"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

mercoledì 14 gennaio 2009

LA DISPONIBILITA’ DI ACQUE IN LOMBARDIA

Alto LarioLa superficie regionale di 24.000 km2 circa, per il 42% in zona montana e il 13% in zona collinare, presenta una piovosità media di 1000 mm/anno circa, che varia però sensibilmente all’interno del territorio con punte che superano i 2000 mm/anno nel varesotto, bacino del Lago Maggiore e sul crinale orobico. Il volume dell’afflusso medio annuale derivante dalle piogge si aggira quindi intorno ai 27 miliardi di m3. A questo si aggiungono un volume di riserve (intesa come disponibilità non rinnovabile) stoccate in regione di circa 120 miliardi di m3 nei laghi, di circa 500 miliardi di m3 nelle falde sotterranee e di circa 4 miliardi nei ghiacciai alpini. Il volume delle precipitazioni rinnovabile annualmente rappresenta la vera risorsa, utilizzabile e riutilizzabile. Gli ulteriori volumi rappresentano le riserve regionali, cioè quanto in un quadro di sviluppo sostenibile dovrebbe essere armoniosamente conservato per le generazioni future e come tale preservato o se utilizzato reintegrato.


Lago di Olginate e Grignetta innevata

Purtroppo alcune riserve sono difficilmente preservabili, i ghiacciai alpini, infatti arretrano ormai da anni e risulta molto complessa qualsiasi azione per limitare questo fenomeno. In area alpina, dall’OcCC (Organo consultivo per i Cambiamenti Climatici) svizzero viene stimata una riduzione del 75% dell’area glacializzata entro il 2060. Sempre gli svizzeri stanno sperimentando possibili interventi con coperture con teli sintetici protettivi, tuttavia questo tipo di intervento si giustifica solo per tutelare infrastrutture che potrebbero essere danneggiate da dissesti connessi allo scioglimento. Sicuramente di importanza fondamentale è la gestione del patrimonio di acque lacuali e sotterranee che costituiscono la ricchezza della Lombardia.

Lago di Annone
Giova comunque valutare l’ammontare delle precipitazioni anche, in modo relativo, oltre che in termini assoluti. L’area alpina, molto rilevata rispetto alle aree circostanti, costituisce la zona più piovosa di tutto il continente eurasiatico, con un prezioso contributo delle nevi, che rappresentano un volume “congelato” (non solo in senso metaforico) che si rende disponibile in tempi lunghi invece che defluire rapidamente. In un sistema di riferimento a scala europea si osserva molto bene che la zona centrale delle alpi si caratterizza per una piovosità elevata, ha indubbiamente favorito lo sviluppo di una delle più ricche attività agricole in Europa.

Palude di Brivio - fiume Adda.
Foto di Eppiluk, Peteraq e Kayatrek (INUIT DEL LARIO)

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lunedì 12 gennaio 2009

I PONTI DELL’ADDA LECCHESE

Lecco e suoi ponti
La sede nautica del CK90 è situata a Vercurago (LC) sulla sponda meridionale del lago di Garlate. Da qui è possibile risalire a Nord l’Adda e in pochi chilometri pagaiare nel grande Lario oppure trasbordare sotto la diga di Olginate e scendere a Sud l’Adda fino a Paderno d’Adda. In questi due tragitti di Adda emissario, gli Inuit del Lario passano sotto a molti ponti stradali e ferroviari. I principali e caratteristici ponti sul fiume Adda nel tratto tra Lecco e Paderno d’Adda sono i seguenti:

Ponte Vecchio
Il Ponte Azzone Visconti (comunemente chiamato Ponte Vecchio), tra Galbiate/Malgrate e Lecco; scavalca il breve tratto di Adda emissario tra il Lario e il lago di Garlate. Realizzato negli anni 1336-1338 per volere di Azzone Visconti. Costituito in origine da otto arcate a tutto sesto e successivamente implementate nel numero per consentire l’allargamento dell’alveo dell’Adda.

Terzo PonteIl Ponte Manzoni (comunemente chiamato Terzo Ponte), tra pescate e Lecco; segna il confine Nord tra Adda emissario e Lago di Garlate. Costruito nel 1985.

