"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

domenica 13 settembre 2020

"CK90KM"

 Descrivere la prova appena portata a termine non è facile.


Limitarsi ad un mero resoconto, una cronaca; temo non basti.

Ora, cercherò di dare la descrizione dettagliata di tutte le emozioni provate, l’armonia coi compagni d’avventura e come, un’iniziativa di questo genere, porti a conoscere e stimare le persone con le quali è stata condivisa.



Quattro figure bizzarramente vestite s’avvicinavano alla riva del lago, quattro persone che con determinazione stavano per affrontare un’avventura tutt’altro che scontata; coi loro kayak avrebbero percorso novanta chilometri con pochissime soste tecniche.
Per chi è solito usare mezzi di trasporto a motore, novanta chilometri sono una bazzecola, ma percorrere quel tragitto a bordo di un kayak spinto dalle tue sole forze, è cosa ben differente.

Partiamo dall’inizio.

Il famigerato corrente anno duemilaventi!

La nostra società sportiva dilettantistica, “Canoa Kajak 90”, compie trentanni dalla sua costituzione e per celebrare questo importante anniversario, già dallo scorso anno si cominciò ad organizzare delle iniziative d’intrattenimento che coinvolgessero tutti i soci.
Così come le ciambelle non sempre riescono col buco, per colpa e del COVID 19, non s’è potuto fare nulla.
Dopo la lunga e stressante clausura, le cose, pareva si orientassero verso la normalità e con il rigoroso rispetto delle regole, si ricominciò a praticare l’amata attività canoistica.
In una di quelle sere, dove ci si trova tra amici e si discute delle attività sociali, Felice se ne esce con una proposta, poche parole che a noi parvero note musicali «Perché non facciamo la “CK90KM”?».

Subito in noi sorse l’idea di sfida, di avventura e  di impresa, il tutto, subito dopo, soffocato da quel senso di auto conservazione che ti spinge a replicare con «No! E’ una pazzia! Novanta chilometri; partenza notturna, poche soste, le condizioni climatiche che in un percorso così lungo potrebbero cambiare da un momento all’altro, la Breva, il Tivano e per non parlare della pioggia e dei natanti a motore».
Nonostante tutte le obiezioni, l’ideatore dell’iniziativa, affermò: «Io la faccio! Chi vuole si aggreghi!».

Come un piatto quando cade sul pavimento del ristorante, questa frase causò un gelido silenzio tra gli astanti. Io stesso cominciai a soppesare i pro (pochi) e i contro (tanti) e conclusi che sarebbe stato corretto adottare una politica rinunciataria in funzione di una conservazione del benessere fisico.
Solo pochi giorni dopo, sul gruppo WhatsApp degli Inuit del Lario, Felice propagandò l’iniziativa e coinvolse tutti i soci sperando che qualcuno aderisse.
Da quel giorno cominciai ad avere pareri contrastanti, come se sulla spalla destra un Vittorio con tanto di aureola, ali e candida veste mi esortasse a rinunciare e sulla spalla sinistra un altro Vittorio con corna, forcone e coda a punta mi spingesse a partecipare all’impresa.
Dopo aver trascorso ore a far da mediatore tra le due parti comodamente assise sulle mie spalle, due giorni prima della data prescelta scelsi il compromesso.
Per non recar torto a nessuno dei due bizzarri esseri che albergavano sulle mie spalle, avrei partecipato; ma con spirito di sacrificio perché non me la sentivo di mandare da sole all’avventura persone a me tanto care.

Il 19 agosto, Roberta Mandelli, Enzo Villa e Paolo Chiavenna partono per la stessa avventura e in due giorni percorrono i 90 Km con esito positivo e questo fu sicuramente di buon auspicio e quindi mi sentii ancor più motivato.


Il 20 agosto, alla vigilia della nostra impresa, ho fatto i preparativi.
Giacca d’acqua, quattro pacchetti di cracker, della frutta, capellino, occhiali da sole, tre costumi, tre magliette, pila frontale e sei bottigliette d’acqua.
Alle 23:30 dello stesso giorno, ritrovo alla sede Canneto di Vercurago, Felice Farina, Pietro de Angelis, Luca Martino e ovviamente io. 
Riempiti i gavoni dei kayak e vestiti i panni necessari ad affrontare l’avventura, ci siamo diretti alla partenza.



Quattro ombre si profilarono nella tenebra e avvicinatisi alla riva, in religioso silenzio, immersero le prue dei loro kayak nello specchio immacolato dell’acqua del lago di Garlate.

Il solo sciabordio delle pagaie a turbare il silenzio e ad increspare la superficie liscia del lago.
Tutto filò liscio fino al Ponte Azzone Visconti, dove, dopo aver ricompattato il piccolo gruppo, si affrontarono le correnti sotto le arcate.



