Per quanto riguarda l’Artico russo, si ha l’impressione che i grandi mutamenti politici, l’avvento di nuovi regimi e il disfacimento degli stessi, tutti avvenuti nell’arco storico relativamente breve di 80 anni, non abbiano inciso in modo evidente sui costumi dei popoli della Siberia settentrionale. I Nenci, i Samoiedi, gli Jakuti, gli Eveni, gli Jukaghiri e i Ciukci vivono tuttora di pastorizia, disponendo di un patrimonio di renne di circa quattro milioni di capi. Con l’avvento del comunismo, tutte le attività siberiane vennero ben presto inquadrate nel generale processo di sovietizzazione, tuttavia alcune grandi mandrie rimasero proprietà di qualche comunità; in generale, nel passaggio da un regime all’altro, non si verificarono episodi cruenti come quelli avvenuti a ovest degli Urali, con lo sterminio della classe contadina dei Kulaki.
Mentre il regime comunista profondeva ogni sforzo alla valorizzazione delle ricchezze della Siberia, inviandovi una schiera di tecnici e di lavoratori dall’ovest, i popoli locali vennero lasciati relativamente indisturbati e restarono dediti alle loro occupazioni; si verificò così una transizione delle loro abitudini arcaiche alle tecniche moderne. La grande via ferroviaria Transiberiana che unisce tuttora Mosca all’Oceano Pacifico, correva molto più a sud del circolo polare; il progresso di fermava quindi a centinaia di chilometri di distanza dalle terre della regione artica.
Le vie d’acqua furono invece un mezzo importante per lo smercio e lo scambio di prodotti; a differenza del Nord canadese e limitatamente al bacino del Mackenzie, la Siberia offre un gran numero di fiumi navigabili che, partendo dalle regioni interne raggiungono il Mare Glaciale Artico. Il traffico attraverso le vie d’acqua, che già negli anni Sessanta del secolo scorso aveva raggiunto migliaia di tonnellate, è oggi raddoppiato. Naturalmente, anche i fiumi siberiani sono soggetti a limitazioni stagionali che ne consentono l’intera navigazione per soli 3-4 mesi all’anno.
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