"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 25 febbraio 2010

LA STROLAGA MINORE, LA ZINGARA DEL NORD

Appartiene all’ordine Gaviiformes, che comprende la sola famiglia Gaviidae ed il solo genere Gavia, eleganti uccelli tuffatori di dimensioni paragonabili a quelle delle oche. Il suo nome scientifico è Gavia stellata. In livrea nuziale ha la testa e i lati del collo grigi, il dorso grigio-bruno e la parte inferiore del collo rosso scuro. In Italia, però, si può vedere solo nell’abito invernale, molto simile a quello delle altre strolaghe. In questa stagione si riconosce per il becco sottile leggermente rivolto verso l’alto e per il dorso leggermente macchiato. Più grande di un’anatra o di uno svasso, ha una lunghezza totale compresa tra 53 e 69 cm. Non è possibile distinguerla per le dimensioni dalla Strolaga mezzana, che in Italia ha una distribuzione simile.

Nidifica in acque poco profonde o sulla riva vicinissima all’acqua. Il nido è cumulo di muschio o vegetazione acquatica. Qualche volta è nascosto tra la vegetazione emergente, ma spesso è completamente esposto. Si ciba soprattutto di pesci. Scarsamente gregaria in migrazione e in inverno, solo raramente forma assembramenti numerosi.


Nidifica alla alte latitudini dell’Eurasia e dell’America. In Europa si riproduce solo in Russia, Fennoscandia, Islanda, Isole Britanniche, Isole Svalbard e Isole Faer Oer. Migratrice di breve e media distanza, sverna nell’Europa occidentale e mediterranea. In Lombardia è regolare durante i passi, soprattutto quello autunnale, e svernante irregolare, sia sui laghi prealpini (in particolare il Garda) sia, occasionalmente, nei piccoli bacini della pianura. In Lombardia è protetta. Il lento declino pare dovuto all’acidificazione dei laghi, che diminuisce l’abbondanza di pesci, e all’aumento nella acque interne dei composti organici del mercurio, sostanze dapprima assorbite dai pesci e poi trasferite lungo la piramide alimentare nei tessuti dei predatori.

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lunedì 22 febbraio 2010

CACCIATORI DI ANIME di MASSIMO MAGGIARI (terza parte)



E’ blu plumbeo questo specchio d’acqua spazzato dalle correnti del Nord. Nuntak si agita sulla riva rocciosa con il tamburo. Li sta chiamando, mentre l’insenatura ancheggia lunga e sinuosa. Ecco lo stretto passaggio. Scivolo con il qayaq verso il centro di quell’oltre. La prua si battezza. Laggiù Nuntak mi ha istruito ad attendere. La nebbiolina intorno ritrae come un velo appena dissolto. Si svelano gradualmente una caletta, un inuksuit che segnala l’entrata, e un roccione sospeso. Ascolto il frangersi di una cascata lontana. Poi altri vaghi sciabordii che echeggiano come in un antro. Sono qui o là immobile al centro del flusso. Sotto la lunghezza dello scafo ribollono mille forme dense di vita. Si aggirano come ombre sfuggenti. Foche o pesci? Fuori è tutto così pace e silenzio, da sprofondarci dentro. Odo un grido e diversi colpi di pagaia far svanire all’improvviso questa calma. Sono proprio loro li sento. Stanno arrivando. Mi vengono a prendere. Sono i misteriosi cacciatori di cui ha parlato Nuntak. Afferro in mano la mia collana della medicina per l’ultima volta. La ringrazio e la getto nell’acqua gelida. Non ho più nulla da offrire. Sono veramente solo. Nudo. Pronto a riceverli. A un qualche grido sfrecciano verso di me tre lunghe canoe. Li vedo bene mentre avanzano. Sembrano per lo più muti e tesi, questi Inuit della costa orientale. Sono tutti uomini, tranne una donna, ritta sulla prua. Mi grida: “Dicci il tuo nome! Dicci chi sei!” “Mi chiamo Marius, sono un qablunaat (bianco) che viene da Kasuq …” continua senza darmi tregua… “Perché sei entrato nel nostro angolo di mondo? Che cosa cerchi?” ed io: “Mio padre sta morendo, ma devo sapere quando…” Lei sempre incalzante… “Solo gli spiriti del fiordo possono rivelarlo… hai tu il coraggio di chiederlo a loro?” Alzo la pagaia al cielo e grido: “Sì, perché porto un dono”. S’affrettano vicini. Mi legano una fune alla prua, e poi tirando dentro nel profondo del fiordo, mi abbandonano alle acque più oscure. Alle maree più ossute. Ai sassi meno esposti.



