstrettamente legata alla lingua Canadese, è anch'essa una lingua polisintetica ed ergativa, caratterizzata dall'assenza di parole composte che lasciano spazio a parole derivate. Il groenlandese ha tre dialetti principali: quello del Nord, dell'ovest e quello orientale; Il dialetto orientale, numericamente il più rappresentativo, è denominato Kalaallisut edè parlato da circa 50.000 persone. Il dialetto nordico, l'Inuktun, parlato intorno alla città di Qaanaaq (Thule) è collegato strettamente a Inuktitut canadese. Due semplici esempi: il nome Inuktitut è tradotto in Kalaallisut, come Inuttut mentre una delle più famose parole Inuktitut, iglu (casa), diventa illu in Kalaallisut. Contrariamente alle lingue canadesi, il Kalaallisut non è scritto con l'alfabeto Inuktitut ma con quello latino. Un carattere speciale, il simbolo Kra fu usato esclusivamente in Kalaallisut fino a che una riforma di ortografia non lo sostituì con la lettera q.

L'alfabeto Inuit .

giovedì 10 dicembre 2009

LA PESCA SUL LARIO TRA PASSATO E PRESENTE (terza parte)



Oggi, anche perché sono finalmente stati applicati alcuni criteri di razionalizzazione della pesca (soprattutto a tutela degli esemplari in età pre-riproduttiva) la situazione è sicuramente migliore e le principali specie ittiche (Coregone, Agone) godono di buona salute. E’, per la verità, anche profondamente mutata la “funzione” della pesca nella società. Da attività legata prima di tutto allo sfruttamento commerciale e alimentare della risorsa-pesce, la pesca tende sempre di più a trasformarsi in una pratica “sportiva”, finalizzata esclusivamente all’occupazione del tempo libero. Per fare un esempio, nel 1994 i possessori di licenza di pesca di categoria A, quella cha abilita all’esercizio della pesca professionale nel Lario con le reti, erano 73, mentre solo cinque anni prima il loro numero superava le cento unità, e agli inizi del secolo scorso, raggiungeva le trecento.



Viceversa, nelle province lariane (Lecco e Como) sono oggi presenti più di ventimila pescatori “sportivi”, che esercitano la pesca non per fini di lucro, ma per semplice diletto. Se il “boom” della pesca sportiva è facilmente spiegabile all’interno dei grandi cambiamenti sociali verificatesi negli ultimi decenni (sempre maggiori risorse vengono destinate al riposo e al divertimento), il declino della pesca professionale ha probabilmente radici più sottili e complesse. Nel determinare una tale tendenza non sembrano infatti prevalere fattori strettamente e direttamente economici, dal momento che la pesca di mestiere garantisce ancora guadagni per lo meno non sensibilmente inferiori al recente passato. Più verosimilmente la pesca è oggi rifiutata dai giovani – come scelta professionale – perché ritenuta di “basso profilo sociale”. Restando così le cose, è facile prevedere che la figura del pescatore di mestiere è destinata a scomparire dal Lario, determinando così una situazione di “sottosfruttamento” delle risorse ittiche lariane e la scomparsa di una cultura e di una tradizione che hanno radici antichissime nelle comunità rivierasche.

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lunedì 7 dicembre 2009

IL GIUBBOTTO SALVAGENTE


E’ obbligatorio averlo sempre indosso (può salvare la vita). Deve avere la cerniera anteriore in plastica e un sistema di adattamento a cinghia per fissarlo in vita. Inoltre deve essere avvolgente, di colore vivace magari con inserti catarifrangenti, munito di tasche davanti e dietro per riporvi del materiale e avere un galleggiamento di almeno 6 kg (un uomo adulto, immerso in acqua, pesa mediamente 4 kg). I modelli omologati assicurano generalmente 10-12 kg di spinta. Il materiale di galleggiamento deve essere costituito da schiuma espansa a cellule chiuse. Il salvagente deve essere sufficientemente abbondante da non causare fastidio alle ascelle durante la pagaiata, ma non tanto da scivolare sul visto quando ci si immerge in acqua.



