"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 29 dicembre 2008

ANCHE UN LAGO PUO’ AMMALARSI?

Alto LarioE’ noto a tutti che esistono differenze di pescosità fra diversi laghi, così come un terreno agricolo, a parità di superficie, può produrre una quantità maggiore di ortaggi di un altro. La maggiore o minore produttività di un lago, esattamente come avviene per il campo, deriva soprattutto dalla quantità di sali nutritizi (composti del fosforo e dell’azoto in particolare) disponibili, che nel caso di un bacino lacustre si trovano disciolti nell’acqua dopo esservi stati portati dagli affluenti che vi si gettano e la cui quantità viene ovviamente influenzata dalla natura geologica dei terreni circostanti. Se questi apporti saranno abbondanti e se cospicua sarà la disponibilità di luce, ecco che le componenti vegetali, microscopica e macroscopica, potranno svilupparsi in grande quantità, innescando quel processo “a catena” che porterà anche un’abbondante presenza di organismi animali di ogni tipo. Un lago con tali caratteristiche viene denominato eutrofo (dal greco: “con buona disponibilità di nutrimento”), mentre oligotrofo (cioè “con limitata disponibilità di nutrimento”) sarà quel bacino in cui si verifichi la situazione opposta, essendo la disponibilità di sali nutritizi molto ridotta; mesotrofia sarà invece la situazione intermedia fra i due estremi.

Lago di Annone

I processi di demolizione della sostanza organica costituente ogni essere vivente necessitano in prima istanza di microrganismi che se ne prendano carico, nonché di quantitativi di ossigeno proporzionalmente adeguati all’entità di materiale da decomporre. La relazione appena descritta fra sostanza organica e ossigeno ci può far comprendere come in un lago eutrofo la richiesta di tale elemento chimico sia grande, cosicché a una grande produttività del bacino corrisponderà la tendenza dell’ossigeno a diminuire, soprattutto negli strati più profondi. E’ proprio il legame esistente tra livello di “trofia” e consumo di ossigeno che sta alla base dei grossi problemi occorsi a molti laghi lombardi. Anche in condizioni naturali un ambiente lacustre tende di per se stesso a elevare il proprio grado di trofia, a causa soprattutto di una progressiva ritenzione di sali nutritizi che si vengono via via accumulando nei sedimenti di fondo e che, in particolari condizioni fisico-chimiche, vengono ri-liberati nelle acque sovrastanti andando ad alimentare la produttività del lago. Tuttavia tale processo si realizza in tempi così ampi da consentire all’ecosistema lacustre di adattarvisi in maniera graduale e armonica. L’azione negativa dell’uomo nei confronti di molti fra i laghi lombardi è consistita in un’accelerazione dei naturali processi di eutrofizzazione in seguito all’apporto sempre più consistente di materiali organici veicolati da scarichi domestici, zootecnici e industriali. L’intero ecosistema di tali laghi ha risentito inevitabilmente di tali apporti eccessivi andando incontro a trasformazioni tanto vistose quanto negative e disarmoniche, che in uno stadio di estrema eutrofia (ipertrofia) possono assumere carattere di autentica catastrofe ambientale.

Scardola

Alla base di quanto sopra descritto si colloca fondamentalmente uno sproporzionato sviluppo della componente vegetale microscopica, che ha come conseguenza l’aumento dello zooplancton. Quest’ultimo fa da base alimentare per altri organismi, comprese alcune specie ittiche che, quando è in atto un processo di eutrofizzazione, tendono a prendere il sopravvento su altre. Si tratta di pesci che, come la Scardola, sfruttano la propria capacità di vivere in situazioni sfavorevoli, potendo così trarre profitto dalle abbondanti disponibilità alimentari. In questo modo, in un lago in cui la richiesta di ossigeno legata alla demolizione della sostanza organica si fa sempre più grande e pressante e dove quindi questo elemento raggiunge spesso concentrazioni limitatissime, le specie ittiche più sensibili scompaiono, dando ancora più spazio ad animali rustici come la Scardola ed altri ciprinidi, che diventano nettamente dominanti. Allorquando le ultime riserve di ossigeno delle acque lacustri profonde si sono esaurite, ecco che la demolizione sempre più abbondante sostanza organica, non più realizzabile a opera della flora batterica aerobica, viene a essere effettuata da una subentrante flora batterica anaerobica, ossia non necessitante di ossigeno, con produzione finale di composti chimici tossici quali l’ammoniaca e l’idrogeno solforato. Ma un ecosistema lacustre non può sopravvivere al lungo impunemente in un tale stato di compromissione: quasi in un estremo tentativo di sopravvivenza esso reagirà con crisi incontrollabili cercando di liberarsi dall’eccessivo carico vivente che lo opprime. Ecco iniziare allora le morie di pesci, prima i più sensibili poi, via via, gli altri, fino a giungere alla catastrofiche stragi di Scardole più volte ripetutesi in alcuni laghi briantei negli anni passati. Il triste, ripetitivo spettacolo di migliaia di pesci a pancia all’aria è valso a sottolineare, seppur tardivamente, l’irresponsabilità del comportamento umano e al tempo stesso la necessità di dar luogo, finalmente, a risolutivi interventi di risanamento, che allo stato attuale non sono comunque stati ancora compiutamente definiti.