Ne uscii provato dopo tre notti e tre giorni. Quando lo vidi, Nuntak aspettava seduto a fianco dell’inuksuit. Forse sorridendo. Avevo tanta fame, tanta sete, tanto sonno… e non avevo un nome, non avevo cento amuleti, né sapevo quando mio padre sarebbe morto. Almeno per ora. Le mie mani erano vuote, il mio cuore gonfio e cieco. Agli spiriti avevo donato la quiete. Un canto di mia figlia, appena sorto dal mare. E cantando ri-cantando per tre notti e tre giorni avevo compiuto la prodezza di un’intera vita. Avevo restituito alle stelle tutti i nomi caduti dal cielo.


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giovedì 18 febbraio 2010

L’AMBIENTE LARIANO E LA FAUNA OMEOTERMA (quarta parte)



Allontanandosi dalle rive verso il lago aperto, durante la stagione invernale, ad un occhio attento non potranno passare inosservati grossi uccelli che, da soli o in piccoli gruppetti, nuotano nelle acque gelide del Lario con il corpo semisommerso ed il becco caratteristicamente rivolto verso l’alto. Le strolaghe sono uccelli che nidificano nel Nord Europa e scelgono i nostri laghi per passare l’inverno. Abilissime nuotatrici, sono straordinariamente in grado di immergersi fino a 70 metri di profondità per catturare le loro prede (pesci di dimensioni variabili), restando in apnea addirittura per 3 minuti!




Anche lo Svasso maggiore utilizza la medesima tecnica di pesca, infilzando con estrema precisione pesci lunghi anche decine di centimetri. Lo spettacolo offerto da questo uccello durante il corteggiamento è veramente affascinante: già a partire dalla fine dell’inverno il maschio e la femmina danzano insieme, l’uno di fronte all’altro, petto contro petto, scambiandosi vicendevolmente piccoli frammenti di piante acquatiche; le parate durano a lungo e già dal mese di febbraio inizia la costruzione del nido ove nasceranno i piccoli svassi, immediatamente pronti ad abbandonarlo facendosi inizialmente trasportare sul dorso dei genitori. Il nido viene costruito nascosto nel canneto.


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lunedì 15 febbraio 2010

EQUIPAGGIAMENTO DEL KAYAK DA MARE (prima parte)


LA SPUGNA
Una normalissima spugna per lavare l’auto consente di mantenere l’interno dello scafo più asciutto, eliminando quel residuo di acqua che neanche la pompa di sentina riesce a drenare. Va posta dietro lo schienalino.




LA BORRACCIA
Una riserva d’acqua d’estate (o di tè caldo d’inverno) a portata di mano è indispensabile. La borraccia deve essere termica e possibilmente galleggiante. Se non possiede quest’ultimo requisito, potete renderla galleggiante evitando di riempirla fino all’orlo. Tenetela vicina al pozzetto, fissata agli elastici del ponte anteriore.




SACCHE STAGNE
Per mantenere asciutto il materiale riposto nei gavoni e impedire che si sparpagli, è indispensabile utilizzare le speciali sacche stagne per uso nautico. E’ preferibile utilizzare quello di piccole dimensioni, da circa 20 litri, anche se si trovano in commercio sacche da 40-60 litri, adatte a contenere oggetti abbastanza voluminosi, come la tenda, il sacco a pelo, articoli di vestiario, etc.





RAZZI DI SEGNALAZIONE
Portateli sempre con voi, magari in una tasca del salvagente. Si può acquistare un kit di razzi da gommone per la navigazione entro le 6 miglia, di costo assai ridotto. Il kit è composto da quattro pezzi: due torce, che producono luce di colore rosso, e due lanciarazzi, che sparano a una certa altezza delle stelle luminose, anch’esse di colore rosso. Il kit ha una scadenza di quattro anni. Questi dispositivi, purtroppo, non sono molto visibili a grande distanza. Il miglior consiglio è di portare con sé almeno tre razzi a paracadute, assai più potenti e visibili. I più apprezzati sono i Pains-Wessex, di produzione britannica, tra i quali il modello Maroon, che ha la particolarità di emettere anche un suono intenso, capace di sovrastare il rumore delle onde e dei motori. Altro articolo molto interessante è il kit Minflare, anch’esso Pains-Wessex, composto da otto piccoli razzi a stella rossa. I razzi vanno sempre protetti dall’acqua, conservandoli in tubi di PVC da idraulico o in buste di plastica sigillate.