Ponte di Paderno d'Adda

Il Ponte di San Michele, tra Paderno d’Adda e Calusco (BG). Progettato dall’Ing. Julius Rothlisberger e realizzato negli anni 1887-1889. Realizzato totalmente in ferro, in un solo arco di 150 metri di corda, impostato su de importanti spalle di pietra e sormontato da una travata metallica lunga 266 metri, resa solidale con l’arco di sei piloni metallici nella quale trovano sedime la strada provinciale e la linea ferroviaria.

Ponte di OlginateIl Ponte di Olginate, tra Olginate e Calolziocorte; subito dopo la diga di Olginate, sopra l’Adda prima che inizi il lago di Olginate. Ponte romano, si ritiene che lo stesso fosse costituito da arcate a tutto sesto e avesse uno sviluppo di circa 150 metri. Si attribuisce la costruzione al III o IV secolo d.C. Oggi è visibile l’arcata di un precedente manufatto collocato nel I secolo d.C.

Ponte NuovoIl Ponte Kennedy (comunemente chiamato Ponte Nuovo), tra Malgrate e Lecco; segna il confine dove finisce il Lario e inizia l’Adda emissario. Realizzato nel 1956.

Ponte di Brivio

Il Ponte di Brivio; tra Brivio e Cisano Bergamasco (BG). Manufatto la cui costruzione fu avviata nel 1911 viene inaugurato nel 1917. Realizzato in calcestruzzo si caratterizza per la tipicità della struttura, costituita da archi rialzati, che sostengono l’impalcato. Il ponte, ardita costruzione per l’epoca in cui venne realizzata, ha una luce complessiva di 135 metri ripartita su tre campate.


Il Ponte Cesare Cantù finito di costruire nel 2010 è una struttura strallata di calcestruzzo armato faccia a vista e acciaio; collega i Comuni di Olginate e Calolziocorte.

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venerdì 9 gennaio 2009

ACQUA E ROCCIA: “MARI” DELLE PREALPI E ISOLE BLU

Lario e montiI grandi laghi prealpini esprimono pienamente il senso dell’opposizione tra “mare” e monte, perché accomunano acqua e roccia, orizzontale e verticale, blu di “terra” e blu di cielo in spazi ristretti. Pur assomigliando a piccoli mari, balenabili e navigabili, fanno parte a tutti gli effetti dell’universo alpino.

Monte Barro, Lario, Adda e Lago di GarlateAlla fine aveva ragione il Manzoni nei Promessi Sposi: “Monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente…” E’ questa la prima caratteristica dei grandi laghi prealpini e della gente che li abita: la dipendenza dalla roccia e non dall’acqua, il radicamento ai pendii e non alle coste. Anche il mito delle palafitte, è in buona parte da buttare via, perché, come nota Francesco Fedele, “non è vero che nei laghi delle Alpi e delle Prealpi l’abitazione avesse luogo sull’acqua. Così come non è vero che i “palafitticoli” o lacustres fossero una civiltà a sé. Il miracolo delle palafitte si riduce al fatto che acqua e torba hanno conservato i pali e il legno, mentre i villaggi su terra sono scomparsi”.

Monte Moregallo e barche a vela sul LarioEppure i laghi prealpini offrono realtà tipiche delle terre d’acqua, per esempio la vicenda secolare della navigazione lacustre, la storia dei pesci e dei pescatori di lago, la biodiversità sotto il pelo dell’acqua. Il fatto è che, barche a parte, pesci e pescatori sono presenze quasi “clandestine” e io li accomunerei a noi “kayakers di lago” che come i pescatori che ancora lavorano sui nostri laghi, possono essere definiti con un po’ di enfasi “uomini invisibili”, che pescano (o pagaiano) lontani dai luoghi più frequentati, in un ambiente che solo loro (e noi pagaiatori) conosciamo in tutti i suoi diversi aspetti: fondali, coste, correnti e venti, pesci e uccelli.

