"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 18 gennaio 2010

CACCIATORI DI ANIME di MASSIMO MAGGIARI (prima parte)



“Tuo padre sta passando oltre…” disse l’uomo della medicina abbassando il tono della voce. “Non gli è rimasto molto da vivere…” E’ vellutata quella sua frase, piena di affettuosa compassione. E non mi sorprende. Questo signore così riservato adorava mio padre. Lo ammirava per essere ritornato ben due volte dalle terre degli antenati. In extremis. Quel suo cuore non aveva ceduto, e non voleva cedere ancora… Ma la notizia apostrofata non era novità per noi. Da tempo la bufera infuriava dentro e fuori da quel rifugio di vita. Era inutile guardarsi indietro. Avevamo provato tutto, o quasi, e la situazione richiedeva mille attenzioni. Continue. Girando lo sguardo verso il letto, lo vedo raggomitolato nel lenzuolo, senza un gemito. O una parola. Tranquillo. Con le palpebre sempre più sottili e defilate dal mondo. E’ fragile persino guardare il corpo di questa creatura. Mi distraggo altrove. L’ospite mi fissa con occhio intenso, e riprende a parlare a bassa voce “Se l’acqua raggiunge i polmoni... è finita… il suo cuore arresterà la corsa…” Rispondo come distanziato: “quando morirà?” Ricevo un silenzio. Segue il semplice gesto della mano che invoca il cielo. Lo riguardo ancora, è disteso adesso, ma lo immagino pieno di vigore, sano e forte, nella foga di una pesca lontana. Insieme. A mani tese prendevamo il pesce lungo una serata d’estate. Si lanciavano ami e lenze a un meriggio che non porgeva mai la fine. Ho amato alla follia quei frangenti di sabbie lucenti sulla battigia. I suoi ritorni prosperi, con le sacche piene. Con i tramonti, in cui arrampicavamo su per il sentiero seguendo le tracce invisibili degli avi. Dal mare, dai pesci, dalle coste, dalle luci notturne le loro storie correvano sui nostri volti. C’era l’argento vivo nella crescenza del tempo. Ma in questo mio oggi, dov’era situata la nostra alba?




Non me l’aspettavo che sarebbe apparso così. In piedi sulla spiaggia, con una pipa fumante, di fronte a due qayaq. Era Nuntak, la guida ai fiordi e alle isole. Scrutava con lo sguardo ogni mio passo. Fino a quando me lo trovai di fronte: “Salute a te, Marius… Salute a te, Nuntak” alla breve pausa mi ri-squadrò da capo a piedi, infine solo per continuare… “Sono qui perché hai bisogno di me” rispondo sorpreso… “Non lo sapevo!”… “L’uomo della medicina mi ha detto che tuo padre sta indebolendo… e che tu hai chiesto più volte quando arriverà il suo ultimo giorno… è vero questo?” “Sì, è vero!” Fu allora che l’esquimese allungò la mano verso il mare e aggiunse… “Devi prendere il qayaq e andare al fiordo più lontano, quello di Tarniq, sì proprio quello, e lassù forse troverai la risposta…” Scaturì spontaneo un “Perché?” Sennonché dalle dune di sassi uscirono alcuni cacciatori del villaggio a dare man forte a Nuntak. “Perché loro tutti lo vogliono, l’angakkoq (lo sciamano) lo vuole, e io lo voglio, tuo padre è un uomo particolare… lui ha già incontrato gli antenati… ed è ritornato due volte… dobbiamo sapere quando spunterà l’ultima alba… quel giorno va rivelato… per il tuo e per il nostro cammino…! Forza, ho qui le tue cose si parte subito. Ti accompagnerò fino all’entrata del fiordo. Non guardare indietro, e non pensare alla tua gente. Guarda Taqqiq (la luna) che è sorto. E’ quasi pieno. Di buon auspicio. Non c’è nulla da temere. E’ lui a mostrarci la via. C’è solo Lui nella densa notte, e qui Noi siamo i suoi figli. Non ci resta che seguirlo. Docili come il canto di una primavera.”




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