"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 30 gennaio 2012

NORDICA ANIMA MUNDI



Se in passato si parlava di mal d’Africa per chi visitava quel continente e ordiva il ritorno, nonostante pericoli e deprivazioni, possiamo oggi noi parlare di mal d’Artico? Vivendo ormai nei tempi della comunicazione globale, i modi e i mezzi di entrata e uscita da quel mondo sono senz’altro più rapidi e affidabili, meno legati a iniziative di associazioni scientifiche o intere nazioni. Ma cosa richiama un numero sempre maggiore di persone a visitare i Poli del mondo? A sponsorizzare spedizioni, viaggi, esplorazioni amatoriali, crociere e traversate nautiche. Spesso ritornandoci più di una volta? Ho qui tra le mani un libro di ritratti polari recentemente pubblicato in Gran Bretagna. Sfogliando le pagine troviamo una lunga rassegna di foto d’individui che hanno segnato le loro vite nelle zone artiche. L’ultimo è Graham Dickson, nato nel 1975, e fondatore di una compagnia specializzata in dare supporto logistico a quelle latitudini. Combinando le conoscenze tradizionali degli inuit con la moderna tecnologia sta creando lassù a Nunavut una nuova mappa per espandere gli orizzonti dell’eco-turismo. Diversi gli elementi di seduzione evocati da questo angolo di terra. Innanzitutto il desiderio di esplorazione per tutto ciò che è lontano, singolare, ed esoticamente diverso.






Di riflesso, le zone artiche rappresentano oggi la destinazione più remota dal consorzio civile, differenziandosi da un mondo che si colloca oramai per grandi estensioni tra l’urbano e il metropolitano. Visto però che viaggiare all’interno delle zone temperate è alla portata di tutti, è logico assegnare ai Poli anche l’esclusività dei costi. E qui sforiamo ahimè nel consumismo, contemporanea febbre malarica degli status symbol. Non potrò mai dimenticare il chirurgo di Miami incontrato in Groenlandia apertamente dichiaratosi malato di polarite. Ovvero il sentito bisogno di dover ritornare ancora e ancora in quel mondo di ghiaccio blu. Come se si fosse innescato il desiderio per un interminabile giro di giostra. C’è in tutto questo un novello sentore di sentimentalismo romantico. Ma non areniamoci in una categoria già vista e sentita perché c’è di più. L’artico è oggi un vero paradiso per l’esteta munito di macchina fotografica a svariati filtri. Il paesaggio e la fauna che possiamo osservare nel transito agevolato da uno zodiac sprizza di ricchezza cromatica, luce, e sopraffina pristina autenticità. Sì autenticità, e su questo vocabolo mi devo soffermare. In un mondo dove tutto è influenzato e manipolato da tutto, le terre artiche sono le ultime isole che brillano ancora di luce e tenebre proprie.







E’ vero che le correnti aeree trasportano fin lassù la tossicità dei nostri sistemi economici, o delle nostre scelte strategiche. Ma il Nord, l’estremo Nord ricopre tuttora il suo mondo in un Grande Biancore conservando gelosamente per noi l’ultimo bastione di pristina wilderness. Ovvero un paesaggio ancora vicino alla sua genesi dove l’umano può provare, e portarsi nel cuore, quella sensazione di primordiale gettatezza (termine preso in prestito da Heidegger) che dà un’autentica misura del proprio essere. Con quest’ultima riflessione, iniziamo a viaggiare, e fluire come un mare negli oceani dell’anima. Tale sensazione può difatti rivelarsi oro (anche in un senso alchemico) se sfociante in consapevolezza. O meglio, se innesca un processo interiore in cui diventiamo consapevoli di un modo di vedere il mondo radicalmente nuovo. Un modus forse visionario in cui ci sentiamo più vicini alla terrestrità, svincolati da ogni soggettivismo narcisista che tende ad assorbire il tutto nella dimensione letterale dell’io. Impoverendolo. L’artico può offrire le immagini con la tonalità giusta per risvegliare questo trasformato orizzonte. E la polarite intesa in un’ottica psicologica ne è una conferma.