L'alto LarioInfine i laghi prealpini sono terra di gente, autoctone e non. Alcune delle città più densamente abitate sorgono sui laghi (Lecco per esempio), alcune coste sono costruite fino all’ultimo centimetro, ville e alberghi segnano le villeggiature. Perché intorno ai laghi schiacciati dalle montagne lo spazio è avaro, e l’acqua, sulle carte geografiche, è solo un’isola blu.

Lecco e il LarioTesto di Enrico Camanni – editoriale della pubblicazione n. 18 “’Mari’ delle Alpi” del periodico Alpe e modificato da Nerrajaq.
Foto di KAYATREK (Inuit del Lario).
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mercoledì 7 gennaio 2009

IL PIRO PIRO PICCOLO, IL BALLERINO DEL LAGO

Mentre pagaiamo lo vediamo che spaventato dal nostro kayak vola via radente sull’acqua.
Appartiene all’ordine Charadriiformes, famiglia Scolopacidae. Il suo nome scientifico è Actitis hypoleucos. E’ il più piccolo dei piro piro, di colore grigio-marrone, sottilmente striato di nero sul capo e sul collo, con una evidente fascia scura sul petto, che contrasta nettamente con il piumaggio bianco delle parti inferiori. Durante il volo, effettuato con piccoli e rapidi colpi d’ala, si notano la bianca barra alare e il groppone scuro. Buoni caratteri distintivi al suolo sono invece il copro e la coda relativamente lunghi (19-21 cm complessivamente), le zampe e il becco corti e l’abitudine di muovere rapidamente su e giù la parte posteriore del corpo.

Particolarmente adattabile, nidifica sai in ambiente mediterraneo sia nelle fredde steppe, dal livello del mare fino a 4000 m di altitudine. Legato alla presenza di acque, preferibilmente correnti e con sponde ciottolose, per costruire il nido necessita di una buona copertura vegetale, mentre in migrazione e per la ricerca degli insetti di cui principalmente si nutre, frequente anche sponde spoglie, sabbiose o fangose. E’ una specie solitaria e monogama, con territori ben definiti e difesi. In Italia è migratore, ma anche svernante e nidificante; frequenta diversi corsi d’acqua e laghi lombardi (è facile vederlo sul lago di Garlate).

Una curiosità sul piro piro piccolo: i pulcini, per sfuggire ai predatori, di solito restano nascosti e immobili, ma se, costretti, fuggono, correndo o nuotando, per alcuni tratti addirittura sott’acqua!

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sabato 3 gennaio 2009

STORM & TEMPEST DI AVATAK PAGAIE


COSA SONO: molti ne hanno sentito parlare, altri sanno già di che si tratta. Praticamente si tratta di pagaie di linea groenlandese o aleutina con pale di lunghezza normale, ma con impugnatura cortissima, appena sufficiente per le due mani affiancate. La sua lunghezza totale è sempre inferiore a cm. 200. Ciò fa si che, mentre una pala è immersa nell'acqua, la parte esposta al vento rimane alquanto ridotta. Pertanto, come dice la parola stessa, sono pagaie per condizioni atmosferiche proibitive.

COME SI USANO: si inizia tenendo le due mani unite sull'impugnatura della pagaia; si passa una delle due mani all'estremità corrispondente; si esegue così la prima pagaiata; a fine corsa si riporta la mano esterna sull'impugnatura; si passa l'altra mano all'altra estremità; si esegue così la seconda pagaiata. La navigazione prosegue ripetendo questi gesti.

VANTAGGI:
- parte esposta al vento molto ridotta
- abbastanza pratica come pagaia di scorta
- pratica per manovre di eskimo
- comoda per navigare tra canneti o sotto rami

SVANTAGGI:
- richiede un ottimo allenamento
- costa come una pagaia normale

ALTERNATIVE (consigliate da Niko):
- una pagaia di linea aleutina corta (NUNAVIK cm. 224) meglio se divisibile da tenere sul ponte, si impugna con entrambe le mani, all'occorrenza se ne usa metà (tra canneti e rami)
- una pagaia divisibile in 3 pezzi di lunghezza normale e che, all'occorrenza, si riduce a cm. 224 con tutte le possibilità sopra descritte. Già disponibile!