Da li in poi, la navigazione fu spedita e dopo il rituale saluto alla statua dorata del San Nicolò a Lecco, continuammo mantenendo una buona media oraria fino ad Abbadia Lariana dove incontrammo uno dei tanti figli di Eolo che dall’alba dei tempi soffia da nord verso sud sul nostro amato lago. Il Tivano.
Le onde, che a dire il vero non erano troppo impegnative e le raffiche ci costrinsero, comunque, ad abbassare leggermente la media ma rendendo la pagaiata più divertente e fresca.

La prima breve sosta appena passato l’abitato di Mandello del Lario, poi subito in kayak e via sempre accompagnati dal Tivano e dalla tenebra appena rischiarata dal lucore stellare.
Il tratto di lago percorso da Mandello verso Piona, è caratterizzato da coste rocciose e frastagliate a picco nell’acqua. 
La sensazione che si prova in quel tragitto nel buio, è quella di essere trasportati a tempi arcaici, quando la presenza umana non era ancora apparsa sulla terra.
Quando capita di udire il rombo di un motore o vedere un fascio di luce forare la tenebra, si prova un fastidio fisico, come di repulsione per quell’episodio che manda in frantumi l’incanto che la mente ha creato riportandoci al presente.
Il gruppo dei quattro raminghi, che infilati nei loro gusci affrontano l’onda e la tenebra, continuò in tranquillità; a volte capitava che ci si avvicinasse ad un compagno e si imbastisse un discorso che distraesse un poco dalla concentrazione del pagaiare; poche parole, magari semplici battute goliardiche che consentono a rafforzare lo spirito cameratesco che nasce tra i partecipanti alle imprese così bizzarre.

A Varenna la seconda breve sosta, giusto il tempo per sgranchire le gambe.



Lasciata la bellissima Varenna ancora alla luce delle stelle, il nostro procedere continuò tranquillo e indisturbato; fino a quel punto del nostro percorso fummo i soli a solcare quelle acque, non un motoscafo, non un battello, insomma, nessuno tranne noi e già a quel punto l’impresa era più che valsa a giustificare lo sforzo.
Poco prima di Dervio, la tenebra cominciò a farsi meno fitta e le prime luci dell’alba andavano a scansare dagli anfratti montani il buio che ivi aveva albergato durante la notte.

Con la luce, arrivò anche una ventata di benessere, come essere usciti da un lunghissimo tunnel che, pur avendoci fatto provare tante emozioni, ci aveva comunque; e credo sia normale, scorato un po’; si cominciarono a delineare i paesi con le loro case e costruzioni, in particolare Corenno Plinio, col suo castello che domina il lago.



Con la luce arrivarono anche le rimostranze dello stomaco che a gran voce reclamava il suo dovuto. Così, a Dervio ci fermammo e come pirati andammo all’arrembaggio del primo bar aperto per consumare una lauta colazione.



Seppur considerato poco il tempo trascorso coi piedi a terra, lasciammo Dervio alla volta della meta che ci avrebbe condotto a metà del tragitto completo. Piona.
Sempre accompagnati dalla fresca carezza del Tivano, abbiamo percorso quel tratto alla luce mattutina; le coste del lago si presentano ancora a picco sulle acque, questa volta non rocciose ma coperte da una fitta vegetazione di piante e arbusti. Solo se si alzava lo sguardo capitava di vedere delle costruzioni accoccolate sulle sommità delle coste del lago.
Dopo aver passato il pontile d’attracco dell’abazia di Piona, cominciammo ad incontrare i natanti a motore e fu una liberazione dai loro gas di scarico approdare nella piccola baia di Piona.


Metà del percorso era stato coperto in circa nove ore e ci siamo concessi una sosta di circa un’ora dove abbiamo colto l’occasione per berci un caffè, farci un bagno ristoratore e fare il cambio degli indumenti indossati con altri asciutti.
Alle 10:00, partimmo alla volta di Gravedona, sulla riva opposta del ramo del lago. La traversata trascorse tranquilla nonostante l’andirivieni dei motoscafi e una volta giunti sull’altra sponda e sorpassato Dongo, il sole cominciò a colpire con inclemenza i nostri cappellini e come se ne avessimo fatta espressa richiesta, il dio dei venti fece alzare la Breva, un vento che soffia da sud a nord che ci rese più sopportabile il caldo ma che, a causa delle inevitabili onde e raffiche, ci rallentò.


Passata un’altra serie di paesini di cui non saprei dire il nome, ci fermammo per il pranzo.



Secondo bagno, dove Luca diede una particolare dimostrazione della sua perizia natatoria.  
Poi via alla volta di Menaggio e da lì ad affrontare la traversata verso Bellagio.
Per me fu il tratto più divertente, perché nonostante le onde della Breva, quelle delle imbarcazioni private, dei battelli, dei traghetti e degli aliscafi, presenti in enorme numero in quel tratto di lago, mi sono sentito a mio agio e non ho provato alcun imbarazzo nell’affrontare qualsivoglia tipo di onda. Grande soddisfazione personale.
Dopo tanto sballottamento, (sembrava di montare un toro in un rodeo) ci siamo presi un’altra meritata breve sosta.