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giovedì 11 febbraio 2010

LIBRI - IL PESCATORE DEL LARIO


E' una ristampa dell’edizione del 1862. Lo presentiamo con alcune frasi tratte dalla presentazione di Ruggero Pini: “L’ing. Giovanni Cetti (Laglio 29 giugno 1828 – 10 aprile 1910) prendendo lo spunto da un’inchiesta promossa dal “Regio Governo della Provincia di Como” per indagare sui gravi problemi di pescagione che si erano venuti a creare in quegli anni, e che si riproponevano periodicamente almeno da più di due secoli, dà alle stampe la sua opera intitolata alla pesca sul Lario (dedicata alla moglie Giuseppina, con un grande gesto di affetto, in occasione del suo onomastico)… Il Cetti, nel suo testo, fornisce un interessante compendio sulle varie tecniche di pescagione praticate e individua inoltre i molteplici problemi della pesca lacustre … Trascorsi più di 130 anni da quando il libro venne dato alle stampe, i problemi rimangono ancora attuali: le dimensioni del lago, il numero dei pescatori e le richieste alimentari di pesce rimangono ancora le varabili fondamentali dalle quali non si può prescindere e con le quali si dovranno fare sempre i conti”.
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TITOLO: Il pescatore del Lario. Descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como.
AUTORE: Cetti Giovanni
CURATO DA: Pini Ruggero
EDITORE: Alessandro Dominioni
DATA DI PUBBLICAZIONE: 1862
DATA DI RISTAMPA: 1999
200 pagine
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lunedì 8 febbraio 2010

LA STROLAGA MEZZANA, LA TUFFATRICE IN ABITO DIMESSO



Appartiene all’ordine Gaviifromes, famiglia Gaviidae, eleganti uccelli tuffatori che quando nuotano tengono il corpo del tutto immerso in acqua. Il suo nome scientifico è Gavia arctica. In livrea nuziale ha le parti superiori della testa e le guance grigie, le parti superiori del corpo nere con macchie bianche quadrangolari distribuite in due serie ai lati del dorso, le parti inferiori del colo nere, i lati del collo a righe bianconere. In Italia non è quasi mai visibile in questo abito, anzi sulle parti superiori appare uniformemente bruna. Per distinguerla dalla Strolaga minore, è quindi necessario prestare molta attenzione al becco, per nulla rivolto verso l’alto, e alla testa, che ha un aspetto più contrastato. Le dimensioni non sono granché diverse, essendo la lunghezza totale compresa tra 58 e 63 cm. L’ala in volo è più corta e rotonda.




L’habitat riproduttivo è costituito da ampi e profondi laghi o da grandi stagni nelle foreste boreali di conifere. Nidifica in acque poco profonde, o sulla riva entro un metro dall’acqua, spesso su piccoli isolotti. Il nido è un cumulo di muschio o erba. Si ciba essenzialmente di pesci. Durante la migrazione e lo svernamento frequenta principalmente le acque marine e in parte le acque interne, in misura superiore alla altre specie del gruppo.



Migratrice di breve e media distanza, raggiunge l’Europa occidentale e mediterranea. In Lombardia in inverno è più comune rispetto alla Strolaga minore. Sverna sui laghi prealpini e sui laghi mantovani. Difficilmente occupa laghi più piccoli di 250 ha; il territorio di una coppia è molto grande, mai sotto i 50 ha.

