"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 31 gennaio 2011

L’OASI DEL LAGO DI MEZZOLA (TERZA PARTE)


La riva occidentale del bacino è impreziosita dai graziosi villaggi di Dascio e Albonico, da cui si gode una magnifico panorama sulla piana sottostante, quella orientale ad est è più interessante dal punto di vista naturalistico. Nelle sue acque si riflettono, infatti, le guglie a ventaglio del Pizzo di Prata e del Sasso Manduino, con le cime della Bregaglia che si rincorrono sullo sfondo, mentre a sud-est troneggiano maestosi il Legnone e il Legnoncino.




E’ qui che l’avvicendarsi delle stagioni, scandito dal gioco di colori della vegetazione, diventa un autentico spettacolo. E così dopo le architetture di ghiaccio e i merletti che ricamano i canneti d’inverno, la primavera è la stagione del verde intenso, delle fioriture più vivaci, degli iris gialli che contrastano con il blu metallico delle acque. L’estate è fatta soprattutto di luce, di lunghe giornate trascorse sui “quatr’ass”, le tipiche imbarcazioni a fondo piatto dei pescatori dell’alto Lario, di temporali improvvisi e cieli che tornano subito limpidi. E poi di nuovo l’autunno con le sue brume, l’urlo malinconico di un falco, le piogge che tormentano il bacino trasformando la sua quiete in una nostalgica danza di acqua su acqua.




E di malinconia in malinconia, forse non c’è nulla di più triste constatare, dopo aver assistito alle stagionali evoluzioni offerte dalla natura, che l’uomo ha fatto ancora troppo poco per tutelarla. Oggi la malaria è stata debellata e ci si è resi conto che una palude destinata alla pesca e sfruttata in modo adeguato con l’itticoltura ha una resa di gran lunga superiore a un campo bonificato di barbabietole e mais. I territori allagati rappresentano il luogo a più alta produzione biologica del mondo, all’interno dei quali si riproduce un microcosmo inimmaginabile di organismi vegetali e animali. Le lagune, inoltre, hanno la capacità di attenuare gli effetti delle piene dei fiumi, per cui la loro scomparsa provoca nell’ambiente alterazioni che, a lungo andare, divengono irreversibili. Ecco perché proteggere una zona naturale come quella del lago di Mezzola.


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Foto degli Inuit del Lario.
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giovedì 27 gennaio 2011

LA PAGAIATA CIRCOLARE INDIETRO

E’ sostanzialmente il negativo della pagaiata circolare avanti: una volta compresa questa, sarà semplice eseguire il colpo indietro. Completata la torsione del busto verso la poppa del kayak con il braccio di lavoro teso e l’altro flesso al petto, è necessario trovare il punto di presa in posizione ore sei.



A differenza della pagaiata circolare in avanti, nella rotazione indietro l’azione della pala in acqua avviene tramite il dorso che, perpendicolare al piano dell’acqua, è rivolto verso l’esterno. Trovato il fulcro attorno al quale ruotare lo scafo, basterà spostare la poppa lontano dalla pala.




Anche in questo caso il movimento è prevalentemente a carico del busto e degli arti inferiori, che spingono nella direzione del movimento. La spinta sul puntapiedi avviene con il piede opposto al lato di lavoro.




Il colpo termina quando la prua del kayak arriva in prossimità della pagaia in zona ore dodici. Poiché la rotazione indietro è piuttosto brusca e tende a far perdere velocità al kayak, generalmente questo tipo di pagaiata viene utilizzata per cambi di direzione repentini in spazi ristretti o per invertire la rotta. Combinando pagaiata circolare avanti ed indietro si riesce a invertire la rotta di 360° molto velocemente e in spazi brevi.
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lunedì 24 gennaio 2011

LIBRI - ALLA FINE DEL MONDO. LE GRANDI AVVENTURE POLARI.



Quando la temperatura precipita a 50 gradi sotto zero, il vento soffia a 300 chilometri orari, il sole splende a mezzanotte e l’oscurità dura per mesi interi, l’uomo ha bisogno di tutta la sua forza e anche dell’ultimo briciolo di volontà per sopravvivere. E non sempre è sufficiente. Dai tempi dei pionieri, armati solo di un’incrollabile determinazione, alle missioni moderne, che si avvalgono degli ultimi ritrovati della tecnica, Roald Amundsen, William Parry, Alistair Scott, Umberto Nobile e tanti altri leggendari esploratori raccontano le loro incredibili avventure alla scoperta di continenti ancora puri e selvaggi: spedizioni temerarie fino ai confini della Terra, lì dove la Natura detta la sua legge e l’uomo non può far altro che accettarne la sfida. In un’antologia emozionante e avvincente, quaranta storie di eroismo, privazioni, successi e fallimenti, spesso pagati con la vita ma affrontati sempre con straordinario coraggio e rispetto verso le forze grandiose e indomabili della natura.

