"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

martedì 29 aprile 2008

DAI LAGHI ALL'OCEANO (10-11 MAGGIO 2008 LAVENA PONTE TRESA)



Ciao Inuit del Lario!

Pubblico volentieri un’iniziativa dei nostri amici di Sullacqua (www.sullacqua.it), a cui spero possiate partecipare tutti!!!

Nerrajaq.

DAI LAGHI ALL’OCEANO
Week-end fra appassionati del Kayak Da Mare presso il campeggio di Lavena Ponte Tresa (VA)
Lago di Lugano.

Sabato 10 Maggio:

- ore 14.00 Ritrovo
(per chi pernotta in campeggio montaggio tende)
Inaugurazione stagione della Scuola Sullacqua
- dalle 15.00 alle 18.00 Prove e dimostrazioni in acqua.
- dalle 19.00 Grigliata

Domenica 11 Maggio:

- ore 09.30 Ritrovo
- ore 10.00 Escursione in kayak sul lago di Lugano
- alle 15.00 Presentazione della prossima spedizione in Scozia “Around Highlands” a cura di SKD Adventure Team http://aroundhighlands.blogspot.com/

giovedì 24 aprile 2008

TERMINOLOGIA DEL KAYAK DA MARE (D-I)


DERIVA: 1) prolungamento longitudinale della chiglia, fisso o mobile, che serve ad aumentare la stabilità orizzontale di un’imbarcazione e a ridurre lo scarroccio; 2) più genericamente, il termine indica il trascinamento di un natante rispetto al fondo del mare per effetto di una corrente ed è anche sinonimo di scarroccio.
DORSO: superficie della pala immersa rivolta a proravia. Anche detto faccia posteriore.
DRITTA: destra; bordo dello scafo situato sul lato destro.
DUMPING SURF: situazione pericolosa, in cui il litorale presenta frangenti molto violenti, che producono veri e propri veri boati.
ELENCO DEI FARI E SEGNALI DA NEBBIA: pubblicazione dell’Istituto Idrografico della Marina nella quale sono riportate l’ubicazione, la descrizione e le caratteristiche di tutti i segnalamenti luminosi e sonori utili alla navigazione presenti nel Mediterraneo.
EPIRB: sigla di Emergency Position Inidicating Radio Beacon, trasmettitore satellitare d’emergenza di piccole dimensioni.
ESKIMO: operazione di raddrizzamento del kayak rovesciato, che si esegue restando seduti nel pozzetto.
FACCIA DI SPINTA: superficie della pala immersa rivolta a poppavia.
FANALE: punto luminoso che segnala nell’oscurità la posizione dell’imbarcazione o di una boa.
FARO: costruzione elevata, generalmente a forma di torre, recante alla sommità una luce bianca molto potente, fissa o mobile, in grado di guidare, di notte e da grande distanza, natanti. Serve a segnalare la posizione di porti, campi geografici, banchi di scogli in affioramento e altri elementi importanti per la navigazione.
FIANCATA: parte dello scafo compresa fra la linea di galleggiamento e il piano della coperta.
GALLOCCIA: maniglia con due braccioli, attorno a cui si dà volta alle cime. Può essere in legno, in plastica o in metallo.
GASSA: nodo a occhio che si realizza ripiegando a cappio o ad asola il corrente d’un cavo e annodandolo al dormiente senza che scorra.
GASSA D’AMANTE: è il nodo più importante dell’arte marinaresca.
GAVONE: spazio vuoto nella parte interna dello scafo, compreso fra l’estremità prodiera o poppiera e il pozzetto, dal quale è separato per mezzo di una paratia stagna. Secondo la posizione, può essere di prua o di poppa. In alcuni kayak se possono avere anche tre. Serve per riporvi attrezzi ed equipaggiamenti vari.
GIARDINETTO: ciascuno dei fianchi della poppa, ovvero la direzione a tre quarti di poppa rispetto all’asse dell’imbarcazione. Può essere di dritta o di sinistra.
GPS: sigla di Global Position System, sistema di navigazione satellitare.
HEADSTAND: particolare tipo di appoggio che consente di raddrizzare il kayak dal lato del suo rovesciamento.
IMBANDO: cavo, o parte di cavo, non in forza.
IMMERSIONE: fase iniziale della pagaiata, durante la quale la pala viene immersa in acqua.