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giovedì 4 febbraio 2010

CACCIATORI DI ANIME di MASSIMO MAGGIARI (seconda parte)


Abbiamo navigato lungo la costa per giorni e giorni. Direzione Est-Nord-Est. Non so esattamente dove stiamo andando. E non ho mai sentito parlare di quel fiordo. Ma Nuntak sembra conoscere la rotta e mi incoraggia spesso: “Dai Marius, stai andando bene... siamo quasi a Tarniq… lassù trovereremo quello che cerchiamo” Lo ascolto con somma pazienza. Anche se a volte sembro quasi piangere, da come mi ritrovo tutto bagnato di spruzzi. Irrompono e scendono per la prua del qayaq. Mai si fermano. E io non mi arrendo, proseguo. Meglio avere fiducia di questo vecchio arponiere e dei suoi modi antichi. Tutti lo rispettano. Lo consultano. Lui trova sempre la via. Ma quando arriveremo al fiordo… che cosa ci aspetterà? Chi… cosa… incontreremo per le acque di Tarniq? Taglio l’onda con il profilo rugoso della pagaia. Continuo a scivolare dritto, graffiando di blu la superficie del mare. E via via, procedo nel solco inciso da Nuntak. Per ore e ore, fin oltre un susseguirsi di capi e promontori.


Alla sera mettiamo campo in un’insenatura chiusa da enormi macigni. E’ deserta. I licheni la colorano tutta di verdastro e giallo come su un prato in fiore. Anche i sassi affiorano di luce. Sceso dal qayaq, l’esquimese prende il tamburo mantellato e saluta con un canto il tramontare del sole… Aya-yii-Aya-yii-yaa... Poi acquietato mi parla: “Marius, ho appena pregato per tuo padre… all’inizio della vita è bene cantare alle albe… ma nel suo ultimo tratto conviene benedire i tramonti … Tuo padre sa chi è… ha vissuto… ha visto il mondo… Lui è un fiordo con cento fiumi… e mille storie… questa terra, questo mare, scorrono in Lui come una linfa vitale… per sempre… Marius, saprai navigare in questo suo braccio di mare?” “Nuntak… io sarò Marius come sempre… con la mia vita di tutti i giorni…” L’inuit con fare severo avvicina il suo volto al mio: “Ragazzo… noi non siamo uno, guarda le mie mani… conta le mie dita! Siamo tre quattro sette nove in un appiglio… Siamo tanti, perché giù dentro nel fondo del cuore portiamo le anime dei nostri antenati… Ricordalo!… Ricordalo sempre!… Tuo padre li ha chiamati due volte… e loro verranno numerosi… in troppi… il villaggio non può avere mille nomi… e mille destini… Tu hai già percorso diverse vite… hai bisogno solo di un nome, solo di un nuovo nome che chiami Vita, la giusta vita che ti spetta ora e adesso… con tutte le sue relazioni… per mare, per terra e per cielo… da sempre.” E dopo un breve silenzio… “Marius, noi andiamo a Tarniq, perché lassù tu troverai quel nome. Sì, che lo troverai. E te lo diranno quelli che come loro...” indicando i gabbiani in volo... “vivono nel vento: i cacciatori di anime…”
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mercoledì 3 febbraio 2010

"GROENLANDIA - LA FINE DELL'ERA GLACIALE" di Andrea Gjestvang


Dal 02/02/2010 al 21/03/2010 presso la galleria OPENMIND  di Milano

Greenland – disappearing Ice Age

«Groenlandia – la fine dell'Era Glaciale» di Andrea Gjestvang documenta la vita quotidiana in alcuni degli insediamenti umani più a Nord della Terra. In Groenlandia, l'isola più grande del mondo, 57.600 abitanti occupano il 15% del territorio, tutto il resto è coperto dai ghiacci. 
Per secoli, il popolo Inuit ha vissuto grazie alla caccia e alla pesca, ma, nel corso degli ultimi dieci anni, la situazione è cambiata. L'incalzare dei mutamenti climatici ha un effetto devastante sull'ecosistema della regione e sulla società Inuit, la cui cultura, e la cui stessa sopravvivenza, è strettamente legata alla natura. La Groenlandia è infatti una delle zone più esposte alle conseguenze del surriscaldamento globale: i ghiacci si sciolgono e l'innalzarsi della  temperatura accorcia la stagione della caccia. Cosa succede a una comunità le cui tradizioni scompaiono e i cui membri sono forzati ad adattarsi a un nuovo modo di vivere? Oggi, molti Inuit sopravvivono solo grazie ai sussudi sociali del governo, e le mutate condizioni di vita provocano un'inquietudine e un'insicurezza che attraversa la comunità intera. Allo stesso tempo, il ghiaccio che si ritira apre vaste aree per l'estrazione del petrolio e del gas. In futuro, questa nuova fonte di reddito potrebbe sostituire le sovvenzioni che annualmente il Paese riceve dalla Danimarca e consentire una separazione definitiva dalla ex potenza coloniale. L'isola del gelo è sulla soglia di una nuova era.


