"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 30 luglio 2009

I LAGHI, PICCOLI MARI DI CASA

I 'laghi' di Lecco

Fonti storiche riferiscono che in epoca romana il Lario giungeva a nord sin quasi a Chiavenna: allora il “summo lacu”, ovvero la sommità del lago, era dove oggi sono le case e i coltivi di “Samolaco”. Immensi depositi di sassi, ghiaie e sabbie trasportati dai fiumi e torrenti l’hanno spinto molto più a sud, originando tra l’altro il piccolo lago di Mezzola. Ciò non deve sorprendere. Anche altri laghi prealpini in passato erano più estesi di oggi: quello di Garda giungeva fino a Arco di Trento, il lago Maggiore sino a Bellinzona, e così gli altri. E’ un processo, questo, che continua tutt’oggi, un lento riempimento che porterà, tra secoli, alla scomparsa di questi grandi depositi d’acqua dolce. Piccoli mari di casa, specchi del cielo, occhi delle montagne, semplice e minuscolo attardarsi dei ruscelli tra buche e conche, il laghi sono una realtà complessa e dinamica. Una moltitudine di combinazioni che li rende diversi per colore e dimensione. I toponimi sono solo un modo per rammentare le diverse facce: grande, rotondo, nero, storto, verde, piccolo, bianco, gelato, basso, scuro, moro. I laghi sono, insomma, cosa viva che cambia d’aspetto negli anni, nelle stagioni, addirittura nelle diverse ore del giorno.


Lago del Segrino

Perché un lago si formi è sufficiente che l’acqua, nel suo naturale fluire verso il basso, incontri un ostacolo. Fino a quando l’ostacolo non è superato, la corsa non può riprendere; ecco allora che l’acqua si raccoglie, aumenta di volume, cerca una nuova via di fuga. A volte la scappatoia non c’è, o non si vede, come per il lago di Biandronno vicino a Varese, ma è lago lo stesso. La gran parte dei laghi di Lombardia nasce dall’azione dei ghiacciai quaternari. Nel loro lento ma inesorabile movimento, le immense lingue di ghiaccio hanno modellato il profilo delle montagne, delle valli, della alte pianure. E ovunque, al loro ritiro, hanno lasciato depressioni, conche, ondulazioni, che si sono riempite d’acqua. Buche grandi e piccole, a volte solitarie, a volte talmente numerose da sembrare famiglie: padri, figli e nipoti legati da esili, tortuosi, saltellanti fili d’acqua, emissari dell’uno e immissari dell’altro. La nascita dei laghi per l’azione dei ghiacciai non è però solo una cosa di epoche lontane: negli anni Venti il Nangeroni descrisse, sulle Orobie, la presenza di un lago subglaciale, ai piedi del Pizzo del Diavolo di Malgina. La scomparsa del piccolo ghiacciaio, vent’anni più tardi, portò alla luce il laghetto, una macchia d’acqua scura tra pietre e rocce arrotondate. Analogamente, il recente arretramento frontale dei ghiacciai di Avio Centrale, nel Gruppo dell’Adamello, e dei Castelli Ovest, nell’Ortles-Cevedale, ha determinato la nascita di due laghi in corrispondenza di piccole depressioni moreniche. Ma l’esempio più clamoroso tra i laghi di nuova formazione è quello della val Pola, in alta Valtellina, tristemente famoso perché generato dall’immensa frana che, nel Luglio 1987, ostruì il corso dell’Adda e seppellì gli abitati di Morignone, S. Antonio, S. Martino e Aquilone. Un lago che l’uomo cancellò quasi subito, formando delle vie di uscita artificiali, per evitare che il crollo della diga, createsi naturalmente, potesse causare una nuova e disastrosa alluvione. L’evoluzione naturale avrebbe portato a esisti analoghi, ma con tempi molto più lunghi.

Lago di Sasso - Valbiandino (LC)

I laghi vivono, mutando il livello dell’acqua, cambiando nel corso delle stagioni o degli anni il colore, la forma, ornandosi di piante, ospitando animali. Da giovani sono spesso limpidi, fatti di acque trasparenti: poi man mano nascondono le parti più profonde, subiscono le offese del clima, si colmano di materiali, si racchiudono nel loro involucro, finché si spengono pian piano. L’ostacolo viene annullato, l’anomalia del fitto reticolo d’acqua cancellata. Ma sempre, la loro presenza, breve o lunga che sia, il lago costituisce un importante elemento di riferimento sul territorio. Placida oasi tra i ripidi profili delle montagne, preziosa scorta d’acqua, antica culla delle civiltà, ornamento del paesaggio, fonte d’energia, casa e rifugio di piante e animali: ogni lago racchiude tante ricchezze e tante valenze.