E’ utile per la sicurezza portare sempre con sé, magari legandoli con un cordino al salvagente e riponendoli nelle tasche dello stesso, i seguenti oggetti:

- Il fischietto (può essere utile in caso di emergenza e dobbiamo attirare l’attenzione di qualcuno).
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- La luce stroboscopia (si tratta di una torcia stagna che lampeggia a intervalli di circa un secondo. E’ un segnale di pericolo. Serve a evitare collisioni in mare o a facilitare l’individuazione della propria imbarcazione ai mezzi di salvataggio, soprattutto a quelli aerei. La luce stroboscopia deve essere usata solo in caso di emergenza. Si può legare a una spallina del salvagente, in monda da renderci immediatamente visibili in caso di naufragio).
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- Il tappanaso (l’uso del tappanaso si rivela insostituibile quando occorre rientrare nel kayak capovolto, per poi eseguire un eskimo).
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- Il legapagaia (consiste in un pezzo di elastico o anche di sagola – lungo circa 60 cm, che serve ad assicurare la pagaia al salvagente o al polso per evitare di perderla durante le giornate di vento o in caso di uscita bagnata).
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- Il coltellino da kayak (con lama e punta arrotondata, utile per tagliare cime e corde soprattutto in caso di emergenza).



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giovedì 3 dicembre 2009

LIBRI – GROENLANDIA IN SLITTA, PER MARE, PER ARIA.


Cristalli diafano - azzurri, freddo intenso, latrati e sottili crepitii rappresentano il suono-colore della Groenlandia in primavera. La sinergia tra immagini e testo di questo diario fotografico di viaggio evoca una “geografia psichica”, frutto diretto del modo con il quale immancabilmente interpretiamo il paesaggio naturale ed umano che ci circonda. Mentre i freddi refoli insediano incessantemente le barriere termiche dell’equipaggiamento tecnico, viene immancabilmente da pensare che il chiamare questa gigantesca isola Grønland (Terra Verde) sia stata una delle prime spregiudicate operazioni di marketing territoriale che la storia occidentale abbia conosciuto. Puoi girare in lungo ed in largo Kalaallit Nunaat – questo l’originale nome inuit, che significa pressappoco Terra dei Popoli – e ti sarà difficile trovare un solo albero (anche se vi è chi vocifera dell’esistenza di alcune specie “nane”, di cui però neppure molti tra gli abitanti sembrano essere a conoscenza). Nei pochi mesi di disgelo la stretta fascia costiera si riempie – è vero – di erba, fiori ed arbusti, ma anche di migliaia e migliaia di zanzare. Forse solo il sogno di una energica spinta alla colonizzazione ha spinto Erik il Rosso, condottiero e navigatore normanno, a coniare il nome vichingo che ha reso nota universalmente l’isola a partire dalla fine del X secolo. Si potrebbe ipotizzare che l’estro del navigatore fosse supportato anche dal fatto che si trovò costretto a fuggire dall’Islanda in seguito all’accusa di omicidio, non a caso ritirata per benevolenza dei giudici quando, poco dopo il suo rientro, Erik organizza una flotta di venticinque navi che ospitano circa 1500 persone invaghite dal grande sogno di costruire fattorie sulla nuova “verde landa”.
Ma forse è proprio tutto quel bianco che stimola la fantasia, di cui danno prova anche numerosi tra i nomi e gli epiteti che gli inuit hanno scelto per descrivere il loro territorio: è come se circoscrivendolo e nominandolo in qualche misura dominassimo il senso di smarrimento che esso genera almeno in chi ne viene a contatto la prima volta.
Con la sua reflex digitale l’autore ha tentato una operazione analoga: incorniciare e circoscrivere nell’esiguo spazio dell’obiettivo un territorio vasto ma non poi così uniforme, quasi si trattasse di un rito sciamanico per allontanare il senso di candida alterità od il disagio del freddo intenso.
I risultati di questo sforzo di appropriazione, intriso di scoperta, conoscenza e ricerca introspettiva, e di questa naturale e istintiva rappresentazione, compongono questo libro, testimone del fascino e dell’emozione esercitati sul viaggiatore che incontra la natura forte e ancora primitiva di questa terra.
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TITOLO: Groenlandia - in slitta, per mare, per aria.
AUTORE: Fabrizio Pecori
EDITORE Cartman Edizioni
27, 50 EUR - Pagg. 120 – anno 2005




Cartman Edizioni partecipa al progetto Impatto Zero® di LifeGate. Le emissioni di anidride carbonica prodotte per la realizzazione di questo volume sono state compensate con la riforestazione di un’area boschiva in crescita in Costa Rica.
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