Con una sensibilità risvegliata si vivificano le nostre percezioni, e il mondo s’incanta nel manto avvolgente dell’innamoramento. Nell’artico possiamo vivere sulla nostra pelle un paradosso che è al centro delle nostre vite oggi. Allontanati dalle mille tentazioni virtuali che strappano quotidianamente dal reale, nello spoglio contesto polare riscopriamo la presenza del prossimo sia come paesaggio naturale che umano. Riscopriamo nuove modalità di interdipendenza e intimità con il mondo, mentre affinando i sensi, esperiamo interiormente nuove immagini, pensando rigenerati pensieri. Usciamo e rientriamo risettati da quel mondo. La distanza si rivela finalmente benigna mostrandoci qualcosa di trasparente e illuminato, risonante dalle profondità. In bilico tra natura e percezioni del corpo, diamo voce a vere emozioni dell’anima. Nei dintorni di Iqaliut, Yellowknife, Nuuk si creano nuove destinazioni, fresche esperienze, insolite espressioni del linguaggio. I confini degli orizzonti risultano più ampi. Stiamo creando nuovi mondi che ci vivono dentro anche dopo il ritorno a casa. Ma siamo solo all’inizio. Sono infiniti i misteri dell’Anima Mundi, le vie della psiche oggettiva. Si aprono all’universo intero. Lo rendono vivo, unificato e unificante. Aspettano solo che noi diciamo sì a una chiamata. E respiriamo profondamente... prima di dare una risposta. Nelle zone artiche, ci aspetta una vera avventura che va dritta al cuore della vita.




Il mondo intero è dimorato dagli Dei (Talete)

Articolo di Massimo Maggiari prima della partenza per Gjoa Haven – Nunavut
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lunedì 23 gennaio 2012

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE SUL LAGO DI GARLATE: LO "STABILIMENTO PIRELLI" DI VERCURAGO



A fianco della sede del CK90 (Canoa Kajak 90 a.s.d.), oltrepassato il torrente Gallavesa ma ancora nel comune di Vercurago (LC) sorge lo Stabilimento Pirelli. Lo Stabilimento di Vercurago, viene fondato nel 1917 ed è destinato a preparare i prodotti chimici usati nelle mescole utilizzate per la preparazione della gomma (acceleranti, anti- invecchianti, carbonato di magnesio, ossido di zinco).




Tale unità produttiva, insieme alla Società Sali di Bario di Pietro Cugnasca (posta in prossimità della ferrovia a Calolziocorte e che trattava il minerale di barite) e con la Cartiera dell’Adda, costituisce il polo della chimica del ‘900 nel territorio Lecchese.




Lo stabilimento Pirelli occupava un area di circa 60.000 mq, di cui 13.000 coperti. Si riporta la descrizione dello stabilimento tratta dagli archivi della Fondazione Pirelli :
Esso sorge in amena posizione. E’ a breve distanza dalla stazione di Calolzio-Olginate ed è provvisto di una ampia darsena di approdo e di scarico per trasporti per via d’acqua. Allo stabilimento è annesso un impianto idro-elettrico proprio, che integra il consumo di energia fatto dallo stabilimento stesso. Questo impianto è costruito sul torrente Gallavesa, sfrutta una caduta d’acqua di circa 70 metri e trasporta l’energia allo stabilimento a mezzo di un cavo di circa due chilometri alla tensione di 3.000 volts.”





Questa soluzione tecnica è tipica di molte attività produttive dell’epoca insediate nella valle S. Martino. Erano state infatti realizzate alcune piccole centrali idroelettriche che sfruttando i vari torrenti esistenti nella zona generavano valori di energia elettrica significativi per l’epoca. Attualmente tali centraline sono state smantellate perché tali corsi d’acqua si scaricano a valle con salti significativi ma di breve durata (nell’arco dell’anno) e di scarsa portata d’acqua.





Nel corso degli anni Cinquanta, lo Stabilimento di Vercurago arrivò ad una popolazione di circa 150 dipendenti. Nel 1967, tuttavia, fu ceduto alla Prodotti Industriali Chimici SpA “in quanto non poteva trovare nei consumi del Gruppo volumi tali da consentire dei costi a livello internazionale”. L’attività produttiva del sito è cessata nel 1987 con la ditta Safilo Saldature.




