"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 31 marzo 2008

LA FAMIGLIA INUIT E I BAMBINI

La famiglia tipica Inuit era formata da padre, madre, uno o due figli, a volte una zia o uno zio non sposati. Con essi vivevano anche gli anziani. L’unità famigliare si basava sull’eguaglianza e la cooperazione. Gli Inuit credevano che alla nascita di un bambino lo spirito di un antenato rivivesse in lui manifestandosi in vari modi, sia nelle caratteristiche fisiche che nella personalità. Perciò il bambino veniva rispettato e trattato come un adulto perché era ovvio che sapesse quando mangiare o dormire e quali fossero le sue necessità. Queste credenze rendevano i piccoli Inuit liberi di agire e di muoversi, e gran parte della loro educazione era fondata sull’osservazione e sull’esempio dell’adulto. Gli orfani erano subito adottati dai famigliari più vicini, e una coppia che voleva un bambino si rivolgeva ad una parente incinta chiedendole di portelo allevare come sue figlio. I bambini venivano allattati a lungo, in media per tre anni. Il distacco dal seno era un momento molto particolare perché costituiva l’inizio della vita “adulta”. Alle bambine si chiedeva di essere utili nei lavori domestici e di occuparsi dei bimbi più piccoli fin dall’età di quattro anni. I giocattoli dei bambini venivano fabbricati principalmente con osso, legno, pietra e pellami. Questi giocattoli erano molto semplici, come ad esempio il piccolo Inukshuk (vedere il post su questo argomento) in pietra; i bastoncini usati per un gioco simile allo “Shanghai; il pescatore, piccolo gioco simile al domino; le riproduzioni in miniatura di animali in legno; le figurine antropomorfe che ricordavano gli antichi amuleti. Le bambole erano fabbricate con gli scarti di pelliccia, vecchie perline, avanzi di tessuto. Altri giochi servivano a sviluppare nei bambini forza, precisione e rapidità, qualità utili per sopravvivere in un ambiente estremo e che sarebbero tornate utili per esempio nell’andare in qajaq a cacciare foche e narvali.

venerdì 28 marzo 2008

IL TERRITORIO LARIANO: UN AMBIENTE D’ACQUA DOLCE

Semplicemente osservando una carta geografica delle province di Lecco e di Como si percepisce la fortissima presenza di acqua. Il fulcro del territorio è infatti il Lario, intorno al quale si dispongono numerosi laghi minori e un fitto reticolo di corsi d’acqua. Le acque superficiali del territorio Lariano affluiscono principalmente al bacino dell’Adda che comprende, oltre al medesimo fiume Adda, il Lario e i suoi immissari. Buona parte delle rimanenti acque affluisce invece al bacino del fiume Ticino, che comprende il Ceresio con i relativi immissari. I laghi “briantei” (ad eccezione del lago di Annone che affluisce nel Lario con il suo emissario, il Rio Torto) e i corsi d’acqua della parte meridionale del territorio delle due province Lariane ricadono nel bacino del fiume Lambro, tristemente noto per l’inquinamento delle sue acque nel tratto a valle del lago di Pusiano, ma troppo poco considerato per la pregevolezza del suo corso prelacuale, scorrente nel Triangolo Lariano. Vi sono infine alcuni piccoli corsi d’acqua, come ad esempio il torrente Enna, che nascono nei monti che chiudono la Valsassina nel versante orientale e affluiscono al fiume Brembo della contigua provincia di Bergamo, anch’esso destinato alla confluenza in Adda.
. Come avviene per tutta la zona alpina e prealpina della Lombardia, l’intero reticolo idrico del territorio Lariano è rappresentato da una serie di corsi d’acqua tributari del Po, scorrenti dalle Alpi alla pianura con l’interposizione di un grande profondo lago di origine glaciale, il Lario. Questo è alimentato da due fiumi di origine alpina, l’Adda e il Mera, e da numerosi corsi d’acqua minori di tipo torrentizio (da citare il Pioverna che scende dalla Valsassina). I laghi minori, detti “briantei” (lago di Annone, lago di Pusiano, lago del Segrino, lago di Alserio, lago di Montorfano), sono prevalentemente collocati tra il ramo occidentale e il ramo orientale del Lario, alla base del Triangolo Lariano. Il lago di Mezzola era parte integrante del Lario dal quale si è differenziato nel corso dei secoli. I laghi di Garlate (dove ha sede la nostra associazione: il CK90) e di Olginate si sono formati in seguito ad allargamenti del letto del fiume Adda. Il lago di Piano invece, pur essendo a brevissima distanza dal Ceresio, possiede una originaria autonomia idrografica. Infine i laghi alpini sono rappresentati principalmente da due piccoli bacini, il lago di Sasso e il lago di Darengo, localizzati rispettivamente in Val Biandino, tributaria della Valsassina, e in valle di Livo.
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martedì 25 marzo 2008