lunedì 21 aprile 2008

LA FOLAGA, NERE A MIGLIAIA

E’ l’uccello acquatico più comune da vedere e da incontrare mentre pagaiamo sul lago. Appartiene alla famiglia Rallidae, uccelli dal volo goffo che prediligono rifugiarsi a terra tra la vegetazione bassa o nei canneti.
.

Il suo nome scientifico è Fulica atra, dovuto al colore del piumaggio (atra=nera). Di taglia quanto una piccola anatra, con lunghezza del corpo intorno ai 38 cm. Facilmente riconoscibile, grazie al piumaggio nero con becco e scudo frontale bianchi. Le zampe giallo-verdastre hanno dita caratteristicamente palmate, ma non unite tra loro.
.

Come gli altri rallidi ha volo poco fluido, infatti corre a lungo sull’acqua prima di decollare. Nel periodo riproduttivo si assiste alle dispute per la difesa o conquista del territorio con violenti attacchi a colpi di zampe e becco. Soprattutto di inverno si riunisce in grossi gruppi ed è facile osservarla mentre si tuffa alla ricerca di cibo. Si nutre di materia vegetale, ma anche di invertebrati e piccoli pesci. Si alimenta anche a terra, oppure depreda il cibo agli individui della stessa specie.
.
Costruisce un nido voluminoso e sopraelevato, spesso ancorato alla vegetazione acquatica della riva. In Lombardia nidifica in tutte le aree idonee, con canneti anche piccoli ma non disturbati. In inverno si ritrova soprattutto sui laghi prealpini con concentrazioni a volta elevatissime e gruppi cospicui. Un quarto delle osservazioni regionali in inverno riguardano gruppi di più di 50 unità.
.

Foto di Riccardo Agretti.