Si ringrazia per le informazioni e le foto l’Archivio Storico della Fondazione Pirelli www.fondazionepirelli.org
Testo di Luis (Inuit del Lario)
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mercoledì 18 gennaio 2012

MOSTRA - 150 ANNI DI ESPLORAZIONI POLARI: DALLA GROENLANDIA AL POLO SUD



Dal 20 gennaio all’11 marzo 2012 il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, l’Associazione Circolo Polare di Milano e l’Ambasciata di Norvegia in Italia organizzano la mostra “150 Anni di Esplorazioni Polari: dalla Groenlandia di Nansen al Polo Sud di Amundsen-Scott”, mostra storica e informativa sulle esplorazioni polari in coincidenza dei 100 anni dal raggiungimento del Polo Sud e dei 150 anni dalla nascita di Fridtjof Nansen.

L’esposizione evidenzia il ruolo degli esploratori polari italiani: Giacomo Bove, Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi, Umberto Nobile, Leonardo Bonzi, Silvio Zavatti e il “lariano” Guido Monzino. L’iniziativa intende ricordare anche Gabriella Massa studiosa del popolo Inuit.

Faro per molti esploratori polari, Nansen viene nominato Ambasciatore nel 1906 a Londra per ottenere garanzie di sicurezza per la giovane nazione Norvegia. Dal 1920 è chiamato dalla comunità internazionale a risolvere tragiche situazioni umanitarie. Ridà dignità a milioni di persone attraverso la creazione del Passaporto Nansen ed è insignito del premio Nobel per la pace nel 1922 per la sua opera umanitaria e di mediazione. Crea l’Alto Commissariato per i rifugiati, predecessore dell’attuale UNHCR – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Nansen è il grande maestro e mentore di Amundsen: lo stimola a studiare la meteorologia e il magnetismo terrestre, lo consiglia a conoscere da vicino il popolo Inuit. Nel 1909 Amundsen parte per la storica spedizione al Polo Sud in contemporanea con quella comandata da Robert Scott. Naviga con la nave FRAM progettata da Nansen. Il 19 ottobre del 1911 Amundsen lascia il campo base con quattro compagni, quattro slitte e 52 cani e il 14 dicembre 1911 raggiunge il Polo Sud, 5 settimane prima della spedizione di Scott.

Il 12 maggio 1926, Amundsen con Umberto Nobile e Lincoln Ellsworth sorvola per la prima volta con il dirigibile NORGE il Polo Nord e atterra in Alaska. L’Artico si conferma un oceano ghiacciato, come lo stesso Fridtjof Nansen aveva intuito quasi 30 anni prima.

A Torino, saranno programmate anche altre conferenze sulle spedizioni antartiche, occasione per affontare tematiche ad ampio respiro e di attualità legate all’ambiente e ai cambiamenti climatici.


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lunedì 16 gennaio 2012

LE ONDE (parte terza)

Le onde marine avvicinandosi alla costa sono soggette alle modificazioni dovute al fenomeno della rifrazione, della riflessione e della diffrazione.




La rifrazione.
L’onda risente del fondale marino che, a sua volta, risente dell’andamento della costa. Quando un fronte d’onda si avvicina ad una costa irregolare, la parte di onda che si trova sul fondale più basso si troverà rallentata, mentre sarà più veloce nella parte più alta. Questo determina una rotazione del fronte d’onda che tenderà ad allinearsi alla costa producendo una concentrazione di energia in corrispondenza dei promontori e delle sporgenze costiere, mentre nelle baie e nei golfi l’energia viene dissipata in un fronte più ampio e le onde che raggiungono la riva sono meno forti.




La riflessione.
Il flusso è perpendicolare all’onda, il riflusso, invece, è perpendicolare alla riva, quindi quando l’onda arriva obliqua con una certa inclinazione lungo la costa, il flutto di ritorno (denominato risacca) si muoverà dalla riva verso il mare con un angolo di 90°. La singola particella d’acqua, nel processo di flusso e riflusso, si troverà a percorrere una traiettoria a dente di sega. Un caso particolare di questo fenomeno è quando l’onda arriva perpendicolare al riva: l’onda riflessa, avendo lo stesso angolo di inclinazione ma direzione opposta, determina il fenomeno onda stazionaria.