Lasciato Bellagio, siamo tornati sulla lacustre rotta del ritorno.
Passati oltre Vassena, la stanchezza sia fisica che psicologica presentò il conto e i chilometri che mancavano all’arrivo, diventavano sempre più lunghi, come se tutto d’un tratto le unità di misura si fossero dilatate per il caldo e la stanchezza.
A Onno, comunicavo ai compagni che eravamo quasi al Motel Naulitus… mancavano ancora tre chilometri!
Al Nautilus, l’ultima brevissima sosta per sgranchire le membra ormai anchilosate.
Dopo quest’ultima sosta, le cose cominciarono ad andar meglio, forse il tratto di lago che percorsi innumerevoli volte in passato? Forse la Breva che in quel tratto se ne era andata? Non so! Era come respirare l’aria di casa e questo particolare mi ha dato una carica che pensavo d’aver speso ormai da tempo.
Ad un tratto, le misure lineari riassunsero il loro normale significato e all’apparire del porto di Parè prima e il lungolago di Malgrate poi mi confortarono.



Ormai erano pochi i chilometri mancanti per giungere a Vercurago.

Non vedevo l’ora di scendere dal mio Baidarka!
Passate le arcate del ponte Kennedy e del ponte Vecchio, ormai mancava davvero poco, l’umore era finalmente tornato buono e dal ponte Manzoni siamo scesi in tutta calma e in amabile conversazione con Felice che ci consigliava di sperticarci in ringraziamenti e congratulazioni solo di lì ad un paio di giorni; non subito! Già sapeva che non lo avremmo fatto comunque.

Poi l’arrivo alle 21:15!
Le calorose strette di mano e i complimenti scambiati reciprocramente tra noi partecipanti avevano quel carattere sincero di chi ha condiviso uno sforzo e che di conseguenza ne comprende appieno il sacrificio perché sofferto in egual misura.



Scesi a terra, ci aspettava una fantastica accoglienza che io neanche avevo immaginato; Ruggero, Claudio con Tanina, Paolo, Marino con Lory, Mary con la piccolissima Margherita, Giovanni, Gianmarco con Cristiana.
Ebbene; vi ringrazio tantissimo, così come ringrazio tutti coloro che, seppure assenti al nostro arrivo, si sono interessati allo svolgimento dell’evento. Siete fantastici!

Per concludere:
non abbiamo compiuto un’impresa epica e immagino che moltissimi dei nostri soci avrebbero potuto parteciparvi e giungere brillantemente al termine.
Ci sono comunque momenti che nella nostra vita lasciano un segno indelebile; qualcosa di importante che ricorderemo per sempre. Passerà del tempo e come sempre tutti scorderanno quell’episodio.

Tutti!
Ma non i protagonisti.
Questo evento nato per festeggiare il trentesimo anniversario del CK90, mi ha dato una serie infinita di emozioni condivise coi miei compagni di viaggio. Mi ha dato l’opportunità di passare del tempo con loro permettendomi di conoscerli un po’ di più. Ho avuto la conferma che con un kayak e una pagaia, si possono compiere imprese che vanno ben oltre la banale normalità. Inoltre, ho passato una giornata intera praticando lo sport più bello del mondo; il mio sport!

Il kayak.

Testo di Vittorio Fantato (Inuit del Lario - CK90)




lunedì 6 luglio 2020

CIRCUMNAVIGAZIONE TURISTICA DEL LAGO DI GARLATE




Lo scorrere silenzioso del kayak, l’immergersi della pagaia nell’acqua limpida e da una parte la riva del lago e dall’altra una chiara e fresca distesa liquida che mi sorregge. 
Oggi, dopo un lungo periodo d’astinenza forzata, sono tornato a solcare i flutti. 
Un giretto per riprendere l’abitudine. La preparazione e la prua del kayak che fende l’acqua dopo tanto tempo. E’ una giornata stupenda e il sole splende in cielo disegnando sull’increspatura dell’acqua una serie infinita di riflessi luminosi, come tanti diamanti che si dissolvono col mio procedere.
Le prime pagaiate mi allontanano dalla sede nautica del CK90 di Vercurago e mi dirigo verso Lecco anche se l’itinerario prevede la circumnavigazione del lago di Garlate.




Alzo lo sguardo e le mura ormai sbrecciate del castello dell’Innominato seguono silenti il mio incedere.
Mi hanno sempre affascinato le vicende del passato ed ho trovato intriganti le vicende che hanno coinvolto le vite degli uomini e delle donne che lo hanno vissuto.
Mi piace credere che un viandante, passando tra qualche secolo da queste parti, possa provare le stesse emozioni che provo io quando mi trovo davanti agli occhi opere murarie come questa.