venerdì 18 aprile 2008

PAGAIARE CONTRO IL PITERAQ PER SOPRAVVIVERE


Una volta in cui dovevo raggiungere la riva controvento, mi trovai in difficoltà. Il giorno prima aveva piovuto ed ero uscito in kayak con la pelliccia. Poiché ero rimasto fuori per parecchio tempo la pelliccia si era inzuppata di pioggia. L’indomani c’era calma, e poiché la pelliccia era ancora bagnata, quando uscii con il kayak la lasciai a casa. Arrivato al largo mi arrampicai su un banco di ghiaccio. Poco dopo vidi la sabbia sollevarsi e turbinare sopra la vetta di Ortunaviq. Era estate, e mi resi conto che il Piteraq poteva arrivare da un momento all’altro, sebbene più che promettere una tempesta di Piteraq il vento sembrava soffiare da nord-est. Quando succedeva questo, usavamo dire che si “spostava” (il Piteraq si spostava a nord-est), e in quei casi era violentissimo.
Allora legai ben stretto il bordo superiore della mia mezza pelliccia * (*tutti i cacciatori in kayak possiedono una mezza pelliccia. Poiché il kayak è molto basso, è sufficiente un po’ di vento perché l’acqua entri sciabordando dall’apertura del pozzetto) con la correggia dell’arpione, mi infilai nel kayak, fissai il bordo inferiore tutt’intorno all’apertura e mia avviai verso terraferma quando il Piteraq arrivò con tutta la sua forza. Fortunatamente non ero molto lontano dalla costa, ma mi chiesi quando avrei cominciato a sentire freddo dentro il kayak. Ma prima che il freddo si facesse sentire (l’acqua di mare che si infiltrava all’interno del bordo superiore della mezza pelliccia), mi avvicinai alla terraferma dove ero al riparo. Allora decisi di doppiare la punta, e ci riuscii seguendo da presso la costa. Mi restava da attraversare un piccolo stretto (meno di mezzo chilometro) e anche se non avevo paura, aspettai che la tempesta si placasse un po’, dal momento che non indossavo la pelliccia da kayak. Il mare aveva assunto una sfumatura rossiccia a causa del turbinio di sabbia e acqua ma quando, poco dopo, l’esperienza mi disse che per il momento la tempesta non si sarebbe placata, mi avviai. Ero arrivato a metà – e avevo il vento contro – quando cominciai a sentire qualcosa di freddo contro il petto. Mentre pagaiavo, alcuni movimenti avevano allentato la correggia, che lasciava passare l’acqua. Di lì a poco l’acqua fredda cominciò a entrare nel kayak, mentre il Piteraq aumentava sempre più di intensità. Il nostro accampamento non era molto lontano, ma fui costretto a puntare verso la costa più vicina, poiché sentivo che l’acqua entrava molto rapidamente nel kayak. Poco dopo scesi a terra: in quel breve lasso di tempo il mio kayak si era quasi riempito d’acqua, che entrava dalla mezza pelliccia. Siccome da quel punto potevo raggiungere la nostra tenda a piedi, sbarcai. Se avessi indossato la pelliccia, sarei arrivato fino all’accampamento in kayak.
Se quel piccolo stretto laggiù fosse stato appena più grande, allora sarei sicuramente affondato prima di raggiungere l’altra riva: l’acqua entrava in tale quantità e con tale rapidità dal bordo della mezza pelliccia che il mio kayak era mezzo pieno.

Tratto dal libro IL MIO PASSATO ESCHIMESE di Georg Qupersiman.

lunedì 14 aprile 2008

CORSO DI AGGIORNAMENTO PER ISTRUTTORE DI BASE UISP 12/04/08

Sabato 12 Aprile presso la sede nautica dei nostri amici di SULLACQUA (http://www.sullacqua.it/) a Lavena di Ponte Tresa (VA) si è tenuto il corso di aggiornamento per Istruttore di Base di Canoa e Kayak UISP. Relatore della giornata è stato Emanuele Rodari presidente dell’ASD SULLACQUA. Erano presenti una dozzina di istruttori UISP tra cui tre del CK90, nonché Inuit del Lario: Corrado Mazzoleni, Felice Farina e Mario Spreafico. L’aggiornamento ha trattato argomenti sulla sicurezza in kayak su lago e mare: attrezzatura, salvataggi e soccorso. E’ stato distribuito anche l’opuscolo “in canoa sicuri” con tutti i consigli per pagaiare in sicurezza sui laghi (l’opuscolo si trova sul sito di SULLACQUA). Nel pomeriggio ne abbiamo approfittato per fare un giro in kayak sul bellissimo lago di Lugano e la giornata è finita con la dimostrazione in acqua di un salvataggio a T e di una risalita con paddle float da parte degli istruttori di Sullacqua, Emanuale Rodari e Andrea Bolis.
.

venerdì 11 aprile 2008

ESCURSIONE SUL LAGO DI MEZZOLA 06/04/08


La classica escursione in kayak sul Lago di Mezzola ha sempre avuto luogo ad inizio Autunno, ma quest’anno si è deciso di anticiparla ad inizio Primavera. E’ stata l’occasione per vedere l’ambiente del Pian di Spagna in una stagione diversa: ogni stagione ha i suoi colori e anche l’acqua del lago è diversa. Domenica scorsa gli Inuit del Lario sono partiti con il loro kayak dal porto lacustre di Gera Lario e risalendo il fiume Mera sono entrati prima nel laghetto di Dascio e poi nel piccolo ma “grande” Lago di Mezzola. Una deviazione è stata fatta nel Mera immissario per vedere il millenario tempietto romanico di San Fedelino e in un canale parallelo al fiume per cercare nuovi percorsi acquatici per la prossima escursione. Il clima è stato però abbastanza autunnale e il nostro rientro al porto di Gera Lario è stato accolto con la pioggia mentre la Breva non ci ha tenuto compagnia.