USCITA DI PASQUETTA NEL PARCO ADDA NORD

Giornata splendida, oltre ogni aspettativa visto la premessa della nevicata del giorno di Pasqua. Come da programma possiamo quindi fare la nostra ormai tradizionale uscita di Pasquetta scendendo in kayak la parte settentrionale del Parco Adda Nord, partendo dalla nostra sede di Vercurago per giungere, dopo circa 14 chilometri, ad Imbersago.
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Il percorso offre paesaggi davvero spettacolari e non comuni, il kayak ci consente di visitare angoli e canali irraggiungibili a piedi o con altri mezzi... il sole primaverile e il cielo terso rendono il tutto ancora più bello.
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Ci fermiamo nei pressi del Castello di Brivio per una pausa pranzo di tutto rispetto, con tanto di colomba. Grandi assenti le uova sode, che avrebbero reso l'uscita "Pasquetta fuori porta" da manuale. Lungo l'intero percorso abbiamo avvistato molte delle specie di uccelli che frequentano il Parco Adda Nord in questa stagione... Quelle più comuni e confidenti, come Folaga, Germano reale, Cigno reale, Cormorano, si sono più o meno concesse all'obiettivo della nostra macchina fotografica, quelle più timide le abbiamo potutte osservare solo da lontano e col binocolo: Svasso maggiore, Tuffetto, Marzaiola, Alzavola, Moriglione, Airone cenerino, Gallinella d'acqua, Piro piro piccolo, Piro piro boschereccio, Rondine, Balestruccio.. solo per citarne alcune.
. Nel primo pomeriggio giungiamo in tutta tranquillità al Traghetto Leonardesco di Imbersago. Che dire?.. davvero una splendida giornata. Un grazie a tutti i partecipanti per la simpatia. Il tratto di Adda in questione si presta ottimamente per essere visitato in kayak con la massima sicurezza, prestando comunque attenzione nei tratti in cui si incontra un po' di corrente o in prossimità dei ponti, come nei pressi della diga di Olginate e nel tratto Lavello-Fornasette, a sud del lago di Olginate. La massima attenzione va invece prestata per non disturbare la fauna presente in questa importante zona umida, in cui vi nidificano molte specie di uccelli. Il periodo di nidificazione sta per iniziare e il mio consiglio è quello di evitare di avvicinarsi troppo ai bordi del canneto e astenersi dal percorrere in kayak i canali più nascosti e chiari d'acqua più protetti, almeno per i prossimi 4 mesi. Se volete giocare un po' con le mappe di Google e con Google Earth vi lascio questo link dove trovate il percorso memorizzato dal nuovo GPS di Fabio e qualche utile informazione: "Pasquetta sull'Adda 2008"

TERMINOLOGIA DEL KAYAK DA MARE (A-C)

ACCOSTARE: 1) modificare la rotta dell’imbarcazione 2) portarsi di fianco a un altro natante o a una banchina.
ACCOSTO: attacco, approdo.
ALLINEAMENTO: disposizione in linea retta di due o più punti di riferimento.
AMMAINARE: l’atto di far scendere pennoni, vele, bandiere o altri oggetti dall’imbarcazione filando una cima.
ANDATURA: termine mutuato dalla vela, indica il procedere dell’imbarcazione con una certa indicazione rispetto alla direzione del vento.
ANGOLO DI PRORA: è quello compreso tra una direzione fissa di riferimento e la direzione della prua dell’imbarcazione. Viene misurato in gradi e in senso orario.
ANGOLO DI SCARROCCIO: anche detto di deriva, è quello formato dal piano longitudinale dell’imbarcazione rispetto alla direzione di avanzamento.
APPOGGIO: manovra che consiste nel puntellarsi sull’acqua con la pagaia alla scopo di impedire al kayak di rovesciarsi.
AUTOSALVATAGGIO: insieme di operazioni che consente al kayakista di rientrare nell’imbarcazione senza l’aiuto di altre persone in caso di rovesciamento.
BEAUFORT (SCALA DI): classificazione dei venti e della loro forza relativa.
BIPOSTO: kayak munito di due posti, detto anche doppio.
BOCCA DI LUPO: nodo d’avvolgimento, utilizzato generalmente per appendere un cavo a un anello o a un corrimano.
BOCCAPORTO: apertura quadrangolare o circolare situata dal ponte di accesso di persone o cose nei locali sottostanti.
BORDO: ciascun fianco dello scafo, nonché l’imbarcazione nel suo complesso in espressioni quali “salire a bordo”.
CAMPING NAUTICO: particolare attività diportistica che consiste nel compiere crociere lungo costa servendosi di piccole imbarcazioni e attrezzando il campo a terra per la notte.
CARTA NAUTICA: rappresentazione grafica piana, simbolica, ridotta e approssimata di una parte della superficie e del fondo marino e lacuale e delle coste relative, in cui sono segnate le profondità, le correnti, gli ancoraggi, i fari, i venti, eccetera. Serve per l’esercizio della navigazione ed è compilata e aggiornata dall’Istituto Idrografico della Marina.
CARTEGGIO: consultazione ed uso della carta nautica, che consiste nel segnare punti, tracciare rilevamenti, rotte e direzione su di essa.
CHIESUOLA: custodia di alloggiamento e la protezione della bussola magnetica.
CHIGLIA: elemento longitudinale dell’ossatura dello scafo. Va da prua a poppa ed è il principale elemento strutturale dell’imbarcazione, di cui costituisce la spina dorsale.
CIMA: nome generico di un cavo nautico.
CONTROCORRENTE: in direzione contraria a quella di una corrente.
CONTROMARE: in direzione contraria a quella del moto ondoso.
CONTROVENTO: in posizione o direzione contraria a quella del verso in cui spira il vento.
COPERTA (PONTE DI): palco che chiude superiormente lo scafo.
CORDINO: termine improprio, che indica un corto spezzone di cima.
CORRENTE: movimento costante e regolare di una massa d’acqua in una certa direzione, dovuto a differenze di temperatura tra una zona e l’altra del mare, al diverso grado di salinità e all’azione del vento.
CURL (THE): manovra che si effettua quando occorre alleggerire il kayak di parte dell’acqua imbarcata. E’ anche detto ricciolo.