Il castello dell’Innominato, teatro della prigionia di Lucia nei Promessi Sposi, è una rocca militare che risale al 1150 e le vicissitudini storiche la videro protagonista delle incessanti battaglie delle nobili famiglie, i Della Torre e i Visconti, per il possesso dei territori e il dominio di Milano.
Nel 1373, cominciò il declino strutturale del castello da parte dei Visconti che erano in guerra con i Della Torre e la sua distruzione continuò a seguito delle lotte fra Guelfi e Ghibellini e quanto rimaneva di quella che fu una maestosa struttura difensiva venne depredata dagli abitanti per l’utilizzo dei materiali per la costruzione delle loro case, il che apportò un notevole cambiamento nella sua forma originaria.
Nel 1454, la rocca passa sotto il dominio della repubblica di Venezia e ancor oggi, sul sito ci sono i picchi a testimoniare dove le terre della Serenissima finivano per diventare quelle di Milano. L’Adda diventa il confine naturale tra i territori dei due contendenti.



Pagaiando ancora assorto nello spettacolo che un canoista avrebbe potuto ammirare percorrendo il mio stesso tragitto 850 anni fa, sono giunto al campeggio Rivabella, ho percorso circa un chilometro dalla partenza e decido di mettermi alla prova aumentando la forza nella spinta della pagaia. Percorse poche centinaia di metri, mi accorgo che il lungo periodo di astinenza mi ha indebolito non poco, quasi l’acqua dove infilo la pagaia fosse diventata pesante da spostare.



Nel rallentare, noto che sulla riva sono ricoverate tre imbarcazioni dell’epoca: "le Lucie".
Ricordo di aver provato il governo di una di loro, sono imbarcazioni molto pesanti ma anche molto manovriere e venivano usate in passato per la pesca prima e successivamente per il trasporto passeggeri.
Le Lucie o anche batejj erano la versione più piccola dei comballi (cumbajj) che muniti di vela solcavano il nostro lago trasportando merci e materiali sfruttando il Tivano (vento mattutino che spira da Nord verso Sud) per dirigersi a Lecco e la Breva (vento pomeridiano che spira da Sud verso Nord) per tornare ai porti di provenienza.



Poco oltre nel mio procedere, scorgo la croce del monte Magnodeno. Il Magnodeno è un monte che domina il lago di Garlate e si trova sulla sinistra arrivando da Lecco. Alto 1241 metri, sulla sua vetta ospita un rifugio dell’ANA dove ogni mercoledì a mezzogiorno viene servito un risotto coi funghi che attira molti amanti della montagna.
Abbasso lo sguardo e noto una serie di pali infissi sul fondo del lago a segnalare una tubatura subacquea, appollaiato con le ali spiegate su ognuno di essi un cormorano.
Di primo acchito mi ricordano le insegne di un’antica legione romana (le aquile) e mi strappano un sorriso. Il tempo di estrarre la fotocamera e sono già fuggiti.
 


Allargo la rotta al protendersi di una piccola spiaggia (detta Saponetta) dove un torrente che l’attraversa, nel corso degli anni ha depositato il materiale che le sue acque hanno portato a valle rendendo quel tratto di lago piuttosto basso.
Riprendo ad avvicinarmi alla costa del lago e dopo un tratto affiancato dalla riva ricca di arbusti ed un tratto della ciclabile che collega Lecco a Vercurago mi trovo davanti alla foce del torrente Bione.
La foce del torrente Bione descritto dal Manzoni nel “Addio monti”, non è la stessa davanti alla quale sto passando perché il torrente fu deviato nel 1846 ed in origine era più a Nord.
Ancora poche pagaiate e sono sotto l’arcata del ponte Manzoni, la oltrepasso, inclino leggermente il kayak per mantenere la direzione in corrente ed affronto l’attraversata che mi porta sulla sponda opposta del lago.
Lascio cadere le braccia in acqua e con piacere godo della frescura che mi accarezza i polsi. Un sorso d’acqua per dissetarmi e via sulla rotta del ritorno.
Il lato destro del lago, scendendo verso Olginate, è costeggiato, quasi ininterrottamente, da una suggestiva pista ciclabile.
Ho raggiunto l’abitato di Garlate sovrastato dal monte Barro.