Lago di Mezzola .

lunedì 27 luglio 2009

LA PAGAIATA IN AVANTI - QUARTA FASE: L’ESTRAZIONE



Sfilare la pala d’acqua è abbastanza semplice, bisogna soltanto scegliere il momento giusto: se si estrae con troppo anticipo, il colpo perde potenza, se invece si aspetta troppo tempo, c’è il rischio che crei attrito nell’acqua e che determini movimenti parassiti che fanno ruotare il kayak.

Il momento giusto per estrarre la pala è quando il gomito del braccio di trazione si trova all’altezza dei fianchi e il braccio di spinta ha completato la distensione. L’estrazione parte dalla mano, che si solleva quasi fino ad arrivare all’altezza del viso, mentre spalla e gomito assecondano il movimento. Anche in questa fase è importante essere decontratti: un movimento eseguito correttamente dà la sensazione che la pala sgusci fuori dall’acqua senza creare alcun attrito.

Al termine dell’estrazione ci si trova nuovamente in fase di preparazione, pronti ad eseguire il colpo dall’altro lato del kayak: nel ciclo della pagaiata, la fine di un colpo coincide con l’inizio di quello successivo.


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giovedì 23 luglio 2009

FESTA DEL GEMELLAGGIO - VERCURAGO SABATO 25 LUGLIO

SABATO 25 LUGLIO, dalle ore 16.00, presso il lungolago di VERCURAGO, di fronte alla sede del CK90, verrà organizzata la prima giornata del gemellaggio per consolidare l'amicizia tra varie associazioni: CK90 - Vercurago, 2RUOTE1SELLA - Lecco, CLUB FOTOGRAFICO LIBERO PENSIERO - Lecco, VESPA CLUB Lecco, PROLOCO di Lierna. Lo scopo è quello di farsi conoscere e migliorare l'offerta ai propi soci.
Durante la giornata ogni Club proporrà ai visitatori le proprie iniziative, con tutta calma, al fresco in riva al lago, provando, per chi lo vuole, un kayak o una canoa, oppure chiedendo la miglior tecnica per fare foto sempre migliori, etc... (possibilità di cenare in loco) musica e allegria, grazie anche alla collaborazione degli amici del Bar PREGIO, e proiezione di filmati fotografici alla sera.
VI ASPETTIAMO!!
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LA PAGAIATA IN AVANTI - TERZA FASE: LA POTENZA

Dopo aver trovato la presa della pala in acqua, si deve applicare potenza per far avanzare il kayak. In questa fase l’energia accumulata con la torsione del busto si scarica sul kayak. Alla potenza del tronco, che come abbiamo visto è il vero motore del movimento, si associa la forza di trazione e di spinta della braccia.

Nella fase di preparazione abbiamo accumulato l’energia necessaria per effettuare il colpo; con la presa abbiamo trovato il punto fisso al quale ancorare la pagaia; ora viene liberata l’energia per far avanzare il kayak. Contemporaneamente alla pressione della gamba in avanti, il busto va in torsione, le braccia eseguono la loro funzione di trazione e spinta, e l’energia si ritrasmette sul puntapiedi per far avanzare il kayak. Come ogni colpo delle tecnica, anche nella pagaiata in avanti il movimento inizia e si conclude sul piede. La trazione del braccio di lavoro termina quando il gomito arriva all’altezza del busto, mentre la spinta dell’altro braccio si sviluppa in linea retta in avanti, seguendo la diagonale di movimento della spalla, fino alla completa distensione dell’arto all’altezza del piede opposto.

Per anni si è pensato che la spinta del braccio non dovesse superare la linea mediana del kayak; oggi si è appurato, invece, che il movimento in diagonale permette la migliore trasmissione di energia.


La trazione del braccio di lavoro si conclude quando il gomito arriva all’altezza dei fianchi. Il braccio, quindi, rimane sostanzialmente teso per tutta la durata del colpo, e solo nella fase finale si flette leggermente. Ciò accade perché l’azione muscolare della pagaiata in avanti è soprattutto a carico del busto.