Lago di MezzolaSia chiaro che non tutti i laghi della zona lariana presentano la drammatica situazione sopra delineata. Il lago di Montorfano e il lago di Al serio ad esempio hanno mantenuto (il primo) e recuperato (il secondo) una più che accettabile qualità delle acque. Lo stesso Lario dà segnali di miglioramento ormai da tempo e consente previsioni molto ottimistiche circa il recupero delle caratteristiche che gli sono naturalmente proprie. Sul lago di Annone, invece, è in atto un piano di risanamento della qualità delle acque. Una visione generale dello stato di salute dei laghi lariani è riportata nella seguente tabella, che confronta per ciascuno di essi la situazione trofica attuale con quella originaria.

mercoledì 24 dicembre 2008

BUON NATALE!!!

Tanti auguri a tutti gli Inuit del Lario e a tutti quelli che ci seguono sul nostro Blog!!!

Buon Natale a chi ama il kayak da mare, a chi ama la natura, a chi ama l’amicizia!
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lunedì 22 dicembre 2008

IL KAYAK DA MARE: DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI

Il kayak ha visto i suoi natali nel mare. Le popolazioni indigene dell’Artico, costrette a vivere per millenni in un ambiente talmente ostile da essere immaginabile per l’uomo moderno, riuscirono a inventare e perfezionare una barca tanto agile e silenziosa che permise loro di procacciarsi il cibo e di sopravvivere nel tempo fino ai giorni nostri. L’unicità di questa imbarcazione era e rimane il fatto di essere il solo natante che, una volta capovolto, permette al suo equipaggio, il kayaker, di recuperare la posizione con una manovra che non ne prevede l’uscita dallo scafo. Quest’ultima peculiarità assume un’importanza fondamentale là dove la temperatura dell’acqua e dell’aria sono estremamente rigide.

Gino WatkinsLa diffusione del kayak in Europa è da attribuirsi ai primi esploratori che agli inizi del Novecento s’inoltrarono nel Grande Nord. La prima descrizione degli skin on frame, i telai rivestiti di pelle, e di una dozzina di diverse manovre di tecnica risale al lontano 1700 e si trova in uno scritto di David Crantz. Alla fine dell’Ottocento Fridtjof Nansen, durante una delle sue memorabili esplorazioni, fu il primo europeo ad entrare in un kayak, dopo che la sua imbarcazione era rimasta intrappolata nei ghiacci. Ma il capostipite del kayak da mare moderno può essere senz’altro considerato Gino Watkins, l’esploratore inglese che nei primi anni trenta del secolo scorso entrò in contatto con la popolazione del fiordo di Ammassalik, dalla quale imparò l’arte di pagaiare. I suoi filmati in bianco e nero rappresentato il punto di partenza della storia del kayak da mare moderno, non più legato indissolubilmente alle genti nordiche, ma utilizzato anche da individui di altre popolazioni.


moderni kayak da mare pronti per un escursioneArrivando ai nostri giorni, l’evoluzione dei materiali, e in particolare l’uso delle fibre composite, ha rivoluzionato tutto il settore, permettendo la produzione dei kayak da mare anche su larga scala. Questa evoluzione ha riguardato i materiali e i criteri costruttivi (con gli innegabili benefici conseguiti nell’ambito della sicurezza e dell’affidabilità dei mezzi), ma non i disegni e le linee, che sono rimasti pressoché inalterati nel tempo.


Eppiluk e Feduk sul Lario

Il kayak da mare ha alle spalle migliaia di anni di storia, e i suoi utilizzatori hanno avuto il tempo per migliorarlo. Questo è dimostrato dalla tendenza, sempre più diffusa nel mondo marino, di riscoprire le pagaie groenlandesi, le remote tecniche legate al loro uso, e di ricostruire i kayak a bassissimo volume in tela e legno. Il kayak da mare può essere considerato una delle imbarcazioni più intelligenti che esistano: è facilmente trasportabile via terra, ha una capienza tale da consentire esplorazioni a largo raggio in completa autonomia, è la barca ecologica per eccellenza e, aspetto non trascurabile, non è soggetta ad alcun tipo di tassazione.