Il monte Barro è una montagna isolata delle Prealpi lombarde ed è alto 922 metri. Scavi archeologici hanno portato alla luce i resti di insediamenti risalenti il quinto secolo D.C. e medioevali.
Appollaiato a mezza costa del monte, sorge il comune di Galbiate che fa bella mostra di sé a chi ramingo naviga sulle placide acque lacustri.
Capita spesso, se si naviga a poca distanza dalla riva, di notare tra i cespugli i nidi dei cigni che frequentano numerosi queste acque e se la frequentazione è assidua si incontrano i loro pulcini prima che cambino il piumaggio grigio con quello candido. Insomma, da brutti anatroccoli a cigni. Capita anche di vedere tartarughe d’acqua dalle dimensioni importanti, cosa che fa sembrare esotico immaginarle antiche abitatrici degli acquari domestici dai quali sono state sfrattate.
Seguendo la corrente, si capita in tratto di costa inaccessibile da terra perché paludosa. In quel tratto oltre alle canne che crescono rigogliose, ci sono anche alberi d’alto fusto nelle cui chiome abitano i cormorani che al mio arrivo immancabilmente prendono il volo, aironi cenerini e tra le canne, germani reali e folaghe. E’ bellissimo vedere i germani reali nuotare mentre portano sul dorso i loro pulcini.




 
Passati oltre questa incantata voliera, la costa si allarga e da’ alloggio ad un cantiere nautico con un gran numero di imbarcazioni a ricovero.
Ormai siamo giunti ad Olginate.
All’orizzonte si profila la diga, nata per evitare le frequenti esondazioni a Como e Lecco e per alimentare i canali d’irrigazione della pianura Padana.
Arrivati in prossimità della diga, attraversiamo nuovamente e ci riportiamo sulla sponda lacustre di Vercurago e dopo poche pagaiate ci troviamo passare davanti la foce del torrente Gallavesa e subito dopo la spiaggia sempre gremita dei bagnanti che la affollano quando il clima lo permette.
 



Ancora qualche pagaiata e sono arrivato all’approdo della sede Canneto del CK90.
Ho percorso una decina di chilometri impiegandoci un ora e quaranta minuti.




E’ stata una bella passeggiata e ho goduto di tutto quello che un paesaggio incantevole può dare senza spingersi troppo lontano. Chi, come me, ama approcciarsi con la natura godendo del solo gorgoglio che la pagaia fa’ quando la si immerge e lasciando un silenzio immacolato quasi non la si volesse disturbare nel suo operare eterno, comprende la quantità infinita di emozioni che si provano, sia pur in un giro di pochi chilometri come quello che ho cercato (e spero di esserci riuscito) di descrivervi. 
Buona pagaiata a tutti.

Testo di Vittorio (Inuit del Lario - CK90) 

lunedì 29 giugno 2020

LA CUCINA NEL GAVONE




Un panino al volo, qualche snack, un sacchettino di frutta secca ed una mela o una banana. Tanto basta per la maggior parte delle uscite in giornata. Quando però l’escursione prevede il pernottamento al bivacco è necessario attrezzarsi con qualcosa per cucinare. Anche durante la stagione invernale un pasto caldo può essere di gran conforto e, sebbene possa sembrare una perdita di tempo mettersi a cucinare quando le ore di luce sono poche, qualcosa che non richieda preparazioni come una semplice zuppa da scaldare o dei ravioli in brodo saranno un’ottima scelta ed un grande aiuto a “digerire” il freddo.



L’attrezzatura da cucina è croce e delizia di ogni escursionista ed il fornelletto ne è il componente principale. Vi sono varie scuole di pensiero: a gas, ad alcool o a legna arrivando anche ai piccoli fuochi accesi al suolo in un cerchio di pietre; tutte soluzioni di cui ognuno ha la sua preferita.



Io preferisco il gas, molte sono le tipologie ma trovo che il classico Campingaz con bombolette a forare sia economico, comodo e più che idoneo.Mi ha dato problemi solo una volta con il freddo estremo: dopo un bivacco notturno alla ragguardevole temperatura di  -10°C non ne ha voluto sapere di partire, ma usavo una classica cartuccia a butano (di quelle che si trovano anche in ferramenta). Volendo impiegare il gas in inverno consiglio l’acquisto di bombolette a propano che non presenta inconvenienti con temperature di gran lunga sotto gli 0°C. Più raramente utilizzo un fornelletto a legna, ma richiede più preparazione (trovare legna asciutta, sminuzzarla, accendere il fuoco con un’esca ed effettuare continui “rabbocchi” di carburante) e sarà quasi impossibile rimuovere completamente l’annerimento da pentole e padelle… ma la fiamma di questo fuoco ha un fascino irresistibile.



Per la cottura dei cibi, in commercio, ci sono numerose gavette progettate per l’outdoor con manici richiudibili, adatte alla cottura su fuochi liberi e che durante il trasporto diventeranno i contenitori in cui stivare e dividere la cambusa ed i suoi utensili. Acciaio inox o allumino sono ugualmente impiegate ed, anche qui, le preferenze sono del tutto personali; in entrambi i casi ci farete presto la mano a cucinare in padelle dallo spessore di molto inferiore rispetto a quelle di uso domestico. Volendo evitare acquisti dedicati si troveranno facilmente pentolini e padellini anche in casa, specie nelle cucine delle nonne che hanno conservato accessori di un’epoca in cui manici in plastica e rivestimenti antiaderenti non erano così diffusi. In un bollilatte si può fare un piatto di pasta o un risotto, mentre le care vecchie tazze di latta smaltata sono adatte per fare un thè, prestando attenzione a non ustionarsi le labbra mentre lo si beve. Troverete utile anche conservare i contenitore delle sorprese degli ovetti kinder che, fatti in plastica alimentare, saranno degli ottimi porta spezie a costo zero mentre le piccole bottigliette di alcuni succhi di frutta possono trasportare sughi o altri condimenti; le possibilità di reimpiegare contenitori di cibi sono infinite. Sconsiglio caldamente l’utilizzo dei cilindretti in cui si acquistano i rullini delle macchine fotografiche analogiche; molti escursionisti li impiegano per sale, zucchero ed altre spezie ma non credo siano in materiale adatto al contatto con i cibi.