giovedì 20 marzo 2008

PAGAIARE CON IL PITERAQ A FAVORE

Un giorno uscii in kayak diretto verso Umigtuarssuit. Ero in mare da molto tempo senza aver visto nemmeno una foca quando cominciò a soffiare il Piteraq, come sempre con molta forza. Siccome aumentava di intensità, approdai su un’isoletta non lontano da Umigtuarssuit. Poi tirai fuori la mia pelliccia da kayak, la preparai e aspettai che il vento crescesse ancora di più. E infatti spirava sempre più forte, e di lì a poco non riuscivo più a scorgere la parte inferiore della costa a causa del turbinio dell’acqua: si vedeva solo la parte superiore. Aspettai ancora un po’ che il vento aumentasse ancora, ma ormai si era stabilizzato e quando pensai di poter affrontare la burrasca, indossai la pelliccia da kayak e la strinsi ben bene là dove andata legata. Poi mi capovolsi un paio di volte con il kayak vicino a riva per bagnare ancora di più la pelliccia e renderla più morbida; quando mi parve abbastanza elastica, partii. Puntai verso un isola situata all’incirca a metà strada tra Akorninaq e Tiniteqilaq. Non riuscivo a vederla a causa del turbinio dell’acqua, ma cercai di indovinare la direzione. Il fiordo era piuttosto stress, e non ci voleva molto tempo per raggiungere l’altra costa, nemmeno con due foche a rimorchio; ma ora sembrava lontanissima anche se avevo il vento alle spalle: scivolavo giù per i cavalloni crestati di schiuma. Quando arrivavo in cima, gli spruzzi mi sferzavano la nuca con schianti fortissimi, quasi simili a spari. Poi, quando scivolavo in basso, ero al riparo come se attorno il mare fosse calmo. Era davvero divertente ora che riuscivo a destreggiarmi! Siccome ancora non vedevo l’isoletta, non ci contai più: per orientarmi avevo solo gli alti crinali delle montagne. D’un tratto mi resi conto di essere quasi arrivato a casa e rientrai. Avrei voluto che quel viaggio, in cui spesso non avevo nemmeno bisogno di usare la pagaia, fosse durato di più: la forte pressione del vento mi faceva mantenere una velocità sostenuta, e utilizzavo la pagaia come timone.
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Con quella burrasca non c’era nessuno fuori, e quando ritornai mia moglie mi domandò: “perché non ti sei affrettato a rientrare prima che il vento salisse?” Le risposi “appena ho visto arrivare la burrasca mi sono affrettato a raggiungere un’isoletta. Là ho aspettato che aumentasse di intensità, e quando la forza del vento si è fatta più costante, ho puntato verso casa. Mi è sembrato di riconoscere la mia terra e sono arrivato senza danno, perché avevo il vento alle spalle.” Con mia moglie c’era anche Maqe che mi disse: “visto che esci quasi sempre da solo, tieni gli occhi bene aperti quando vai a caccia, e fa attenzione alle tempeste in arrivo, e non solo a quelle”. Risposi: “se durante una tempesta sono sottovento vicino alla costa, non rientro se la visibilità peggiora. Se sono sopravvento e la terra non scompare davanti ai miei occhi, allora rientro. L’unica cosa di cui di solito ho paura è pagaiare controvento”. Dopo queste parole Maqe mi disse: “devi sempre avere una pelliccia da kayak. E devi sempre prenderti cura come si deve della tua pelliccia da kayak, senza risparmiare grasso”. Intanto avevo preso un pezzo di carne, quello che preferivo in assoluto, e allora Maqe si rivolse di nuovo a me: “se la terra si trova sopravvento quando il Piteraq arriva all’improvviso, evita di alzare troppo la pagaia. Pagaiare a quel modo in una tempesta è faticoso. Bisogna invece tenere la pagaia appena rasente l’acqua e badare a non colpire le creste delle onde. E quando il vento è molto forte bisogna stare attenti a non consumare tutte le forze. E’ sufficiente evitare di farsi portare alla deriva dal vento. Quando poi la burrasca diminuisce un po’ di intensità, bisogna pagaiare di buona lena, e allora si raggiungerà la terra più rapidamente.”
Tratto dal libro IL MIO PASSATO ESCHIMESE di Georg Qupersiman.