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lunedì 20 luglio 2009

LA PAGAIATA IN AVANTI - SECONDA FASE: LA PRESA



In questa fase il kayaker fa entrare la pala in acqua posizionandola con la giusta angolazione (con la pagaia groenlandese l’entrata in acqua avviene con la parte alta della pala inclinata all’incirca di 40° in avanti verso la prua). Una presa solida della pagaia crea un punto di forza fisso, che permette al kayak di spostarsi in avanti sfruttando l’attrito della pala con l’acqua. Solo una buona presa permette che sia il kayak spostarsi verso la pagaia e non viceversa.

Dalla posizione di preparazione, il braccio destro si sposta verso il basso per andare a cercare l’acqua con la pala, mentre il sinistro accompagna il movimento. La velocità e l’angolo di entrata della pala in acqua cambiano in relazione alla forma della pala stessa e alla durezza dell’acqua che a sua volta è determinata dalla velocità relativa dello scafo e dall’eventuale presenza di una corrente o di un moto ondoso.

L’abilità del kayaker consiste nel modificare i parametri a seconda delle situazioni: in linea di principio, più l’acqua è dura, più tempo sarà necessario per ottenere una presa efficace. Per capire se la presa è corretta, è sufficiente osservare la pala: entrando in acqua non deve sollevare spruzzi. Il movimento va effettuato senza applicare forza, per questo è indispensabile essere decontratti. Prima di passare alla fase successiva (la potenza) è fondamentale che tutta la superficie della pala sia immersa in acqua.


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giovedì 16 luglio 2009

LA PAGAIATA IN AVANTI - PRIMA FASE: LA PREPARAZIONE


E’ la fase che predispone ad una corretta pagaiata in avanti. Per semplificare la visualizzazione del movimento, consideriamo un ipotetico colpo a destra. Durante la preparazione tutto il lato di lavoro del corpo avanza: la gamba flette, il bacino, il busto e le spalle ruotano, il braccio destro si distende per portare la pala il più avanti possibile, mentre il braccio sinistro si trova con il gomito più in basso rispetto alla spalla. Questa torsione del tronco permette di caricare i potenti muscoli dell’addome e della schiena, che rilasceranno l’energia accumulata durante la successiva fase di potenza. Per riprendere la similitudine già citata, in questa fase l’azione del corpo è paragonabile a quella di una molla nel momento in cui si carica, per poi liberarsi subito dopo. Per evitare di disperdere parte dell’energia, durante tale rotazione bisogna cercare di mantenere lo scafo piatto rispetto al piano dell’acqua.


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venerdì 10 luglio 2009

LA PAGAIATA IN AVANTI

Eppiluk
La pagaiata in avanti è il colpo di propulsione che permette al kayak di avanzare e costituisce, per molti aspetti, la base della tecnica. Interiorizzare completamente tale colpo richiede esercizio e costanza, e il perfezionamento interessa tutti i kayakers, anche quelli più esperti. Per i principianti è importante perfezionare ogni singola fase della pagaiata in avanti, eseguendo il movimento anche a secco e molto lentamente. Una volta presa confidenza con le varie fasi del colpo, si potrà gradualmente aumentare la velocità, fino ad ottenere un movimento continuo e armonico.
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Per rendere più semplice e comprensibile il gesto della pagaiata, suddivideremo la manovra in quattro fasi, anche se in realtà il gesto tecnico è fluido e si sussegue senza interruzioni: PREPARAZIONE, PRESA, POTENZA, ESTRAZIONE, e non ci limiteremo a spiegare tutto in un solo post ma ogni singolo post (il primo verrà pubblicato il 16/07/09) riguarderà specificatamente ogni fase della pagaiata in avanti. Le foto qui di seguito raffigurano la manovra completa della pagaiata in avanti eseguita con la pagaia tradizionale groenlandese e con la pagaia moderna sfalzata.
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pagaita in avanti eseguita da Nerrajaq
pagaita in avanti eseguita Nerrajaq

pagaita in avanti eseguita da Kayatrek
pagaita in avanti eseguita da Kayatrek
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mercoledì 8 luglio 2009