FORNELLETTO A LEGNA E PICCOLO TAGLIERE


Per quanto riguarda la pulizia delle stoviglie ovviamente vietatissimi saponi di ogni tipo ma, con un poco di esperienza, scoprirete di poter fare a meno anche della spugna: sabbia, cenere, muschio o posidonia vi basteranno per pulire accuratamente il tutto e rimarrete sorpresi del potere sgrassante ed abrasivo di questi prodotti che il supermercato della natura ci mette a disposizione in gran quantità.



In alcuni casi sarà necessario un tagliere, ve ne sono di piccolissimi in teflon. Si trovano nei comuni negozi di casalinghi a poca spesa o dai rivenditori di materiale per escursionismo a prezzi a mio avviso folli. Anche le posate devono essere presenti; molto diffuso è lo “spork” in plastica (ovvero forchetta e cucchiaio assieme). Io preferisco due posate in metallo più tradizionali. Ve ne sono di apposite per l’outdoor ed il campeggio ma, considerando che non facciamo una spedizione in Hymalaya, non soffriremo se anche decidessimo di portarci il peso di quelle che abitualmente usiamo a casa.
Come coltello la lama principale del Victorinox sarà più che sufficiente nella maggior parte dei casi anche se molti, per questioni di igiene, preferiranno avere con sé un coltello dedicato.



Per terminare ci vuole un caffè! Molti mi prendono in giro quando vedono comparire dai gavoni (o dallo zaino) la moka… ma poi, quando l’odore si diffonde, arrivano a reclamarne la loro dose, di gran lunga migliore a qualsiasi surrogato solubile. Sarà un ottima merce di scambio dato che, a questo momento del pasto, salteranno fuori cioccolatini e cordiali vari. La moka più piccola basta per due persone ma, per i raduni, ne ho una mastodontica.

UN FUOCO: LA MANIERA PIÙ PRIMITIVA DI CUCINARE; CON LE DOVUTE CONSIDERAZIONI SUI DIVIETI ED ATTENZIONI ALLA SICUREZZA

Testo e foto di Marco & Gloria (Inuit del Lario - CK90)




lunedì 22 giugno 2020

ITINERARI - ANELLO DELL'ALTO RAMO LECCHESE DEL LARIO


Tempo di percorrenza: 6 ore (compresa sosta per il pranzo)

Percorrenza: 11 nm

Grado di difficoltà: necessario un minimo di esperienza e tutta la dotazione di sicurezza.

Descrizione delle difficoltà:
Traffico sia commerciale (battelli turistici, aliscafi, traghetti) che diportistico generalmente intenso in
questa zona in medio/alta stagione; nettamente diminuito nei mesi più freddi.
La traversata Bellagio-Varenna è piuttosto lunga – 1,5 nm - ma può essere accorciata ad 1 nm puntando
perpendicolarmente la sponda opposta raggiungendo la sponda lecchese a Fiumelatte ed escludendo dal
percorso Varenna (o allungandolo per risalire prima di fare nuovamente rotta sud per il rientro).
In un buon tratto di percorso prima di raggiungere Bellagio non è possibile sbarcare né organizzare
recuperi.

Periodo consigliato:
Sconsigliato d'estate per il traffico intenso nei dintorni di Bellagio e Varenna.
Meglio in inverno, autunno inoltrato o primi periodi di primavera con dotazioni invernali (l’acqua in
inverno/primavera è molto fredda, in autunno più godibile).
Questo itinerario permette, imbarcandosi in mattinata d’inverno non troppo tardi, di pagaiare sempre al
sole.

Punti d'imbarco:
Per questo itinerario viene comodo imbarcarsi ad Olcio (comune di Mandello del Lario). Poco a nord del centro abitato c'è un parcheggio da cui si può facilmente raggiungere l'acqua.

Descrizione:
Un itinerario ad anello di 11 nm nella parte più alta del ramo di Lecco (a mio avviso più a sud di questo
itinerario il ramo lecchese offre poco).