martedì 18 marzo 2008

LO SVASSO MAGGIORE, IL DANZATORE DEL LAGO

Lo incontriamo spesso mentre siamo sul lago con il kayak e lui appena ci vede si tuffa sottacqua e sparisce alla nostra vista. E’ lo Svasso Maggiore e il suo nome scientifico è Podiceps Cristatus. E’il più grosso degli svassi, avendo una lunghezza totale di 46-51 cm., paragonabile ad un’anatra di medie dimensioni, ma con una corporatura notevolmente più snella e collo più lungo e sottile. Il nome latino si riferisce ai due ciuffi auricolari neri che lo rendono facilmente distinguibile dagli altri svassi. In livrea nuziale, è inoltre ornato da un collare a pennacchio castano e nero. Il dorso e la parte posteriore del collo sono grigio-brune.

Passa gran parte del tempo in acqua, nuotando con il dorso piatto ed il collo piegato all’indietro. Nidifica nei canneti o tra i giunchi costruendo una piatta forma ancorata alla vegetazione e galleggiante sulle acque stagnanti. Si nutre di piccoli pesci, insetti acquatici, molluschi, girini e rane. Usciti dal nido, i piccoli passano molto tempo trasportati sul dorso dei genitori.
Lo Svasso Maggiore ha un rituale di corteggiamento molto appariscente, durante il quale il maschio e la femmine, molto simili esteriormente, “danzano” muovendosi in sincronia correndo insieme sull’acqua o scuotendo alternativamente collo e testa.

domenica 16 marzo 2008

AVVISTATO STRANO "UCCELLO"



Un detto Olandese per descrivere una persona particolare.
Questo fine pomeriggio abbiamo potuto assistere ad uno spettacolo particolare. Le foto parlano da sè.
Abbiamo chiesto cosa stava facendo: si trattava di una "performance" intitolata Robinson Crusoe. In poche parole costruire la propria canoa come avrebbe fatto Robinson Crusoe.
Personalmente non penso che indossasse neoprene e aveva a disposizione una pagaia (mono) in plastica!

venerdì 14 marzo 2008

LA VITA SOCIALE DEGLI INUIT


Prima del contatto con l’uomo Bianco (Quallunnaat), gli Inuit erano un popolo nomade che viveva di caccia e pesca, raggruppato in piccoli nuclei autogovernati. La loro società era ampiamente ugualitaria, senza gerarchie o autorità, basata sulla libertà individuale e sull’interesse comune. Le decisioni si prendevano in gruppo con il consenso generale e le questioni di maggiore rilevanza erano discusse dagli anziani: ogni opinione era ascoltata con attenzione ma nessuna era vincolante. La cooperazione era essenziale per la sopravvivenza. La caccia agli animali artici richiedeva un gran numero di uomini e le provviste di ognuno erano a disposizione di chiunque ne avesse bisogno. Gli Inuit non conoscevano lo spirito di competizione, che in queste condizioni climatiche estreme sarebbe stato inopportuno e dannoso, avrebbe causato tensioni e provocato la separazione del gruppo diminuendo le possibilità di sopravvivenza.