LIBRI - LA FIGLIA DELL'ESPLORATORE


All'inizio degli anni Settanta, l'esploratore polare britannico Sir Wally Herbert e sua moglie Marie si trasferirono con la piccola figlia Kari nelle vaste distese innevate dell'Alto Artico con lo scopo di vivere per due anni a contatto con una delle ultime tribù di cacciatori Inuit. La prima lingua imparata dalla bambina fu l'Inuktun, il dialetto groenlandese di Thule, e i suoi piccoli amici erano i figli dei cacciatori locali. Nel 2002, ormai cresciuta, Kari herbert decide di ritornare nell'Artico da sola. Qui riscopre un mondo straordinario in cui la vita è scandita dalla luce e dal buio e dove i ricordi e la nuova realtà vivono un'esistenza parallela. "La figlia dell'esploratore" è un documento importante per entrare nella quotidianità della vita del popolo Inuit, conoscerne le tradizioni, la cultura e la storia. Uno spaccato della Groenlandia di ieri e di oggi. Kari Herbert nata nel 1970, è scrittrice di viaggi, giornalista e fotografa. Collabora con diversi quotidiani e riviste britanniche, tra cui il Sunday Times, The Observer e The Indipendent.
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Autore: Kari Herbert
Editore: Fbe
Anno: 2007
Pagine: 352
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lunedì 6 luglio 2009

IL FALCO DI PALUDE, IL PREDATORE DEL CANNETO



Mentre pagaiamo sulle acque pulite dell’Adda emissario, nei pressi della bellissima palude di Brivio, il Falco di palude si annuncia da lontano, una sagoma scura nel cielo si staglia in lontananza, in volo, con le ali a “V”. Poi sparisce nel canneto, per riposarsi a terra o per tornare al nido, nascosto, al sicuro, nella vegetazione palustre. E’ la più grande delle albanelle. Appartiene all’ordine Accipitriformes, famiglia Accipitride e il suo nome scientifico è Circus aeruginosus.

Sessi differenziati: maschio tricolore con dorso e copritrici marrone scuro, coda e remiganti grigie, punta delle ali nera. Parti inferiori marroni (quasi arancioni) con sottoala grigio chiaro e punta delle remiganti nera. Femmina interamente marrone con capo, gola e margine anteriore dell’ala color crema. In volo è riconoscibile per la silhouette con ali sollevate, tenute a “V” sia in volteggio che in scivolata.

Rapace tipico di pianura, frequenta in periodo riproduttivo esclusivamente zone umide, sia d’acqua dolce che salmastre. Il nido è costruito sul terreno tra le vegetazione acquatica emergente. In inverno lo si può trovare in altri ambienti aperti. Caccia piombando al suolo da pochi metri con gli artigli protesi e ali rilevate sul dorso, al termine di perlustrazioni del terreno condotte a velocità costante. La dieta è costituita prevalentemente da piccoli mammiferi e pulcini di uccelli acquatici. Buon volatore, è meno attivo delle altre albanelle e spesso riposa a terra o su bassi posatoi.


In Lombardia nidificano probabilmente una quindicina di coppie, soprattutto nelle valli del Mincio. In inverno è presente qualche decina di individui, tra laghi morenici della Brianza, Pian di Spagna e bassa Val Chiavenna, bassa pianura irrigua. Una curiosità: come le altre albanelle, anche il Falco di palude ha un disco facciale che gli consente, funzionando come una vera e propria parabola, di convogliare alle aperture auricolari i rumori delle prede.

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giovedì 2 luglio 2009

LE FOCHE: IL POPOLO DELA BANCHISA

Mammifero marino per eccellenza, la foca appartiene alla famiglia dei Pinnipedi e sembra fatta apposta per nuotare. La sua coda a forma di pagaia le consente di filare a tutta velocità sott’acqua. Le orecchie si riducono a un foro che impedisce l’entrata dell’acqua, gli occhi sono adattati alla visione sottomarina, le narici si richiudono grazie ad apposite valvole. Così equipaggiata la foca può restare in immersione da 45 minuti a 2 ore e ingozzarsi di pesci, gamberetti e granchi, per poi risalire a respirare in superficie approfittando di un buco della banchisa… col rischio di farsi divorare da un orso bianco in agguato o da un Inuit! Le foche vengono cacciate dagli Inuit per la loro carne, per la pelliccia per i vestiti e per il rivestimento del kayak, per l’olio utilizzato per l’illuminazione all’interno dell’igloo.

Nelle regioni del Grande Nord vivono sei diverse specie di foche, ciascuna con le proprie abitudini. La foca della Groenlandia (4,8 milioni di esemplari) compie una migrazione annua di 3.200 km tra l’Oceano Artico, che è la sua meta di villeggiatura estiva, e l’Atlantico, dove si acquartiera per l’inverno. A marzo e ad aprile le specie comuni della foca barbata, della foca degli anelli e della foca del cappuccio danno alla luce i loro piccoli sul ghiaccio: nascerà un solo cucciolo per femmina, dal caratteristico manto bianco. L’allattamento dura da qualche giorno ad un mese.


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