Ci si imbarca ad Olcio e ci si lancia subito nella prima traversata con rotta 270 puntando poco più a nord del centro abitato che si ha proprio di fronte al punto di partenza. Cosi facendo si guadagna la sponda di Bellagio poco oltre Vassena. Da li si costeggia verso nord e si alternano tratti antropizzati ed altri più selvaggi. 



Parecchie belle ville e darsene (alcune purtroppo abbandonate). Prima di raggiungere la località Visgnola ci si può sgranchire le gambe scendendo al Santuario della Madonna del Moletto in Limonta, una chiesetta di inizio 1600 arroccata su un tratto di costa impervio; facilmente riconoscibile e dotata di un grosso molo per l'attracco delle imbarcazioni turistiche e da diporto. 



Procedendo ulteriormente la risalita dopo il porto della Visgnola ma prima di raggiungere la punta di Bellagio si sfila ai piedi di un'imponente falesia rocciosa con il caratteristico “scoglio dei cipressi”.



La punta di Bellagio segna la fine dell'esplorazione in sponda comasca e da li comincia una nuova
traversata per tornare sul lato da cui eravamo partiti. Il punto di mira è l'abitato di Varenna. Già da
Bellagio è ben riconoscibile la grande struttura gialla, sotto al campanile, che è l'hotel Royal Victoria. In caso di dubbi la rotta da tenere è 040.


Sotto all'hotel c'è una piccola spiaggia su cui si può nuovamente sbarcare dopo di chesi ritorna a
riprendere la navigazione verso sud per tornare al punto di partenza. Questo lato di costa è decisamente
più abitato rispetto a quello opposto ma offre la vista di parecchie belle ville (tra cui la famosa Villa
Monastero di Varenna) e si possono trovare un paio di grotte quando il lago è basso. 


Unica nota è di prestare attenzione al passaggio davanti alla foce del Fiumelatte. La corrente può essere particolarmente forte. Questo fiume è particolarmente corto - solo 250 m - ed essendo di fatto lo scarico di troppo pieno di alcune cavità carsiche del monte Grignone è come un interruttore, o è completamente secco (solitamente da novembre a febbraio) o è in piena e sgorga nel lago con una forza tale da rendere le acque completamente bianche (da marzo a ottobre).



Testo e foto di Marco & Gloria (Inuit del Lario - CK90)

lunedì 15 giugno 2020

LIBRI - THE COMPLETE BOOK OF SEA KAYAKING




E’ la guida più completa per i pagaiatori marini di tutti i livelli.

Pubblicato per la prima volta nel 1976, The Complete Book of Sea Kayaking, è una guida completa per il principiante e un libro di riferimento inestimabile per l'esperto kayaker da mare. 

Originariamente scritto dal defunto Derek C. Hutchinson, un'autorità internazionale sul kayak da mare, descrive le attrezzature, le tecniche di base e avanzate, la navigazione e nozioni di meteorologia, ed è illustrato interamente dai disegni e dalle fotografie a colori dell'autore. 

Questa nuova edizione del 40° anniversario è stata completamente aggiornata in linea con gli ultimi sviluppi del kayak da mare da Wayne Horodowich, amico di vecchia data di Hutchinson e fondatore della University of Sea Kayaking http://www.useakayak.org

Molto interessante e dettagliato è il capitolo che parla delle origini artiche del kayak da mare con disegni e foto storiche dei kayak e pagaie tradizionali degli Inuit.

E’ un libro che non deve mancare nella libreria di ogni kayaker marino!



lunedì 8 giugno 2020

LA CLASSICA PAGAIATA MANZONIANA

10-Manzoni, milanese d'Europa-Località-Manzoniane | Abate Stoppani


«Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni...»

Pescarenico - Wikipedia

Così il Manzoni descrive quel tratto di lago che noi Inuit Del Lario siamo soliti frequentare.
L’incantevole paesaggio, la grande quantità di avifauna e le limpide acque del lago ci accompagnano nelle nostre escursioni.

Oggi abbiamo deciso di intraprendere una gita in kayak con partenza dalle nostre sedi di Vercurago con destinazione Abbadia Lariana e ritorno.

Il percorso, della lunghezza di circa 26 chilometri, comprende il transito da Pescarenico, il luogo dei Promessi Sposi dove il Manzoni scrisse un  brano tra i più famosi dell’opera. L’addio Monti.
“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari…”

 

Ebbene, come non parlare di quei monti?

Il Resegone, raffigurato nell’immagine sopra, è il monte al quale noi siamo più affezionati. 
Con le sue nove cime, che ricordano appunto una sega (nel dialetto lecchese “resega”) raggiunge l’altezza di 1875 metri e fa da cornice all’abitato di Lecco.

Un’altra importante vetta, meta dei più famosi alpinisti per le difficoltà di scalata che presenta, è la Grigna. Alta 2410 metri, la sua altezza le permette di essere vista da tutta la pianura Padana nelle giornate di cielo terso e sereno.

Quello che vi ho raccontato fino ad ora, è solo l’inizio del nostro viaggio e direi che con un paesaggio così suggestivo non è affatto male.