Testo e foto di Nicola "NIKO" De Florio.
Maggiori info si trovano sul sito www.avatakpagaie.com
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mercoledì 31 dicembre 2008

RIPENSARE IL PROGRESSO - PARLANO GLI INUIT

I popoli del Grande Nord sono stati tra i primi a denunciare il cambiamento climatico rivendicando fortemente a livello locale e internazionale un ruolo primario nel dibattito e nella definizione di politiche che riguardano proprio il clima. Testo di Maurizio Torretti.


In particolare, la sfida degli Inuit canadesi non è quella di fermare il progresso, ma di ripensarlo sotto il segno di un nuovo e più equilibrato rapporto con l’ambiente naturale. Da undici anni è questa la missione di Sheila Watt-Cloutier, ambientalista e attivista canadese per i diritti delle popolazioni Inuit candidata al premio Nobel per la pace. Alcuni giorni fa lo hanno ricordato a Roma anche gli Inuit Jeela Palluq, esperta di lingua Inuktitut, e Jobie Weetaluktuk, scrittore, giornalista e produttore cinematografico, nel corso di una conferenza organizzata dall’Ambasciata del Canada per favorire una maggiore conoscenza nell’opinione pubblica della cultura Inuit e dei problemi climatici da cui è minacciata. Non è un mistero, infatti, che oggi sia proprio l’Artico il barometro per l’ambiente globale, il misuratore degli effetti nefasti del cosiddetto global warming.“Ormai stanziale dal 1970, quella degli Inuit è una cultura in piena trasformazione che vive in equilibrio tra cambiamento e progresso, tradizione e modernità” hanno affermato i due ospiti Inuit “è una società solidale ed egualitaria, ancorata ai valori tradizionali che sono sopravvissuti alle influenze esterne, ma sradicata dal sistema di vita nomade che un tempo la caratterizzava e che si svolgeva in terre vastissime al limite dell’esistenza umana in un perfetto equilibrio fra natura e ambiente”. Una cultura che vive oggi nell’incertezza di un futuro condizionato dal problema di un’atmosfera sempre più satura di Co2 e dai rischi connessi alle future scelte economiche delle nuove potenze.


Lo scioglimento dei ghiacci e l’impatto sull’ecosistema artico minacciano direttamente quarantamila Inuit canadesi e quel che resta degli stili di vita tradizionali sopravvissuti al progresso. Anche se negli ultimi anni le autorità canadesi hanno dato il via a numerose iniziative a favore degli Inuit con investimenti e normative più efficienti per la salvaguardia delle culture autoctone e degli immensi spazi polari, la grande preoccupazione del popolo Inuit resta la vulnerabilità delle loro comunità e la precarietà della loro economia di base di fronte alla minaccia del cambiamento climatico. “ Nella nostra cultura gli anziani interpretavano i segnali della natura per capire quando e come pescare o cacciare. Oggi il clima è impazzito e non è più possibile fare previsioni di nessun tipo” ha ricordato Jeela Pallug. L’innalzamento del livello del mare, il disgelo del permafrost (lo strato di terra ghiacciata che oggi a causa dell’innalzamento delle temperature sta sprofondando), gli iceberg alla deriva, la scomparsa delle vie di comunicazione che collegano le varie comunità, l’ erosione delle coste, le mareggiate violentissime, le migrazioni “impazzite” di animali e uccelli non più scansionate dai ritmi biologici, sono soltanto alcuni dei fenomeni evidenziati nel corso dell'incontro con Jeela Palluq e Jobie Weetaluktuk, i quali hanno sottolineato che quello del global warming è un problema che non investe soltanto la vita degli Inuit ma si tratta un'emergenza di dimensioni più vaste che riguarda l’intera comunità internazionale. Rispetto a questa e ad altre delicate questioni che riguardano gli abitanti dell’Artico – enorme potenziale del futuro canadese - e affinché essi continuino ad avere un ruolo importante nel futuro della regione circumpolare sia localmente che a livello internazionale, il Canada, ha promesso che continuerà a lavorare strettamente con i sei gruppi indigeni internazionali che sono membri permanenti del Consiglio Artico, tra cui il Consiglio Circumpolare degli Inuit.