"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 25 marzo 2013

QUANTO MANGIA IL CORMORANO?



Attorno agli anni ’60 del secolo scorso era quasi scomparso dall’areale europeo: Germania, Olanda, Danimarca e Svezia ospitavano le poche migliaia di coppie della popolazione residua. In seguito a numerose leggi di tutela e alle maggiori possibilità di alimentazione venutesi a creare negli ultimi decenni, oggi il Cormorano è uno degli uccelli maggiormente in espansione e registra un netto incremento in quasi tutte le nazioni europee: l’ultimo censimento delle coppie nidificanti nel continente ha registrato 200.000 – 250.000 coppie. In Italia, sono in netto aumento i nidificanti e soprattutto gli svernanti: più di 60.000 nel 2000, quasi il doppio rispetto a cinque anni prima, secondo i dati dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Troppi uccelli, per gli acerrimi nemici della specie: pescatori e piscicoltori. 




Da sempre, infatti i pescatori non guardano di buon occhio i cormorani, ritenuti responsabili di una diminuzione più o meno marcata di alcune specie di pesci economicamente importanti. Anche i piscicoltori lamentano saccheggi ai loro allevamenti: i cormorani si cibano pressoché esclusivamente di pesci, e il loro aumento in tutta l’Europa ha portato molti a credere che la scomparsa di certi contingenti ittici sia dovuta alla massiccia presenza degli uccelli piuttosto che ad altri fattori di tipo ambientale. 



Quanto c’è di vero in queste supposizioni, che spesso hanno portato anche a opinabili delibere e ordinanze per cacciare la specie? Gli studi scientifici, attraverso l’analisi del contenuto stomacale e dei boli alimentari, contenenti i resti indigeriti delle prede, hanno definito in molte occasioni la dieta della specie in modo quali-quantitativo. I risultati di tali indagini hanno dimostrato che l’alimentazione del Cormorano varia fortemente da zona a zona, ma che in solo in alcune delle aree considerate le prede prevalenti appartengono a specie oggetto di allevamento e di pesca sportiva: nella Laguna di Venezia e nell’area di Oristano, due dei siti dove svernano più cormorani, i gobidi rappresentano più della metà della prede; nel Delta del Po solo il Latterino costituisce i tre quarti delle prede; in Piemonte è il Cavedano la specie più utilizzata. Almeno nelle lagune, gli unici pesci di interesse economico che sembrano comparire nella dieta in una certa quantità sono i mugilidi ed in minor misura il Branzino. Un impatto fortemente negativo nei confronti della pesca e dell’itticoltura è stato riscontrato finora solo in condizioni artificiali con elevata densità di pesci, quali impianti di piscicoltura intensiva o bacini di stoccaggio e di svernamento. 



lunedì 18 marzo 2013

I POPOLI DEI GHIACCI DEL GRANDE NORD (26)


E’ un dato di fatto che le città che in questo secolo si sono sviluppate nell’area artica sono poste alle foci dei fiumi principali o poco distanti da esse: Selekhard alla foce dell’Ob, Dudinka, Norilsk e Dikson alla foce dello Jenisej, Nordvik alla foce del Khatanga e Tiksi alla foce della Lena. Anadyr si trova invece sulla costa del Pacifico, alla foce del fiume omonimo. In tutte queste città la popolazione è rappresentata per il 50% da russi e per l’altro 50% da elementi nativi. 



Mentre i centri urbani con qualche migliaio o decina di migliaia di abitanti, presentano i segni tipici dell’urbanistica sovietica, caratterizzata da grandi edifici di 2-3 piani a forma allungata, molto simili a caserme, nelle piccole comunità sono ancora in uso la Jaranda e la Jurta, costruzioni tradizionali di forma circolare, costituite da un elaborato telaio di rami flessibili intrecciati ricoperto di pelli di renna cucite e sovrapposte; queste tende sono utilizzate in estate dagli allevatori nomadi i quali, sebbene posseggano un’abitazione stabile in legno nella fascia delle foreste, necessitano di un riparo mobile durante gli spostamenti estivi. 





Il grande patrimonio zoologico rappresenta un insostituibile valore materiale e strategico, che fornisce a molti popoli tutto ciò di cui necessitano per il proprio sostentamento. Il movimento delle mandrie più numerose viene facilmente controllato oggi con elicotteri e piccoli aeroplani; è stato inoltre introdotto un efficiente servizio veterinario. Accanto all’allevamento della renna, si è diffuso quello della volpe artica del visone, soprattutto nella penisola dei Ciukci, dove il mangime necessario per questa attività è costituito quasi completamente da animali marini. 



lunedì 11 marzo 2013

LA PALUDE DI BRIVIO: FLORA E FAUNA


La Palude di Brivio si presta a chi volesse dedicarvi alcune giornate per una esplorazione naturalistica. In particolare della flora e della fauna che in essa risiedono, vivono e si riproducono. Per questo scopo di osservazione sono stati realizzati dei percorsi su passerelle in legno ciclo-pedonabili (attenzione alle forature sui rovi). 