Sempre a Pescarenico risalendo l’Adda verso Lecco, si arriva all’isola Viscontea, un isolotto in abbandono dove gli unici ad abitarlo sono gli aironi cenerini, i gabbiani, i germani reali e le folaghe che coi loro canti accompagnano il nostro pagaiare.


 
Lasciato Pescarenico alle nostre spalle, si arriva al ponte Azzone Visconti o comunemente chiamato Ponte Vecchio. Terminato nel 1338 per agevolare i collegamenti tra Lecco e il ducato di Milano e seppure oggi sia cambiato rispetto ad un tempo, resta un simbolo storico della città.
In quel punto, noi kayakers dedichiamo tutta la nostra attenzione.
Quando il livello delle acque è alto, la corrente dell’acqua sotto le arcate del ponte diventa forte creando mulinelli e vortici che rendono relativamente impegnativo il passare oltre.
 

Oggi, è uno di quei giorni e il transito costante di natanti a motore che creano una serie di onde che si riflettono sulle murate della riva e la corrente relativamente impetuosa, ci hanno messo in leggera difficoltà.
Passati sotto le arcate del vecchio ponte e oltrepassato il ponte Kennedy, comunemente chiamato Ponte Nuovo, fu inaugurato nel 1955 ed intitolato al presidente statunitense nel 1963 dopo il suo assassinio, ecco apparire il lungolago di Lecco.
 

Nel panorama spicca la basilica di San Nicola col suo campanile (“Il matitone”), alto 96 metri è tra i dieci più alti d’Italia e il secondo più alto in Lombardia.
Il bel lungolago ci accompagna fino alla fine dell’abitato e il tragitto prosegue sotto le pareti verticali del monte San Martino citato da Manzoni nel suo romanzo, anche se assegnandogli poca importanza rispetto al monte Resegone di cui vi ho detto sopra.
 
“La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune...”

 
lecco e monte coltignone (con immagini) | Laghi, Paesaggi, Foto

Una montagna che i lecchesi definiscono “marcia” per via della sua conformazione morfologica e anche a seguito di svariati episodi franosi di crollo nel corso degli anni.

Per alcuni chilometri, la nostra escursione procede tra acque increspate da una brezza che rende meno monotono il nostro procedere e accanto a noi lo scorrere di un paesaggio ricco di massi che intercalano in piccole spiagge di solito gremite dai bagnanti.

Giunti alla località di Abbadia Lariana, la nostra allegra brigata approda e dopo circa due ore di pagaiare, anche la fame non tarda a reclamare il dovuto.
Un panino e una birra in compagnia, sono l’occasione per un goliardico convito e dopo esserci rinfrescati con un bagno nelle acque del nostro lago, la comitiva riprende il viaggio di rientro.

Attraversiamo e ci spostiamo sull’altra sponda rispetto l’andata, praticamente sulla sponda ovest del lago, quella che unisce le località di Valmadrera a quella di Bellagio.

Da Abbadia Lariana ci troviamo in località Melgone, e la costa assume un aspetto particolarmente suggestivo con le pareti rocciose che si tuffano nelle acque del lago.
Su questo lato, la costa appare quasi disabitata, solo alcune villette isolate e le strutture di rinforzo della strada panoramica. Alcune piccole spiagge intercalano le pareti rocciose.

Il profilarsi all'orizzonte di un abitato, ci segnala l’arrivo in località Paré di Valmadrera dove c’è un porto per il ricovero dei natanti e noi cogliamo l’occasione per divertirci zigzagando tra essi.
Una grande ansa e ecco il comune di Malgrate sulla destra e sulla sinistra la città di Lecco.

 
Malgrate è l’ultimo paese del ramo del lago. Il ponte Kennedy di cui vi ho detto in precedenza, funge da confine tra Lario e Adda.
Dopo essere passati sotto le arcate del ponte Nuovo, il tragitto del rientro diventa comune a quello di andata.

Capita spesso, per chi ci vive, di non riuscire ad apprezzare quello che la natura gli mette a disposizione. Il lago, i fiumi, le montagne con i loro mille sentieri, i panorami che si possono osservare seduti dentro un guscio di noce con una pagaia tra le mani oppure dalla vetta di un monte, il lavoro dei nostri antenati con quei cenni murari che ti riportano ad un passato recente e antico nel contempo. I prati, i boschi, la flora e la fauna. Tutte cose che col passare del tempo possono diventare famigliari, una routine che scorre davanti agli occhi senza più destare fascino e meraviglia.

E poi…

Quando ci si sofferma un istante, col pensiero libero dagli impegni quotidiani e con lo sguardo su quei particolari che rendono le cose differenti dal solito, capisci il loro valore inestimabile.
Allora, solo allora ti rendi conto che stai pagaiando in un paradiso!

Testo di Vittorio (Inuit del Lario - CK90)