"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 21 febbraio 2008

MI REGALANO UN QAJAQ


“Mentre eravamo a Tovqutaq, arrivarono parecchi umiaq, fra i quali quello di mio zio Qartuaq di Sermilik. Era venuto con uno scopo preciso: non aveva figli e sapeva che per me era arrivato il momento di avere un qajaq dato che ero alle soglie della gioventù. Dopo essersi procurato un po’ di legname, cominciò a costruirmi un qajaq; per la felicità non mi staccavo dal suo fianco. Era necessario che imparassi come fabbricarne uno. In seguito ne trassi profitto, perché costruii sempre i miei qajaq da solo. Li costruivo il più affusolati possibile, pensando alla velocità, sebbene i qajaq stretti scuffiassero più facilmente. Ma una volta fatta l’abitudine alla nuova imbarcazione non si pensava più che potesse capovolgersi. Ultimata la carcassa Qartuaq si procurò le pelli di foca e alcune donne e mia madre cucirono il rivestimento. Era un qajaq piccolo, e non ci volle tempo per rivestirlo. Appena fu asciutto, vi salii per la prima volta. Siccome non ci ero abituato, avevo difficoltà a tenermi in equilibrio. Provai a stare completamente immobile, ma avevo sempre la sensazione di essere sul punto di capovolgermi. Mi zio mi insegnò come fare tenendo fermo il qajaq con la sua pagaia e rimanendomi vicino in modo da potermi afferrare se fosse successo qualcosa. Siccome non mi muovevo disse: “prova a usare la pagaia, anche se hai paura. Se cominci a inclinarti da una parte, ti aiuterò subito in modo che non ti capovolga”. Alzai un poco la pagaia e mi bloccai di nuovo; allora lui sbottò: “non imparerai mai a stare in un qajaq se hai tanta paura. Se ti capovolgi, ti aiuterò a raddrizzarti” Che sciocco che ero! Mi aveva costruito un qajaq e ne ero così contento che non potevo fare altro che obbedirgli; perciò provai a muovere la pagaia come mi aveva detto. Questa volta ci riuscii, la spinsi nell’acqua e in breve imparai a manovrarla abbastanza bene. Anche se il mio qajaq era più stretto di quelli degli altri, non era tanto difficile. Dopo averci fatto l’abitudine, mi capitava di ripensare a come mi ero comportato la prima volta che ci ero salito: non era poi così difficile. Quando mio zio mi ebbe insegnato i primi rudimenti, mi esercitai da solo, e alla fine andavo in qajaq dappertutto. Allora Namagteg mi cucì una pelliccia da qajaq. Me la infilai e volli provarla sull’acqua bassa vicino alla riva, dove riuscivo a toccare il fondo con la pagaia. Certo avevo visto altri farlo, ma scoprii che era un’impresa difficile ora che toccava a me. Mentre muovevo la pagaia sulla superficie del mare oscillavo di qua e di là. Mi ci volle parecchio tempo per imparare, ma alla fine divenni talmente pratico che riuscivo ad adagiarmi con il corpo sull’acqua. Pensai diverse volte di provare a scuffiare, ma ritenevo di non essere ancora abbastanza bravo. In quel periodo pensavo spesso a mio padre, che era stato ucciso mentre era in qajaq. Credo che quel ricordo, o quel pensiero mi riempisse di paura e mi desse coraggio allo stesso tempo, spronandomi a esercitarmi ancora di più. Poi mi capito di scuffiare senza volerlo: dopo tutto non era tanto difficile tornare in equilibrio. Ripetei i movimenti che avevo fatto durante l’allenamento e raddrizzai subito: avevo imparato come si faceva, non era un’impresa impossibile. Ci presi gusto e cominciai a scuffiare più volte. Smisi solo quando mi resi conto che i muscoli delle braccia si erano affaticati. Con il tempo imparai a conoscere alla perfezione il mio qajaq e, dopo che avevo imparato a raddrizzarmi, le tempeste non mi fecero più paura. Mi capitò diverse volte che le foche arpionate mi facessero scuffiare, ma non ci badavo. Una volta anche un narvalo che avevo catturato mi trascinò via come un galleggiante, ma me la cavai senza rovesciarmi perché fortunatamente non c’erano molti banchi di ghiaccio.”
Tratto dal libro “IL MIO PASSATO ESCHIMESE” di Georg Qupersiman.

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