Roald Amundsen • Umberto Nobile • Ernest Shackleton • William Edward Parry • Richard E. Byrd • Lynne Cox • Ranulph Fiennes • David Helvarg • Robert F. Scott • Edward “Bear” Grylls e tanti altri raccontano le loro storie di eroismo e avventura ai limiti estremi della terra.
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TITOLO: Alla fine del mondo. Le grandi avventure polari.
AUTORE: Jon E. Lewis
EDITORE: Newton Compton
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giovedì 20 gennaio 2011

IL MESTOLONE, L’ANATRA DAL BUFFO BECCO



Appartiene all’ordine Anseriformes famiglia Anatidae, uccelli acquatici conosciuti come anatre. E’ inclusa nel gruppo delle “anatre di superficie”, che per nutrirsi immergono solo la testa. Il suo nome scientifico è Anas clypeata. Il nome italiano si riferisce alla caratteristica forma del suo becco, molto grande e a spatola. Tra le anatre, ha dimensioni corporee intermedie (44-52 cm). Il maschio si distingue anche per il capo verde a riflessi metallici, il corpo bianco e nero con una fascia castana sui fianchi e sul ventre; la femmina, marroncina come nelle altre specie, si identifica facilmente per la forma del becco analoga a quella del maschio. In volo (elegante, veloce e ricco di evoluzioni) è particolarmente evidente la parte anteriore dell’ala di colore blu chiaro. Forma piccoli stormi all’interno dei quali c’è grande sincronia di movimento tra gli individui. Contrariamente a specie affini, come il Germano reale, il Mestolone in genere si riposa in acqua ed esce raramente sulla terraferma, dove cammina in modo goffo.





Predilige acque dolci e salmastre poco profonde, ricche di vegetazione, in cui costruisce il nido; in migrazione può sostare anche in mare aperto. In acqua tiene il petto per buona parte immerso e il becco rivolto in basso. E’ in grado di fare immersioni di media profondità, durante le quali setaccia il fondo con il becco alla ricerca di una grande varietà di alimenti, dal plancton ai piccoli molluschi; si nutre generalmente in gruppo.





L’areale europeo è continuo solo nelle regioni orientali, in Danimarca e Gran Bretagna; nelle aree mediterranee è molto frammentato. In Italia è nidificante regolare in zone umide costiere dell’alto Adriatico. In Lombardia è noto un solo caso di nidificazione certa, in Lomellina; è soprattutto un migratore, con un passo autunnale più regolare e meno numeroso rispetto a quello primaverile. Sverna nelle zone umide della pianura. Svernano in Italia 15.000-20.000 individui; la fascia prealpina e l’entroterra padano sono zone poco frequentate.




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lunedì 17 gennaio 2011

LA FAUNA ARTICA E’ MINACCIATA


La fauna dei paesi artici non è preparata ad affrontare il riscaldamento climatico, che ne sconvolge le abitudini. Gli orsi polari ne sono le prime vittime. Con il ritiro della banchisa, la loro “mensa” rischia di chiudere i battenti: proprio sulla banchisa, infatti, gli orsi si cibano di foche da novembre a maggio e immagazzinano riserve di grasso a sufficienza per riuscire a soggiornare sulla terraferma in estate quando il cibo scarseggia.




A causa della scomparsa di questa preziosa “dispensa”, gli orsi bianchi sono a rischio di estinzione. Secondo il Canadian Wildlife Service, i 12.000 individui recensiti ad ovest della baia di Hudson mostrano già i primi segni di fragilità. Le femmine malnutrite sono troppo deboli per dare alla luce i piccoli e nutrirli adeguatamente. La natalità è in calo e gli orsetti rachitici hanno perso in media il 15% del loro peso. Se non si prenderanno provvedimenti, la scomparsa di questi animali è solo questione di tempo.