Matilde all'ElbaLa lunghezza di scafo, i ponti rinforzati, le cime passanti sulla coperta, i pozzetti facilmente svuotabili in alto mare, la presenza di gavoni stagni (che significa inaffondabilità del kayak) e le pompe di sentina, sono le caratteristiche principali che al, al momento, differenziano i kayak da mare dagli altri più agili modelli, usati soprattutto in acqua dolce (kayak da velocità o da torrente). Queste caratteristiche lo rendono una vera e propria barca che, con la conoscenza delle giuste tecniche di pagaiata e salvataggio, ci consente di fruire dell’ambiente acquatico (mare e lago) con alti livelli di sicurezza e in piena libertà.


Nerrajaq all'Elba

venerdì 19 dicembre 2008

GEOGRAFIA DEI LAGHI BRIANTEI

Panoramica dei laghi briantei e lariani dal monte CornizzoloNella nostra zona non esiste solo il grande Lario (e i suoi stretti “parenti”: lago di Mezzola, lago di Garlate e lago di Olginate) per andare in kayak, ma ci sono anche dei piccoli laghi, detti Briantei, che non vanno assolutamente trascurati per le nostre escursioni. La cartina (elaborata dal Mauro “KAYATREK” Grillo) può essere sicuramente di aiuto ai lettori di questo blog che non conoscono la geografia lariana.
I rilievi prealpini che fanno da sfondo alla fascia dei laghi di Brianza costituiscono le propaggini meridionali del cosiddetto Triangolo Lariano, un’area geograficamente ben delimitata, compresa tra i due rami meridionali del Lario e tagliata in senso verticale dal primo e ancora selvaggio tratto del fiume Lambro. Notevole è l’interesse geologico di questa zona, caratterizzata da formazioni rocciose sedimentarie Mesozoiche di origine marina. In particolare, l’abbondanza di rocce di natura carbonatica – calcari e dolomie – determina la presenza di rilevanti fenomeni carsici superficiali (doline e campi solcati) e profondi (abissi, grotte e cavità sotterranee).


laghi briantei dal Monte Barro

Anche i ghiacciai quaternari – che a più riprese durante il Pleistocene invasero la zona fino ai confini con la pianura milanese – hanno modellato il territorio con intensi processi di escavazione e abrasione; inoltre, durante il loro ritiro, hanno abbandonato i cumuli di detriti rocciosi da loro trasportati, dando così luogo ai depositi morenici. In particolare nella fascia pedemontanta il paesaggio è spiccatamente caratterizzato dalle dolci ondulazioni delle cerchie collinari moreniche, tra le quali si trovano conche e depressioni occupate da modeste raccolte d’acqua, i cosiddetti laghi Briantei: il lago di Montorfano, l’Alserio, il Pusiano, il Segrino – un poco più a Nord – e l’Annone, distinto nei due bacini di Annone Ovest e Annone est o Oggiono.


tramonto sul lago di AnnoneAl termine dell’ultima glaciazione, i geologi ritengono che il lago di Alserio e quello di Pusiano fossero uniti in un unico specchio d’acqua, forse l’Eupili citato da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) tra i principali laghi lombardi. Infatti, indicando gli emissari, il grande naturalista comasco classificava “…l’Adda dal Lario, il Ticino dal Verbano, il Mincio dal Benaco, l’Oglio dal Sebino, il Lambro dall’Eupili, tutti fiumi convergenti al Po…” (Naturalis Historia). Questo unico lago sarebbe poi stato diviso in due bacini dai sedimenti alluvionali portati dal fiume Lambro all’uscita della Valassina.
tramonto sui laghi brianteiDal punto di vista idrografico, i laghi Briantei appartengono a tre bacini fluviali diversi: il Montorfano al bacino del torrente Severo,l’Alserio, il Pusiano e il Segrino a quello del fiume Lambro; l’Annone al bacino dell’Adda.

laghi briantei dal Monte Barro Foto di Riccardo Agretti e Mauro "KAYATREK" Grillo (Inuit del Lario)

giovedì 18 dicembre 2008

CINEFORUM INUIT


Ho il piacere di invitarvi tutti quanti ad una bellissima iniziativa, nata grazie alla sempre vulcanica Tatiana: il Cineforum Inuit.
Abbiamo pensato di organizzare una serie di serate in cui proiettare film, vecchi e recenti, aventi come argomento principale il mondo degli inuit, il popolo che ha inventato il nostro amato kayak.