Le passerelle sono rialzate alcuni metri sopra il livello della palude e convergono ad una costruzione, sempre in legno in cui è stato realizzato un Osservatorio Ornitologico. Da tale osservatorio, con un po' di pazienza e un binocolo, è possibile guardare la natura presente in palude e scattare bellissime foto. Se siete però fortunati vi capiterà di vedere la Biscia dal Collare (Natrix natrix) e più facilmente l'Airone Cenerino. 



La Biscia dal Collare è un serpente distinguibile per la striscia bianca alla base della testa . Questo rettile, non velenoso, vive principalmente in ambiente acquatico e si ciba in prevalenza di rane e piccoli pesci. Si riproduce nella prima metà di aprile. L'Airone Cenerino si è insediato stabilmente in palude costruendo una Garzaia (luogo in cui nidificano collettivamente gli Aironi) in una zona della palude occupata da salici e pioppi. 



Molto diffuse sono le Ninfee Bianche dai caratteristici fiori galleggianti e con ampie foglie tondeggianti. Sarà facile osservare la parte superiore delle foglie ricoperta da una patina di sostanze cerose che le rende impermeabili. 



Diffusi sono i boschi di Ontano Nero, pianta idrofila che può raggiungere i 10 metri di altezza ed è tipica delle zone acquitrinose e dei corsi d'acqua. La sua presenza contribuisce al mantenimento e alla stabilità delle rive dei corsi d'acqua. Dalla sua corteccia si estraggono dei componenti utilizzati per la produzione di liquori e amari. 



Per osservare bene ed attraversare la palude non vi è modo migliore che unirsi ai canoisti del CK90 (dopo aver fatto il corso base) i quali due volte all'anno (Pasquetta e Settembre) scendono lungo il fiume Adda fino ad Imbersago. La partenza è dalla sede nautica di Vercurago; la Palude di Brivio viene attraversata lungo un canale che separa l'Isola della Torre da quella del Serraglio, immersi in uno scenario naturalistico unico dominato dalla Rocca di Airuno. 



Testo del Luis (Inuit del Lario)

lunedì 4 marzo 2013

LA CURA DELL’ATTREZZATURA



Una regola fondamentale per ogni canoista dovrebbe essere l’avere cura della propria attrezzatura tecnica, per mantenerla sempre in buona stato ed efficiente. Per mantenere in buoni condizioni il proprio kayak bastano pochi semplici accorgimenti. E’ molto importante che l’interno dello scafo (e specialmente il pozzetto) rimanga pulito, bisogna quindi fare attenzione che, entrando nel kayak, non vi si introducano fango, sassolini o sabbia che danneggiano il materiale del kayak. Dopo ogni utilizzo, il kayak va pulito all’interno in modo da eliminare completamente tutto lo sporco che abbiamo portato nel pozzetto ad ogni imbarco. Lo scafo può essere semplicemente pulito con acqua e magari con sapone neutro. Inoltre i tappi dei gavoni vanno sempre sciacquati con acqua dolce in quando il sale rovina e distrugge la gomma di cui sono fatti. 




E’ buona regola non trascinare il kayak sul terreno, soprattutto se roccioso; controllare che la bulloneria non sia arrugginita; controllare che le maniglie e le cime tientibene siano in perfette condizioni; verificare che il meccanismo di timone e deriva funzioni perfettamente; verificare la tenuta stagna dei gavoni. 





Anche l’abbigliamento tecnico ha bisogno di cura e manutenzione. Regola fondamentale è quella di sciacquare o lavare gli indumenti (muta, scarpette, paraspruzzi, giacca d’acqua, salvagente..) con acqua dolce dopo ogni utilizzo specialmente se abbiamo pagaiato in mare (il sale è molto dannoso se non viene rimosso subito). Bisogna poi farli asciugare evitando l’esposizione diretta a i raggi solari o a fonti di calore troppo intenso. Il materiale va risposto solo dopo una completa asciugatura e mai lasciato per lungo tempo in ambienti umidi o chiuso in borse che non consentono l’areazione.


Alcuni tessuti usati per l’abbigliamento tecnico da kayak si rovinano seriamente se lasciati piegati: la soluzione ideale consiste nell’appendere il guardaroba canoistico in un armadio. Affinché rimangano morbide, le eventuali parti in lattice della giacca d’acqua stagna vanno lubrificate con liquidi o spray al silicone: la rottura infatti si verifica quando questo materiale perde la sua elasticità. Le parti in velcro devono rimanere sempre pulite, con le due strisce corrispondenti sovrapposte, in modo che il maschio non si attacchi ad altri indumenti, danneggiandoli. I capi in neoprene vanno controllati regolarmente per intervenire con la colla specifica in caso di abrasioni e tagli. Particolare attenzione va rivolta al corda da lancio e alla cima di traino, che devono essere controllate regolarmente per intervenire con tempestività. Dopo ogni utilizzo vanno lavate con acqua, per eliminare il sale ed eventuali residui di sabbia e terra, e fatte asciugare fuori dal sacchetto, ma protette dai raggi diretti del sole.