Le renne della tundra non se la passano granché meglio. Le mandrie sono vittime di una conseguenza indiretta del riscaldamento, ossia il ghiaccio. Il suolo che disgela a 0°C, infatti, si ricongela molto rapidamente al minimo abbassamento della temperatura. Ma il ghiaccio è più duro della neve e le renne sono non abbastanza forti da riuscire a romperlo a colpi di zoccolo per procurarsi il cibo. Gli animali muoiono e le mandrie si rimpiccioliscono poco per volta.




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giovedì 13 gennaio 2011

L’OASI DEL LAGO DI MEZZOLA (SECONDA PARTE)



Il lago di Mezzola è un’oasi ornitologica ed è facile accorgersene, soprattutto all’inizio della stagione fredda, al primo ingiallire della vegetazione, dopo il verde cupo dell’estate, quando il lago si anima di nuove presenze e la sua superficie è punteggiata di uccelli di passo in viaggio per la loro migrazione autunnale. Dopo la lunga e faticosa trasvolata sopra le Alpi stormi di uccelli di specie acquatiche, provenienti da paesi scandinavi, trovano in questo bacino un luogo di sosta ideale, prima di proseguire verso sud alla volta dell’Africa.




Ci sono poi le varietà avicole facilmente osservabili dal nostro kayak: dallo svasso maggiore al tuffetto, dalle folaghe, al gran numero di anatidi come morette, moriglioni, germani reali , orchetti marini, strolaghe che si alimentano sui bassi fondali del lago.




Il contatto più diretto con il mondo alato è legato però al Cigno reale, che qui nidifica ormai da un paio di decenni. Osservarlo è facile: durante il periodo degli amori questi grandi volatili, pinneggiando lenti ed eleganti nel loro atteggiamento di parata, segnano il territorio e lo difendono dagli intrusi con attacchi vigorosi portati col collo e col becco. Così, una delle sensazioni più emozionanti per chi si aggira sul lago, è udire il volo del cigno: si sente nella fase di decollo il tonfo sordo delle zampe e delle ali sull’acqua, che si trasforma in un suono sorprendentemente musicale una volta raggiunta la quota di volo.




Durante il passaggio migratorio è intensa anche l’attività dei rapaci che volteggiano con ampie volute, sfruttando le correnti ascensionali, alla ricerca di una preda direttamente in volo oppure a terra.


Falco di palude
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lunedì 10 gennaio 2011

LA PAGAIATA CIRCOLARE AVANTI

Costituisce il colpo base per ruotare il kayak mantenendo un certa velocità oppure per invertire la rotta di navigazione. La preparazione del colpo avviene tramite una rotazione del busto verso il lato di lavoro. La presa, con il cucchiaio perpendicolare al piano dell’acqua e rivolto verso l’esterno, avviene in zona ore dodici dello spazio di lavoro. Una volta trovato il punto di presa, la pala diventa un vero e proprio fulcro al quale il kayak ruota, allontanando la prua dalla pagaia.




Il braccio di lavoro è disteso durante tutta l’esecuzione del colpo, mentre l’altro resta flesso con la mano all’altezza del petto. L’azione muscolare è prevalentemente a carico della torsione del busto che, insieme all’azione delle ginocchia sul premi cosce e a quella del piede sul puntapiedi, fa ruotare il kayak lontano dalla pagaia. Solo nella fase finale del colpo le braccia esercitano una leggera azione di trazione e spinta.




Nella pagaiata circolare avanti lo spazio di lavoro viene utilizzato interamente: il colpo termina quando la poppa del kayak raggiunge la pagaia in acqua in posizione ore sei. Nel corso dell’apprendimento può essere utile seguire con lo sguardo il movimento della pala, mentre è assolutamente da evitare l’inclinazione del busto verso la poppa del kayak durante la fase finale del colpo.