mercoledì 12 marzo 2008

LUOGHI LARIANI

Per chi magari entra nel nostro blog e non è mai stato sul lago di Como, ecco un post (e qualche foto significativa) che ne descrive brevemente le bellezze paesaggistiche che si possono vedere e apprezzare navigando in kayak (ma non solo).
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All’epoca della sua massima espansione, la flotta dell’impero romano era organizzata in cinque ammiragliati. Uno di questi aveva il proprio quartiere generale in COMO ed aveva il compito di proteggere i traffici che collegavano la pianura alle regioni d’oltralpe. In duemila anni, l’importanza di questa via d’acqua per il nord non è mai venuta a meno ed eserciti, commercianti e viandanti hanno costeggiato i verdi crinali che si tuffano ripidi nel lago. A chi lo osserva, le sue forme ed il suo articolarsi in tre rami ricordano per aspetto un fiordo dei paesi scandinavi. Dei fiordi, il Lario ha anche la profondità: i – 410 metri del fondale rispetto alla superficie, raggiunti al lago di ARGEGNO gli attribuiscono il primato di secondo lago più profondo del continente europeo.
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I due capoluoghi (COMO e LECCO) sono adagiati alle propaggini meridionali del bacino. L’insenatura di COMO è un porto antichissimo e le origini della città rispecchiano quelle della sua importanza strategica. Risalente ai primi insediamenti dei Galli insubri, il nucleo storico comense è ancora parzialmente racchiuso da un imponente cinta murata che custodisce gioielli architettonici come il Duomo, il Broletto e scorci di edifici medioevali. Sul lago, il perimetro delle acque è punteggiato da una serie di ville che testimoniamo come nei secoli COMO fosse ritenuta residenza di prestigio. Villa Olmo, Villa Saporiti, Villa Gallia e Villa Parravicini hanno mantenuto intatto il fascino di eleganti signore affacciate al tepore del golfo lacustre.
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Insinuandosi verso nord, lungo il ramo comasco, su entrambe le sponde CERNOBBIO, MOLTRASIO, ARGEGNO, TORNO e LEZZENO sono paesini di pescatori e maestri d’ascia che, persa la vocazione economica originaria, hanno saputo garantire a che li scegliesse per soggiornare momenti di tranquillità scanditi dai rintocchi dei campanili che erano anche un modo di comunicare tra i paesi. La conca della TREMEZZINA, la penisola di BELLAGIO e il promontorio di MENAGGIO, con il borgo di VARENNA sulla sponda lecchese, sono probabilmente tra i paesaggi lacustri più celebrati dell’intero pianeta. Ville patrizie, architetture ottocentesche e atmosfere Belle Epoque contornano vie e portici dal sapore antico, dove un’antica trattoria può anche essere un prelibato intermezzo tra una passeggiata ad una chiesetta e una capatina a qualche bottega tipica.
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Alla confluenza dei tre rami, Capo Spartivento è il cuore del lago, il punto dove lo sguardo riesce a spaziare verso le alte vette spesso imbiancate di neve. Ai loro piedi, il territorio delle Tre Pievi, con DONGO, GRAVEDONA e DOMASO, fronteggia COLICO e il laghetto di PIONA, “un lago nel lago” impreziosito dall’antica abbazia. Ancora oltre, a nord, dove sembrerebbe cessare il bacino del grande Lario, un ponte immette nel pian di Spagna: lambendo le province di Lecco, Sondrio e Como, la riserva naturale si articola a cavallo tra il lago di Como e il lago di NOVATE MEZZOLA, le cui sponde si contrappongono tra canneti e scogliere vertiginose.
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Tornando verso il secondo capoluogo affacciato alle acque, sul litorale dominato dalle sagome del Monte Legnone e dalle Grigne, DERVIO, BELLANO e MANDELLO DEL LARIO sorgono su altrettanti coni detritici alla confluenza delle vallate lungo le quali la quota precipita dagli oltre 2.600 metri delle vette alla superficie del lago, a circa 200 metri s.l.m. Quando i quattro ponti di LECCO farebbero pensare all’inizio del fiume Adda, i laghi di GARLATE (dove ha la sede nautica il CK90) e di OLGINATE delimitano la parte meridionale della città lecchese che fu scenario al più celebre romanzo italiano (I Promessi Sposi), tra viuzze che ancora risalgono ai monti di aspetto dolomitico ed un lungolago dove è bello aspettare l’imbrunire per scoprire come i contorni smettono di essere delimitati dalla acque per essere disegnati dallo scintillio luminoso delle case dei piccoli borghi.
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martedì 11 marzo 2008

LA POSTURA IN KAYAK (PADDLING POSTURE)

Come ogni disciplina sportiva, anche il kayak da mare ha la sua posizione base, che rende l’esecuzione dei colpi più semplice ed elegante. Costituisce la posizione di partenza più favorevole per l’esecuzione della tecnica, e sbagliarla significa condizionare negativamente tutti i movimenti. La posizione base interessa la postura, l’impugnatura e la presa della pagaia (di cui abbiamo già parlato in un post precedente).
La postura è la corretta posizione del corpo in ogni fase del movimento.
In kayak i piedi vanno tenuti divaricati, con i talloni in appoggio sul fondo dello scafo rivolti verso l’interno, e gli avampiedi, appoggiati sul puntapiedi, verso l’esterno.
Le gambe sono leggermente flesse e le ginocchia divaricate, alloggiate, insieme alla parte bassa delle cosce, sotto il premicosce.
Il bacino è in appoggio sul sedile in anteroversione: inarcando la schiena, la parte alta del bacino ruota in avanti, quella bassa indietro. Questa posizione è di fondamentale importanza per mantenere una corretta postura del tronco; può sembrare scomoda, ma è quella che più di ogni altra mantiene le curve fisiologiche della colonna vertebrale prevenendo sintomatologie dolorose.
La schiena è dritta e inclinata leggermente in avanti, le spalle sono decontratte. L’errore più frequente dei principianti (ma non solo) è quello di sollevare le spalle incassando il collo: ciò comporta contratture della zona cervicale e delle spalle, creando dolori muscolari e limitando i movimenti del busto.
La posizione della testa è rilassata: allungare il collo in modo innaturale contrae la zona cervicale, mentre tenere bassa la testa crea problemi di respirazione e di visibilità.

