Il popolo Inuit aveva già sostenuto incontri traumatici con i balenieri e con i commercianti di pellicce; il contatto con i nuovi arrivati aveva comportato molte conseguenze negative, come la diffusione di malattie fino a quel tempo sconosciute, l’abuso di alcool e lo sfruttamento delle risorse artiche (pelli di grande valore venivano scambiate con oggetti di nessun conto). Tuttavia, la vita dell’Artico americano, comprendendovi anche la Groenlandia, era riuscita a conservare parte della propria cultura tradizionale, con i suoi rischi e i suoi sacrifici quotidiani, con una popolazione dispersa in piccole comunità e spesso irraggiungibile nel caso di calamità o per interventi sanitari.
La Seconda Guerra Mondiale portò uno sconvolgimento senza precedenti nei territori del Nord: furono costruiti dappertutto osservatori meteorologici, campi di aviazione, depositi alimentari e basi militari. A queste opere parteciparono molti abitanti locali, che si dimostrarono assai abili e di grande utilità nel consigliare, in base alla loro esperienza, i colonizzatori. Al termine della guerra, molti impianti vennero abbandonati e l’ombra di una crisi economica sfiorò tutte quelle comunità che avevano cominciato ad adeguarsi a un nuovo modello di vita.
Ma un secondo “boom” economico scosse ancora una volta l’Artico. Cessata l’intesa fra gli alleati, Stati Uniti e Unione Sovietica si trovarono a fronteggiarsi in un nuovo tipo di guerra, che consisteva nell’immobilità sorvegliata. Le regioni rimaste isolate durante la Seconda Guerra Mondiale, lungo l’arco esteso della Groenlandia allo stretto di Bering, furono interessate dalla costruzione di una linea avanzata di difesa a mezzo radar di elevata potenza, la famosa Dew Line (Distant Early Warning Line), il cui costo superò i 600 milioni di dollari. Furono edificati porti, aeroporti, strade, centrali elettriche e ospedali; circa 1/3 dei nativi trovò impiego nella colossale opera e molti riuscirono a guadagnare anche più di 100 dollari alla settimana. A seguito dei nuovi rapporti instauratisi tra Russia e Occidente, vennero a cessare, almeno in parte, le ragioni che avevano determinato l’immane costruzione: quasi tutto il personale locale fu congedato; ma il ritorno alla vita primitiva, turbata dagli eventi che avevano coinvolto un’intera generazione trasformandone la mentalità, si dimostrava ormai impossibile.
Molto interessante, questo blog mi ha richiamato alla memoria il libro di William L. Iggiagruk Hensley (Suocero di Maligiaq Padilla), io sono uno delle persone che prese parte alla presentazione del suo libro in Italia durante "Bibione Kayak 2011", il libro si intitola "Fifty Miles from Tomorrow: A Memoir of Alaska and the Real People", il titolo è dogmatico e riassume perfettamente la difficoltà di integrazione dei popoli artici nel periodo contemporaneo e "moderno", le difficoltà di interazione con altre culture ed etnie, la complessità dei rapporti sociali, umani e famigliari, la lotta alla carestia, le malattie ed il contatto con esterni al mondo delle etnie nordiche, ma c'è una frase che mi ha colpito in particolare, "the family, always engaged in inuuniaq, the serious business of staying alive..." la famiglia, sempre impegnata nel serio affare del rimanere in vita.
RispondiEliminaQueste persone stupende, meriterebbero più rispetto ed ammirazione di quello che attualmente gli è dato.