Se eseguita in modo completo, la pagaiata circolare consente allo scafo una rotazione di circa 180 gradi. Il colpo può essere scomposto in varie sezioni: utilizzando solo in parte lo spazio di lavoro a disposizione, si riduce lo spettro di rotazione a seconda delle necessità.
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giovedì 6 gennaio 2011

LIBRI - NORVEGIA: LOFOTEN SKI & KAYAK



Un libro-guida di sci e kayak, due mezzi che ben sintetizzano la peculiarità delle Isole Lofoten. Un testo ricco di fotografie, di mappe, di esperienze, di suggerimenti, di piccoli racconti di questo affascinate angolo del Grande Nord.Itinerari scelti di scialpinismo descritti anche con l’ausilio delle fotografie tracciate, indicazioni generali, consigli e tecnica per affrontare in kayak il mare del Nord, oltre all’indicazioni di itinerari per tutte le difficoltà. Fabio Pasini: sciatore e kayaker, ipercinetico per natura e per scelta, ha al suo attivo numerose spedizioni nel Grande Nord ed in altre terre remote. Lo scrivere e la fotografia sono diventate, per lui, una necessità personale prima di essere una testimonianza di viaggio ed un lavoro.
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“Sono innamorato dei grandi spazi e degli squarci di natura selvaggia che caratterizzano questo nostro pianeta. Il kayak e gli sci sono le mie due grandi passioni, due mezzi che mi hanno sempre accompagnato nei miei viaggi alle Isole Lofoten. Questo modo di muovermi mi ha permesso di avere punti di osservazione particolari e di poterle conoscere e vedere sia dal di dentro che dal di fuori... regalandomi grandi sciate e bellissime pagaiate nell’Oceano... Siamo al 67° parallelo, ben oltre il circolo polare artico. Il clima non è poi così rigido grazie alla corrente del Golfo, il buio invernale è illuminato dalle aurore boreali e, nella primavera, le luci si scaldano e le ombre si allungano, con un sole che sembra non voler più tramontare. Le montagne più alte superano di poco i mille metri, ma sanno ugualmente regalare scorci da alta montagna, il mare è il mare del Nord, con le sue correnti, i suoi venti, il Maelstrom e le sue orche, ma che, tuttavia permette di essere vissuto e navigato anche con i piccoli kayak. Nasce da qui l’idea di scrivere un libro su queste isole, una sorta di guida, che non vuole essere solo una “fredda” guida, ma contenere, oltre al materiale fotografico e alle indicazioni logistiche, anche racconti di esperienze vissute e di storia norvegese, un punto di partenza in cui trovare, magari, lo stimolo per partire e andare a battere nuove tracce e nuovi itinerari...” (Fabio Pasini)
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TITOLO: Norvegia: Lofoten Ski & Kayak
AUTORE: Pasini Fabio
EDITORE: Geoantropo
Anno 2006, 128 pagine
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lunedì 3 gennaio 2011

IL CORRIERE PICCOLO, MIMETISMO TRA I SASSI



Appartiene all’ordine Charadriiformes, famiglia Charadriidae, uccelli di ripa piccoli e con zampe e becco corti. Il suo nome scientifico è Charadrius dubius. E’ il più piccolo tra gli uccelli di ripa che si riproducono in Italia, avendo un lunghezza complessiva di 14-15 cm. Assomiglia molto al Corriere grosso, con le parti inferiori bianche, una fascia nera sul capo che attraversa l’occhio, il collare bianco e una larga banda nera che attraversa il petto sotto il collare. Se ne distingue soprattutto per l’assenza di barra alare bianca, le zampe colore carnicino e una sottile linea bianca sopra il nero della fronte. Nel Fratino la banda scura intorno al collo è bruna ed ha un’interruzione sulla gola. L’alternanza di parti chiare e scure lo rende particolarmente mimetico sui greti ghiaiosi.




Nidifica sulle rive ciottolose, ghiaiose o sabbiose dei fiumi scavando una piccola depressione. Si è adattato a nidificare anche nelle cave e nelle aree incolte. Si nutre soprattutto di animali, quali coleotteri, larve di ditteri, ragni, piccoli molluschi, vermi e crostacei. Può mangiare anche semi di graminacee. I corrieri sono tra gli uccelli che più mettono in atto il comportamento di “simulazione di ferita”: quando un possibile predatore si avvicina al nido, per distrarlo cominciano a muoversi goffamente sul terreno battendo una sola ala e divaricando le penne in modo scomposto.




Distribuito su gran parte dell’Eurasia. In Europa nidifica in quasi tutti i Paesi eccetto l’Islanda e l’Irlanda. Migratore transahariano, sverna nell’Africa sub sahariana dal Senegal fino alla Somalia. In Lombardia è presente in pianura e nell’Appennino lungo i corsi d’acqua con un alveo in condizioni naturali e semi-naturali. Piccole popolazioni nidificano anche sui fiumi delle vallate alpine. La popolazione italiana è di 2000-4000 coppie.



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