E’ doveroso per chi non conosce la zona, scrivere due righe per lodare le bellezze di questo ambiente naturale. Il lago di Como, dopo essersi lungamente disteso in direzione nord-sud, nel suo settore più settentrionale tende a curvare un poco verso oriente, diventando quasi il punto di snodo di due grandi vallate (la Valtellina e la Valchiavenna), entrambi discendenti dalla complessa geografia alpina. Alla confluenza di queste due vallate si è formata un’area pianeggiante di origine alluvionale, stretta tra il Lario e il lago di Mezzola, circondata da aspre montagne i cui versanti si raccordano, spesso bruscamente, con il piano stesso. Questo lembo di pianura è conosciuto da tempo con il nome di Pian di Spagna, toponimo ereditato dalle vicende storiche che si sono succedute in questa regione. Per la sua particolare posizione questo territorio, estremamente conteso da acque e terraferma, sembra costituire un punto cruciale di incontro, di transito e di intercambio (fra il modo prealpino e padano e quello più strettamente endoalpino) una volta importante crocevia di vie commerciali ed eserciti, oggi nodo essenziale per la viabilità del turismo. Non si può non dimenticare un altro tipo di transito, quello dell’ornitofauna migratoria che trova, nella aree umide che caratterizzano il piano di Spagna, un luogo ideale di sosta e che, insieme a quella stanziale, va a costituire un patrimonio faunistico ricco e di sicura rilevanza. Ed è soprattutto la protezione di questo patrimonio che spinse la regione Lombardia, nel 1983, a istituire la “Riserva Naturale del Pian di Spagna – Lago di Mezzola”.
Chi va in kayak sul lago di Mezzola deve prestare particolare attenzione alle zone d’acqua, segnalate con apposite boe gialle, i cui è vietata la navigazione in quanto zona naturale di rispetto integrale della Riserva: si trovano sulle sponde orientali del laghetto di Dascio e del lago di Mezzola.

mercoledì 9 aprile 2008

LA RIVINCITA DEL “LARIO”

Così si chiama l’olio prodotto sulla sponda lecchese del lago di Como che per anni ha vissuto all’ombra di quello franto sul ramo opposto. Oggi ha ottenuto la DOP e, grazie al frantoio di Bellano sta raccogliendo ottimi risultati: una produzione ancora di nicchia ma di grande qualità.