Nata nel 1981, Andrea Gjestvang è una fotoreporter norvegese attualmente residente a Berlino. Dopo aver terminato gli studi in fotogiornalismo all'Università di Oslo nel 2003, ha lavorato per diversi quotidiani e riviste norvegesi, e per numerose pubblicazioni internazionali. 

Nel 2006 si è trasferita a Berlino per diventare parte dello staff internazionale del quotidiano norvegese Verdens Gang. Dal 2009 è membro della Moment Agency. Ha ottenuto numerosi premi e sovvenzioni per il suo lavoro, esposto in mostre nazionali e internazionali. Nel corso degli ultimi due anni,  si è dedicata alla realizzazione di Greenland - disappearing Ice Age, long term project che documenta come i cambiamenti climatici influenzino la vita quotidiana delle comunità Inuit in Groenlandia.

Per maggiori informazioni: www.prospekt.it 
Ufficio Stampa:  Roberta Ferlicca - Prospekt Photographers Via Vigevano 33, 20144 Milano, Italia  Tel. 02 36564115 Mobile 331 7313050 

Galleria OPENMIND  by New Old Camera srl
Via Dante n°12 ( Via Rovello n°5 ) 20121 Milano Italia
Tel.02-36589216 02-36589217 02-89011338 Fax.02-72014649
Orario Martedì al Sabato 10:30-13:00 / 15:30-19:00 Chiuso Domenica e Lunedì 

lunedì 1 febbraio 2010

L’AMBIENTE LARIANO E LA FAUNA OMEOTERMA (terza parte)

le pareti rocciose del Moregallo

Le pareti rocciose che ornano per lunghi tratti le sponde del Lario costituiscono luoghi importanti per la nidificazione di uccelli che amano gli anfratti e le cavità; tra questi va ricordato il bellissimo e piuttosto raro Falco Pellegrino, osservato anche nei pressi della città di Lecco.


Le pareti strapiombanti sul Lario rappresentano inoltre per il Picchio muraiolo i siti più basi di nidificazione registri in Lombardia. Questa specie infatti, inconfondibile per il suo volo “a farfalla”, solitamente abita le rocce di quote ben superiori, anche fino all’orizzonte alpino. In inverno essa compie tuttavia erratismi verticali, frequentando gli ambienti perilacustri in densità assai maggiori rispetto al periodo riproduttivo.



Le coste rocciose lariane ospitano pure alcuni nidi di Rondine montana, specie abbastanza comune nel territorio fino a quasi 2000 metri; in mancanza di rupi essa sfrutta anche, per la nidificazione, costruzioni umane quali ponti, gallerie stradali, viadotti e cave. Mentre nella stagione riproduttiva è distribuita più uniformemente nel settore prealpino, generalmente tra i 500 e 1700 metri, in inverno si localizza maggiormente nelle zone limitrofe ai laghi di Garda, Iseo e Como. E’ possibile allora osservare presso le sponde rocciose piccoli gruppi di questo irundinide, unico rappresentante di questa famiglia a possedere popolazioni residenti alle nostre latitudini durante l’intero arco dell’anno (a differenza della Rondine comune, del Balestruccio e del Topino che migrano regolarmente verso il continente africano).




Lungo le sponde del Lario si può incontrare anche il Martin pescatore mentre sfreccia a pelo d’acqua ad un posatoio all’altro, pronto a tuffarsi su un pesce. La nidificazione di questo variopinto uccello avviene su pareti sabbiose e limose dove esso scava gallerie profonde più di un metro, al termine delle quali è situato il nido. La densità della specie in periodo riproduttivo sono tuttavia maggiori in ambiente planiziale e collinare, lungo i corsi d’acqua principali (soprattutto l’Adda). Una volta individuato il sito idoneo il Martin pescatore può all’occorrenza costruire il suo nido anche a diverse centinaia di metri dal copro idrico utilizzato per la pesca.




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