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lunedì 10 marzo 2008

IL SEBINO E LE SUE MILLE SFUMATURE... DI GRIGIO

Si, perchè sabato, sul lago d'Iseo, i grandi assenti sono stati i colori e il sole, che nel corso della giornata non ci ha degnato nemmeno di uno sguardo. Ci ha tenuto invece costantemente compagnia per tutto il tempo un cupo cielo grigio. Anche il vento è venuto a farci visita, lungo il tragitto di ritorno, tanto per tenerci più freschi e pimpanti. Condizioni meteo a parte, che dopo tutto non son state poi così avverse, ci siamo fatti una bella pagaiata di quasi 29 chilometri, come sempre in ottima compagnia. La poca luce e una leggera foschia hanno reso il paesaggio comunque affascinante, quasi spettrale.
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Le pareti rocciose a picco sull'acqua, ricamate da centinaia di strati di pietra ripiegati in sinuosi disegni dalle imponenti forze che hanno dato origine all'orogenesi alpina, viste dal kayak appaiono ancora più alte e imponenti, come quelle del Bogn di Zorzino, uno spettacolare orrido rupestre nascosto in una piccola baia, Poco a nord di Riva di Solto.
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Molto belle anche le due piccole isole, quella di S. Paolo e di S. Loreto, rispettivamente a sud e a nord di Monte Isola, che sembravano sospese in un tuttuno plumbeo di acqua e cielo.
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L'atmosfera era quasi da Highlands scozzesi.. mancava giusto il mostro di Loch Ness. Chiudo ringraziando Luciano per l'organizzazione, i partecipanti per la compagnia e la simpatia e il gestore del Camping Olivella di Pilzone per l'ospitalità. Come sempre ecco alcune foto dell'uscita. Alla prossima.

L’ARGENTO (VIVO) DEL LARIO

Agli Inuit del Lario, oltre che a infilare le gambe nel pozzetto di un kayak, piace anche metterle sotto il tavolo per gustare un ottimo piatto della cucina Lariana. E quindi perché non parlare del pesce del nostro lago? Pesce di lago o di fiume… certamente qualcuno storcerà il naso. Da sempre questo prodotto è stato considerato di serie B rispetto a quello di mare. Ma è una fama assolutamente immeritata perché se ben cucinato anche il pesce d’acqua dolce può dare grandi soddisfazioni al palato. Lavarelli, salmerini, trote, anguille, tinche, bottatrici, l’elenco è lungo e i modi di preparazione innumerevoli. Il pesce più pregiato è sicuramente il temolo, che vive (o meglio sopravvive) nei fiumi. Però ne sono rimasti pochissimi e che li pesca non li porta certo ai ristoranti, li tiene per sé. Mentre il miglior pesce dal punto di vista organolettico è il salmerino, e che proprio per le sue qualità non dovrebbe mai essere abbinato con ingredienti che ne alterino il sapore. A livello economico il pesce più importante del lago di Como è indubbiamente il lavarello, ma chi conosce bene il ramo lecchese del Lario sa bene dell’esistenza di un pesce che nel corso dei secoli (le prime tracce scritte risalgono al 1600) si è ricavato un posto d’onore tra le cosiddette “specialità”. Si tratta dell’Alosa fallax lacustris, più conosciuto con il nome di Agone.
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Un pesce dalla forma allungata (mediamente misura 25 cm e pesa 50 grammi), di colore verdazzurro sul dorso e argenteo sui lati, la cui pelle squamosa è caratterizzata da una serie di macchioline scure. Un pesce piuttosto anonimo, ma che sotto forma di missoltino (l’agone essiccato) è diventato una vera celebrità. La metamorfosi di missoltino ha delle fasi e delle regole ben precise. Un volta pescato, il pesce viene sviscerato (i pesci d’acqua dolce vanno sempre puliti appena pescati per non correre il rischio che prendano cattivi odori: la loro carne è come una spugna), salato e messo a essiccare al sole su apposite strutture in legno. Prima di essere pronti per la stagionatura, gli agoni devo prendere almeno 48 ore di sole, poi vengono disposti a croce con qualche foglia di alloro, in appositi contenitori, e così inizia la stagionatura vera e propria. Stagionatura che dura cinque mesi.
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La pesca degli agoni (rigorosamente vietata da metà maggio a metà giugno, periodo di maggiore riproduzione) si concentra prevalentemente nella seconda quindicina di giugno e agli inizi di luglio: se si considera il tempo di essiccazione e di stagionatura diventerà (come per tradizione) un ottimo piatto natalizio. Per consumarli (sempre secondo tradizione) basta passarli alla griglia, giusto il tempo di riscaldarli, e servirli con una spruzzatina di aceto, un filo d’olio e un po’ di polenta che ne ammorbidisce il sapore (sono molto salati).

venerdì 7 marzo 2008

TIMONE O DERIVA… OPPURE NULLA?

Eccovi l’autorevole parere di Maurizio del Lario Sea Kayak (http://larioseakayak.blogspot.com/) sull’argomento timone e deriva.

