Agli Inuit del Lario, oltre che a infilare le gambe nel pozzetto di un kayak, piace anche metterle sotto il tavolo per gustare un ottimo piatto della cucina Lariana. E quindi perché non parlare del pesce del nostro lago? Pesce di lago o di fiume… certamente qualcuno storcerà il naso. Da sempre questo prodotto è stato considerato di serie B rispetto a quello di mare. Ma è una fama assolutamente immeritata perché se ben cucinato anche il pesce d’acqua dolce può dare grandi soddisfazioni al palato. Lavarelli, salmerini, trote, anguille, tinche, bottatrici, l’elenco è lungo e i modi di preparazione innumerevoli. Il pesce più pregiato è sicuramente il temolo, che vive (o meglio sopravvive) nei fiumi. Però ne sono rimasti pochissimi e che li pesca non li porta certo ai ristoranti, li tiene per sé. Mentre il miglior pesce dal punto di vista organolettico è il salmerino, e che proprio per le sue qualità non dovrebbe mai essere abbinato con ingredienti che ne alterino il sapore. A livello economico il pesce più importante del lago di Como è indubbiamente il lavarello, ma chi conosce bene il ramo lecchese del Lario sa bene dell’esistenza di un pesce che nel corso dei secoli (le prime tracce scritte risalgono al 1600) si è ricavato un posto d’onore tra le cosiddette “specialità”. Si tratta dell’Alosa fallax lacustris, più conosciuto con il nome di Agone.
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Un pesce dalla forma allungata (mediamente misura 25 cm e pesa 50 grammi), di colore verdazzurro sul dorso e argenteo sui lati, la cui pelle squamosa è caratterizzata da una serie di macchioline scure. Un pesce piuttosto anonimo, ma che sotto forma di missoltino (l’agone essiccato) è diventato una vera celebrità. La metamorfosi di missoltino ha delle fasi e delle regole ben precise. Un volta pescato, il pesce viene sviscerato (i pesci d’acqua dolce vanno sempre puliti appena pescati per non correre il rischio che prendano cattivi odori: la loro carne è come una spugna), salato e messo a essiccare al sole su apposite strutture in legno. Prima di essere pronti per la stagionatura, gli agoni devo prendere almeno 48 ore di sole, poi vengono disposti a croce con qualche foglia di alloro, in appositi contenitori, e così inizia la stagionatura vera e propria. Stagionatura che dura cinque mesi.
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La pesca degli agoni (rigorosamente vietata da metà maggio a metà giugno, periodo di maggiore riproduzione) si concentra prevalentemente nella seconda quindicina di giugno e agli inizi di luglio: se si considera il tempo di essiccazione e di stagionatura diventerà (come per tradizione) un ottimo piatto natalizio. Per consumarli (sempre secondo tradizione) basta passarli alla griglia, giusto il tempo di riscaldarli, e servirli con una spruzzatina di aceto, un filo d’olio e un po’ di polenta che ne ammorbidisce il sapore (sono molto salati).
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