Questi i titoli di questa prima rassegna e le date:

-Venerdì 16 gennaio - Nanook of the north - Robert Flaherty - Usa 1922
-Venerdì 13 febbraio - Le nozze di Palo - Knud Rasmussen e F. Dasheim - Danimarca 1953
-Venerdì 13 marzo - Ombre bianche - Nicholas Ray - Italia Canada 1959
-Venerdì 17 aprile - Atanarjuat - The fast runner - Zacharias Kunk - Canada 2001
-Venerdì 15 maggio - The Snow Walker - Charles Martin Smith - Canada 2003

I primi due film sono documentari storici ricchi di informazioni dettagliate ed attendibili sulle tradizioni, abitudini e credenze inuit, gli altri sono film rispettivamente italiano e canadesi che riprendono in chiave un po' romanzata le stesse tematiche...Non sempre è dato vedere i kayak, rare sono le scene di caccia in kayak, ma la rappresentazione della dura vita inuit è sempre molto efficace.

Le proiezioni si faranno presso la sede del Canoa Club Milano, in via al Ponte, 5, a Castelletto di Cuggiono (MI), alle ore 20.45. Ogni film verrà accompagnato da una scheda di approfondimento e alla fine di ogni proiezione ci sarà spazio per una discussione.. e per un rinfresco.

PARTECIPATE NUMEROSI!!!
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mercoledì 17 dicembre 2008

ANATOMIA DEL KAYAK DA MARE

JANAUTICA SEAL Lo scafo di un kayak da mare è generalmente in polietilene o in vetroresina, ma alcuni modelli sono disponibili anche in kevlar o in carbonio. L’estremità anteriore si chiama prua e quella posteriore poppa, la parte superiore coperta, quella inferiore pancia, e quella laterale fianco. Al centro della coperta c’è un’apertura chiamata pozzetto, che serve per consentire al kayaker di sedersi all’interno dello scafo e per fissare il paraspruzzi evitando così che l’acqua entri nel pozzetto in caso di onde oppure in caso di ribaltamento del kayak. Il pozzetto ha generalmente una forma ovale, alcuni a forma di buco di chiave, altri sono molto piccoli e sono detti oceanici. E’ preferibile avere un pozzetto abbastanza grande per permettere agevolmente il rientro assistito o quello con il paddle float ma anche per entrare nel kayak da riva agilmente anche con mare o lago mosso.

VALLEY Q-BOAT Generalmente le estremità del kayak sono dotate di maniglie che servono sia per il trasporto, sia per fissare moschettone e cima di traino durante le operazioni di salvamento di un kayaker in difficoltà. Le dimensioni delle maniglie devono essere tali da permettere una comoda presa senza però consentire il passaggio della mano intera al loro interno, perché se questa rimane incastrata può risultare pericoloso. E’ per questo che sono preferibili le cosiddette maniglie a “T”. Le maniglie devono essere inoltre robuste e avere un carico di rottura di almeno 1.000 chili.

FIBERLINE GENESIS 7000 SSK POSEIDON All’interno dello scafo troviamo il puntapiedi regolabile (a rastrelliera, a pedalina o a piastra); il premicosce che è l’alloggiamento anatomico per la parte interna delle cosce; il sedile che può essere più o meno anatomico ed in qualche modello di kayak è anche regolabile in altezza e in lunghezza. Questi tre accessori servono per trovare il giusto assetto dello scafo rispetto al piano dell’acqua in base alla forma del kayak e al peso e al fisico del kayaker. Dietro al sedile troviamo il poggiaschiena, una cinghia più o meno imbottita e regolabile che serve a sostenere la parte bassa della schiena e aiutare a mantenere la posizione corretta. Alcuni kayak hanno il poggiaschiena rigido, che però non consente al kayaker di regolarlo in base alle proprie esigenze.

NEPTUNIA, XP e POSEIDON La peculiarità però proprie del kayak da mare sono la presenza di una chiglia continua lungo tutto la carena, la prua e la poppa leggermente incurvate verso l’alto, i tientibene che sono delle corde continue lungo tutta la coperta (ad eccezione della zona del pozzetto) che servono per mantenere il contatto al kayak in caso di ribaltamento in acqua mossa e la presenza dei gavoni stagni (alcuni kayak ne hanno tre) che sono delle paratie che rendono il kayak inaffondabile e per mezzo di tappi posti sulla coperta permetto di stivare all’interno viveri ed equipaggiamento vario.

POINT 65° N XP e VALLEY Q-BOAT