“Ragazzi non posso incominciare questo commento senza farvi di nuovo i complimenti per il blog!
Torniamo a noi, personalmente sono sempre stato scettico riguardo all'utilizzo di derive, timoni ecc... ho sempre pensato che un buon kayak dovesse essere governabile solamente tramite l'inclinazione dello scafo (le pance) e l'utilizzo della pagaia. Recentemente però ho cambiato radicalmente la mia posizione. Per molti anni ho avuto kayak privi di deriva o timone, alcuni erano decisamente poggieri (la prua veniva scadeva nel vento, situazione abbastanza pericolosa...) altri orzieri (la prua chiudeva l'angolo al vento, meno pericoloso ma comunque faticoso) e devo comunque riconoscere che salvo alcuni modelli particolarmente sfortunati non ho mai sentito la reale necessità di avere un timone o una deriva a bordo. La tendenza attuale d'oltre manica è quella di dotare tutti i kayak di deriva basculante a cavo. L'altro modello classico è quello a baionetta, che però presenta diverse controindicazioni, si intasa più facilmente con detriti e altro, è più difficile da regolare di fino e toglie non poco spazio al gavone di poppa, dovendolo di fatto attraversare. Parlavamo di deriva basculante a cavo, bene questo è il meccanismo che si è recentemente imposto, è composto da una "pinnetta" che fuoriesce come una mezza lama di forbice dalla parte poppiera del kayak; notate bene non è posizionata alla poppa estrema ma bensì in posizione + avanzata. Questo consente alla deriva di rimanere sempre immersa e di agire come un fulcro attorno al quale il kayak orza o poggia, a seconda dell'immersione della deriva stessa. Io non vorrei addentrarmi nella discussione tecnica più di quanto abbia già fatto... personalmente consiglio nel modo più assoluto di acquistare un kayak dotato di deriva A CAVO. E' facilmente regolabile e vi permette veramente di gestire lo scarroccio e la direzionalità nel vento in modo completamente nuovo, sacrificando ben poco (a mio avviso meno che con il timone) dal punto di vista dell'efficienza propulsiva. Vi cito un ultimo nome: "Kari-tek" (http://www.kari-tek.co.uk/SkegSystems.html) sono lo stato dell'arte di questo tipo di dispositivi, sono state una piccola rivoluzione in UK in quanto le prime a essere vendute direttamente in un "astuccio" da inserire nella scassa del kayak, questo facilita enormemente la sostituzione in caso di guasto. Saluti a tutti. Maurizio.”

giovedì 6 marzo 2008

PAGAIANDO TRA I BANCHI DI GHIACCIO

“Il ghiaccio invernale era appena stato portato verso il largo, e grossi blocchi di banchisa avevano invaso il fiordo, come succedeva sempre in primavera. Appena di formavano aperture nel ghiaccio uscivamo in kayak. Un giorno uscimmo in due o tre per andare a caccia, poiché il tratto di mare sgombro era un poco aumentato; il tempo era splendido e le alte montagne si specchiavano nell’acqua. Presi una foca quasi subito e mi diressi verso casa perché c’era troppa banchisa. Sulla via del ritorno incontrai due cacciatori in kayak, Auvartik e un altro. Ci avviammo verso casa e il viaggio filò abbastanza liscio fino a quando giungemmo a un varco tra due grossi banchi di ghiaccio. Il passaggio era molto stretto. Il terzo cacciatore ci precedeva di un bel po’; io ero in mezzo e cominciai a forzare l’apertura. Probabilmente la corrente cambiò, perché i blocchi cominciarono ad avvicinarsi l’uno all’altro molto velocemente. I fianchi erano alti e ripidi: mi era impossibile smontare dal kayak ed ero arrivato esattamente a metà. Chiamai il cacciatore che mi precedeva e lo vidi voltarsi verso di me. Ma proseguì in fretta per non rimanere schiacciato tra i ghiacci; io non avevo nessuna possibilità di uscire dal kayak. In un attimo rimasi schiacciato tra i banchi e il mio kayak andò completamente distrutto. Poiché anche le mie gambe furono stritolate, non riuscii a trattenermi e gridai per il gran dolore. Poi, però, i banchi si fermarono. Non sapevo in che condizioni fossero le mie gambe, ma alla fine riuscii a trascinarmi fuori dal mio kayak, e allora mi resi conto che erano completamente inutilizzabili. Mi misi a strisciare con la sola forza della braccia. Fatto strano, non persi conoscenza. Mi trascinai sul banco di ghiaccio e mi distesi. I banchi si scostarono di nuovo, ma c’erano ancora molti blocchi galleggianti. Ci volle un po’ prima che apparisse un tratto di mare completamente sgombro… Meno male che apparve Auvartik. Quando i banchi avevano cominciato ad avvicinarsi si era fermato – era l’ultimo della fila – e aveva aspettato. Il primo kayak, che era uscito a passare all’ultimo momento, aveva fatto il giro dei banchi di ghiaccio e aveva raggiunto l’ultimo dicendogli: ‘il nostro terzo uomo è rimasto schiacciato tra i banchi di ghiaccio e probabilmente è stato inghiottito dal mare’. Allora era salito sul banco di ghiaccio per rendersi conto della situazione. Non si aspettava di trovarmi, ma aveva una debole speranza di riuscire a recuperare la mia foca o qualcuno dei miei attrezzi, o di vedere se il mio kayak era tornato a galla. Lo era, ma in mille pezzi. Provai a usare le gambe, e andò abbastanza bene. Legammo insieme i kayak, e mi portarono fino a casa. Dovetti aspettare un intero mese prima che le mie gambe guarissero completamente. Solo molto tempo dopo mi feci un nuovo kayak e ricominciai a cacciare.”

Tratto dal libro IL MIO PASSATO ESCHIMESE di Georg Qupersiman.

martedì 4 marzo 2008

PAGAIATA SUL SEBINO - IL PERCORSO

Per soddisfare la curiosità di qualche Inuit del Lario ho preparato questa bella cartina con il percorso dell'escursione che andremo a fare questo sabato. La distanza da percorrere sarà approssimativamente di 26 km.

lunedì 3 marzo 2008

CHE COS’E IL KDM?