I nomi e i toponimi sono importanti perché prefigurano un destino (omen nomen), molto spesso fanno parlare il passato, ci rivelano per esempio quale era la specialità o l’attività prevalente di un certo luogo. E’ il caso eclatante di Oliveto Lario, piccolo comune che, dal 1995, fa parte della provincia di Lecco e si affaccia sulla riva orientale di “quel ramo del lago di Como” di manzoniana memoria. Il toponimo testimonia inequivocabilmente la presenza dell’olivo, pianta tipicamente mediterranea, che riesce però a crescere anche a latitudini settentrionali, nel bel mezzo della montagne, grazie proprio al lago che, con il suo grande bacino, fra da “volano termico” e consente di mitigare notevolmente gli inverni. Sappiamo che coltivare gli olivi richiede molto tempo, mentre rende poco anche nelle regioni meridionali d’Italia dove il clima è molto propizio e le produzioni molto abbondanti, figuriamoci sulle rive del lago dove i vigneti sono quasi tutti su colline erte e talvolta terrazzate. Per anni l’olivicoltura lariana è stata ridotta a un simulacro di se stessa con gli olivi coltivati più a scopo ornamentale. Poi ad un certo punto, una decina di anni fa è rinata tornando a rappresentare un elemento fondamentale dell’agricoltura e del paesaggio del comprensorio del lago di Como. In particolare è da segnalare che lo sforzo più importante è stato compiuto proprio sulla sponda lecchese e cioè quella che, dal punto di vista dell’olivicoltura, aveva sempre “sofferto” la fama ben più solida della riva occidentale, vale a dire della zona attorno a Tremezzo e Lenno. Grazie alla regia della Comunità montana della Comunità montana del Lario Orientale (http://www.cmlarioorientale.it/) l’olivicoltura è stata dunque rilanciata e assistita in vari modi: con la fornitura di piantine giovani, l’assistenza agronomica e molte altre iniziative. Risultato: oggi l’olivicoltura lecchese può contare su un patrimonio di circa 18 mila piante che sono disseminate da Lecco fino all’abbazia di Piona, ovvero il limite settentrionale della coltura in ambito lecchese. Le piante di olivo di abbarbicano sulla montagna che digrada il lago fino a una quota massima di 400 metri, là dove si stemperano i benefici migratori del grande specchio d’acqua.
.
Le varietà di olivo maggiormente diffuse sono il frantoio (tipica della Toscana) e il leccino. La maggior parte degli oliveti si trovano sui terrazzi meglio esposti dei comuni di Perledo, Varenna, Dervio e Bellano. Si stima che in questo comprensorio si trovino circa 200 olivicoltori, buona parte hobbisti, mentre sono una trentina gli olivicoltori in grado di vantare un consistente numero di piante. L’elemento fondamentale della filiera olivo-olio è stato la creazione di un frantoio anche sulla sponda lecchese, avvenuta un paio di anni fa (prima ci si doveva trasferire fino a Tremezzo, con grande pregiudizio per la qualità del prodotto finale, poiché le olive si deteriorano nel trasporto). Con il contributo della comunità Montana è stato impiantato un piccolo frantoio presso l’azienda Poppo in località Biosio di Bellano. Tutti gli olivicoltori della provincia di Lecco portano qui le olive per la frangitura. Il regolamento di servizio del frantoio è molto severo e improntato sulla massima igiene e qualità. In particolare è vietato trasportare le olive in sacchi, dove le stesse potrebbero schiacciarsi e deteriorarsi. La campagna di raccolta e frangitura inizia il 15 Novembre e si protrae per un mese e mezzo circa. Il frantoio può lavorare al massimo tre quintali per volta, con un carico minimo di 150 chilogrammi, una quantità che consente a ogni olivicoltore di avere il proprio quantitativo di olio, anche se si tratta di pochi litri. Da qualche anno l’olio extravergine del lago di Como si può fregiare della DOP (denominazione di origine protetta) con la sottodenominazione “Lario” e siccome i quantitativi sono esigui, l’extravergine Dop Lario lecchese è confezionato da un pugno di produttori e le bottiglie sono assai rare, vendute quasi tutte sul posto e utilizzate sulle tavole dei ristoranti della riviera.

Foto di Riccardo Agretti (NB: le olive in foto sono quelle degli ulivi Lariani!)
Testo tratto dal mensile OROBIE http://www.orobie.it/

PS: il nostro caro amico, nonchè Inuit del Lario "QIVITTOQ" (Gianni) produce l’olio ma nelle lontane e assolate colline molisane…

lunedì 7 aprile 2008

L’ABBIGLIAMENTO TECNICO DEL KAYAKER MARINO

Ogni disciplina sportiva prevede un abbigliamento tecnico specifico che aiuti a rendere l’attività sicura e confortevole. Nel kayak esso diventa parte di noi: più si adatterà alle nostre esigenze, migliore sarà il nostro rapporto con l’acqua. Scegliere che cosa indossare dipende da diversi fattori. Ecco i principali:

NORME DI SICUREZZA: abbigliamento e attrezzatura devono in primo luogo rispettare le norme di sicurezza
CONDIZIONI CLIMATICHE: la termicità degli indumenti va sempre scelta in relazione alla temperatura dell’aria, alla forza del vento ed alla temperatura dell'acqua.
TEMPERATURA DELL’ACQUA: quando la temperatura dell’acqua è fredda, è necessario un abbigliamento pesante anche in una giornata calda e soleggiata.
DURATA PRESUNTA DELLA NAVIGAZIONE: più l’escursione è lunga, più è necessario proteggersi dal freddo, anche durante le soste tecniche.

Vediamo ora quale dovrebbe essere l’abbigliamento minimo di un kayaker marino.

CALZATURE: devono essere più o meno pesanti a seconda dell’escursione che si deve fare ma anche in base alla temperatura dell’aria e dell’acqua. Si può scegliere tra semplici calzari in neoprene oppure scarpette (basse oppure alte sopra la caviglia) sempre in neoprene ma con una buona suola antiscivolo che garantisca protezione al piede quando si devono effettuare imbarchi, sbarchi, trasbordi o camminare su scogliere e spiagge sassose. In caso di freddo intenso si possono indossare i calzari (o delle normali calze di lana) all’interno delle scarpette in neoprene.

MUTA: per riparare dal freddo gli arti inferiori e il busto, l’indumento più comunemente utilizzato è la muta a salopette in neoprene da 2 o 3 mm, corta fino al ginocchio o lunga fino alle caviglie (quella lunga è chiamata long john) perché possiede un buon coefficiente termico. In alternativa alla muta si trovano in commercio pantaloncini e magliette in neoprene di vario spessore. Nelle giornate calde si possono semplicemente indossare una maglietta in lycra o in polyamide (ottime quelle da surf della TRIBORD) e un costume da bagno.

STRATO TERMICO: per riscaldare il torace e le braccia, si può scegliere una vasta gamma di tessuti sintetici di vario peso, come la lycra o il polyamide (con la felpatura interna per le giornate più fredde). Le magliette in polyamide oltre a essere sottili e confortevoli si asciugano molto facilmente. E’ buona norma, quando si parte per lunghe escursioni, portare dentro i gavoni, una o più magliette di cambio.

GIACCA D’ACQUA: va indossata sopra lo strato termico, è un indumento molto importante in quanto, oltre a proteggere il tronco dagli spruzzi e dal vento, trattiene il calore generato dal corpo. La giacca d’acqua può essere in nylon più o meno pesante o in cordura. Si definisce normale quando collo e polsi presentano chiusure semplici, semistagna quando ai polsi è stata applicata una chiusura in lattice, e stagna quando il rinforzo del lattice è presente anche sul collo. Alcune giacche d’acqua sono fornite di cappuccio, molto utile in caso di pioggia o per tenere calda la testa. Attualmente le giacche d’acqua stagne e semistagne hanno il doppio tubo a livello addominale per garantire una maggiore impermeabilità. Per climi decisamente rigidi si può adottare una tuta stagna completa in materiale impermeabile con chiusure in lattice alla caviglie, polsi e al collo.

PARASPRUZZI: serve a chiudere ermeticamente il pozzetto del kayak. Di norma va indossato sempre, anche nei giorni più caldi. Possono essere in nylon o in neoprene. Accessorio indispensabile del paraspruzzi è la maniglia di sgancio, che serve ad aprirlo in caso di necessità. La maniglia deve essere comoda da afferrare anche nella posizione rovesciata del kayak, e chiaramente, rimanere all’esterno del pozzetto quando il paraspruzzi viene allacciato.