La diffrazione.
Si verifica nel momento in cui l’onda incontra un ostacolo, ad esempio uno scoglio. L’onda si propaga dietro di esso e devia dalla direzione di propagazione rettilinea, sparpagliandosi in direzioni diverse, causando un moto ondoso anche nelle zone d’ombra.



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lunedì 9 gennaio 2012

LO SMERGO MINORE, CAMPIONE DI ELEGANZA



Appartiene all’ordine Anseriformes, famiglia Anatidae, variopinti uccelli acquatici comprendenti anatre, oche e cigni. Il suo nome scientifico è Mergus serrator. Anatide dal profilo slanciato, il maschio ha una livrea particolarmente vistosa. Ha testa nera con riflessi verdi, ornata da un vistoso ciuffo sulla nuca. Collare bianco. Petto castano con macchie più scure seguito da un’area nera a macchie bianche. Dorso nero al centro, bianco ai lati. Fianchi e cosa grigi. Ventre bianco. Iride rossa. La femmina ha capo bruno con cresta meno evidente e con gola e area tra becco e occhio biancastra. Collo bruno. Corpo grigiastro, più scuro sul dorso, con specchio alare bianco non sempre visibile. Ventre bianco. Iride castana. Becco lungo e sottile, rosso. Piedi rossi. In volo le remiganti secondarie bianche contrastano con resto dell’ala, scuro. Lunghezza di 52-58 cm.




Nidifica principalmente su isole o scogli costieri o in insenature o estuari riparati. Il nido viene posto al suolo, spesso nascosto dalla vegetazione o al riparo di rocce o radici. Si alimenta di piccoli pesci ma integra la dieta con invertebrati acquatici. Cattura le prede in superficie o immergendosi, solitamente, a non più di 3,5 metri. Lo Smergo minore è piuttosto gregario, vivendo quasi sempre in piccoli gruppi che, all’epoca della migrazione autunnale, possono arrivare a contare centinaia di individui.




Nidifica sulle coste artiche e dell’Atlantico settentrionale. Migratore, sverna sulle coste atlantiche, del Mediterraneo, del Mar Caspio e Mar Nero. Sverna anche nelle acque interne. In Lombardia è migratore e svernante. Si rinviene sui laghi e sui fiumi principali, più spesso nei settori orientali della regione. La popolazione svernante nel Mediterraneo è valutata in 50.000 individui. In Lombardia svernano pochi individui, probabilmente un centinaio.



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lunedì 2 gennaio 2012

I POPOLI DEI GHIACCI DEL GRANDE NORD (13)



Gli intestini di foca, lavati, disseccati e tesi, fornivano un materiale translucido, con cui venivano chiuse rudimentali finestre negli igloo, sia nelle costruzioni in torba. Gli stivali avevano suole di pelle d’orso, silenziose e antisdrucciolevoli; la loro coibenza era particolarmente utile durante le lunghe esposizioni dei cacciatori al gelo polare. Ridotta in strisce, la pelle dell’orso era usata anche per rivestire i pattini delle slitte: questo materiale si dimostrava infatti abbastanza robusto per sopportare gli urti contro il ghiaccio vivo e sufficientemente scorrevole nella neve soffice.




Le pelli di lupo e di ghiottone venivano impiegate per orlare i cappucci dei parka (casacche di pelo di foca), mentre con le piume degli uccelli, cucite fra loro, si potevano confezionare calde maglie da portare a contatto con la pelle.




L’utilizzo dei vegetali era estremamente limitato: il muschio disidratato veniva usato come lucignolo per le lampade, la resinosa cassiope era impiegata d’estate come combustibile (durante tutto l’anno presso le tribù lontane dal mare che non disponevano di olio animale). Gli unici frutti a disposizione erano i mirtilli, che costituivano una risorsa supplementare di vitamina C, il cui fabbisogno era comunque assicurato dalla pelle di narvalo, che ne è molto ricca, e dai diversi organi degli animali, ingeriti crudi o appena scottati.



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