Ovvero che cos’è il Kayak da Mare? Lo scopo di questo post è spiegare brevemente la nostra disciplina sportiva, la nostra passione e il nostro modo di navigare.
Ed è rivolto a chi entra per la prima volta nel nostro blog, a chi vuole magari fare un corso di kayak presso il CK90, a chi è confuso su cosa è una canoa o su cosa è invece un kayak…

Questa breve ma significativa spiegazione è la presentazione del libro IL KAYAK DA MARE – NAVIGARE COME GLI ESCHIMESI.

“Si chiama kayak la tradizionale imbarcazione in pelle usata dagli esquimesi per pescare e cacciare nelle gelide acque dell’Artico. Secoli di utilizzo in situazioni d’impiego estreme, quasi al limite del possibile, hanno portato allo sviluppo di uno scafo assolutamente affidabile e manovriero, stabile e veloce, in grado di navigare in ogni condizione di tempo.
Il kayak si distingue da ogni altro tipo di canoa per la caratteristica forma affusolata, la prua e la poppa leggermente incurvate verso l’alto, il piccolo pozzetto munito di paraspruzzi – largo quanto basta per farvi passare il busto di un uomo – e la doppia pagaia con cui manovrare agevolmente tra i flutti. Con questa leggera ma robusta imbarcazione, che il kayakista quasi ‘calza’ diventando tutt’uno con essa, si possono affrontare lunghe e avventurose traversate, con la barca affardellata di tutto ciò che occorre per navigare e sopravvivere…
Il kayak da mare moderno, diretto discendente dalle imbarcazioni usate dagli esquimesi e dalle popolazioni indigene dell’estremo Nord americano, è nato nel 1865 ad opera dell’inglese John McGregor, costruttore della famosa canoa Rob Roy. I primi modelli erano per lo più realizzati in tela cerata su tutori di legno, e solo approssimativamente somigliavano, sia nella forma che nelle prestazioni, ai loro progenitori polari.
Fu con l’avvento della vetroresina, nei primi anni ’60 del secolo scorso, che i costruttori di kayak ebbero finalmente la possibilità di realizzare scafi dalle linee morbide e gradevoli, meno bizzarri e assai più funzionali dei modelli precedenti, ovvero più simili all’archetipo esquimese. Grazie alla vetroresina, fu possibile industrializzare la produzione di scafi sportivi e da diporto, favorendone la diffusione di massa e procedendo contemporaneamente allo sviluppo di una tipologia di kayak appositamente concepita per la discesa fluviale.
Il rapido progresso tecnologico avvenuto negli ultimi anni ha impresso una forte accelerazione all’evoluzione del kayak da mare, portando a una diversificazione delle tipologie e dei materiali, e soprattutto allo sviluppo di configurazioni e soluzioni tecniche in grado di offrire prestazioni eccezionali. Alcuni modelli di kayak da mare sono stati collaudati in importanti spedizioni e traversate, sottoposti a condizioni di mare durissime, e dunque offrono garanzie di affidabilità e funzionalità decisamente ‘professionali’. Ma sul mercato è possibile trovare di tutto: dagli scafi in polietilene, economici e robusti, a quelli corredabili di vela ausiliaria; dai classi kayak biposto, ideali per il camping nautico, a quelli ‘sagomati’ per il noleggio balneare.
Il kayak da fiume, evolutosi successivamente in tre tipologie specializzate – discesa, slalom e waterpolo – si distingue del suo ‘progenitore’ marino per lo scafo più corto, l’assenza di chiglia e una manovrabilità piuttosto accentuata, cui si associa una minor capacità di tenere la rotta. Questo tipo di imbarcazione ha conosciuto un enorme successo in Italia, ben più di quanto sia accaduto per il kayak da mare, che invece è popolarissimo in altri Paesi come Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia. La maggior parte degli italiani è convinta che il kayak moderno sia essenzialmente un’imbarcazione fluviale, con cui si compiono discese mozzafiato tra le rapide impetuose dei fiumi montani. Solo un’esigua minoranza sa che di questa imbarcazione esiste anche (soprattutto!) una versione marina, e pochi, pochissimi tra questi ‘illuminati’ sanno che andar per mare con kayak non significa semplicemente pagaiare su e giù per la costa, bensì mettere in pratica una disciplina complessa, articolata, di elevatissimo profilo tecnico.
Il kayak da mare è una barca divertente, con cui si possono compiere straordinarie acrobazie fra le onde, ma che trova il suo impiego ideale nell’escursionismo e nel camping nautico, un tipo di turismo piuttosto spartano, di sapore avventuroso e decisamente avvincente. Ovvio che navigare con un’imbarcazione così ridotta, provvista di strumentazione minima, poco visibile e relativamente lenta impone, ai fini della sicurezza, una buona conoscenza dell’ambiente marino e costiero in cui s’intende compiere le proprie escursioni. Non improvvisate, dunque: documentatevi e leggete quanti più libri potete sull’argomento. E soprattutto iscrivetevi a un buon corso teorico-pratico di kayak da mare. Detto questo, buona navigazione a tutti!”
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