SALVAGENTE: non DEVE mai mancare, qualunque sia la situazione in cui si pagaia (mare, lago o fiume) in quanto oltre a garantire il galleggiamento in caso di bagno, offre una protezione contro il freddo. Esistono vari tipi di salvagente, da quello semplice a quello con imbracatura di salvamento e tasche portaoggetti dove riporre fischietto, coltello, cellulare e qualsiasi altra cosa che ci può servire in caso di necessità. Quando si acquista un salvagente è di fondamentale importanza verificare che il prodotto sia a norma di legge e che abbia al suo interno il marchio CE a garanzia di omologazione. Un altro requisito importante è la chiusura a livello addominale che, in caso di bagno, mantiene il salvagente in posizione evitando che scivoli verso l’alto.

giovedì 3 aprile 2008

NIBBIO BRUNO O POIANA?

In risposta alla domanda di Maurizio al post sul Nibbio bruno ecco un rapido confronto tra le due specie di rapaci diurni più comuni dalle nostre parti. Pur essendo abbastanza diverse tra loro, la confusione è piuttosto diffusa tra le persone, che generalmente considerano entrambe "poiane".
.
Poiana, nome scientifico Buteo buteo:
- E' presente nel nostro territorio tutto l'anno
- Coda dal margine arrotondato con un bordo di colore scuro e il resto più o meno barrato
- Colorazione della parte inferriore dell'ala molto varia ma in genere con una ampia porzione centrale più chiara finemente barrata di scuro
- Corpo dall'aspetto massiccio, tozzo.. un pò "appesantito"
- Testa poco sporgente dal bordo delle ali, corta e tozza
- Margini dell'ala non paralleli, quello posteriore arrotondato

Nibbio bruno, nome scientifico Milvus migrans
- Migratore, da noi è presente solo da marzo ad agosto
- Coda dal margine dritto, leggermente intaccata a V, più visibile quando la tiene chiusa, dal colore uniforme
- Colorazione inferiore abbastanza uniforme, senza aree chiare o barrature evidenti
- Corpo dall'aspetto abbastanza snello e leggero
- Testa snella
- Ala dai margini paralleli, quello posteriore non arrotondato, quando distesa ha un aspetto rettangolare

Spero di essere stato abbastanza chiaro.. d'ora in poi nessun kayaker si sbaglierà :-)

mercoledì 2 aprile 2008

IL NIBBIO BRUNO, IL RAPACE DEL LAGO


Mentre siamo in kayak durante la bella stagione, ci fa sempre compagnia, nel cielo sopra di noi, in volo planato, un grosso rapace scuro: è il Nibbio Bruno. E’ un rapace diurno di discrete dimensioni (apertura alare di circa 150 cm.) e il suo nome scientifico è Milvus migrans. Ha piumaggio marrone scuro con parti inferiori e calzoni tendenti al rossiccio, testa grigio biancastra, occhi gialli. Silhouette di volo caratteristica con ali lunghe tenute piegate verso il basso e lunga coda lievemente forcuta. Simile al Nibbio Reale ma si distingue per la coda meno forcuta, quasi squadrata quando è aperta, è per l’assenza di ampie finestre bianche nel piumaggio inferiore dell’ala. Costruisce il nido su alti alberi all’interno di boschi estesi di collina e pianura o sulle pareti rocciose in prossimità di laghi, fiumi o altre zone umide. E’ un rapace opportunista che si nutre di una grande varietà di prede vive, ma anche di carogne e rifiuti. Le popolazioni italiane si nutrono prevalentemente di pesci, che vengono catturati immergendo gli artigli appena sotto il pelo dell’acqua. Per questa ragione si conta una forte presenza nel territorio Lariano. Migratore totale, sverna a sud del Sahara nella regione etiopica. Assente in inverno, arrivi particolarmente precoci si verificano a partire da Febbraio/Marzo. Una curiosità: per foderare il nido utilizza spesso sacchetti di carta o di plastica e altro materiale soffice prelevato dalle discariche.

PS: la prima foto è stata scattata da Peteraq dal suo kayak.