"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 28 settembre 2009

LA RONDINE MONTANA, LA RONDINELLA DELL’INVERNO

La possiamo incontrare durante le nostre pagaiate invernali, infatti è l’unica rondine che rimane a svernare sulle pareti montuose che circondano i grandi laghi della Lombardia. Appartiene all’ordine Passeriformes, famiglia Hirundinidae, uccelli di piccola taglia simili alle rondini, che vivono in gruppi e spesso convivono con l’uomo. Il suo nome scientifico è Ptyonoprogne rupestris.

Passeriforme di dimensioni intermedie (lunghezza 14,5 cm.). Ha un aspetto molto simile al Topino, da cui si distingue per la struttura più massiccia e l’assenza della banda pettorale; le parti inferiori sono infatti di un colore bianco “sporco” uniforme, tranne la gola macchiettata. La coda, piuttosto tozza, presenta macchioline bianche vicino alla punta, evidenti soprattutto a breve distanza quando questa è spiegata. Il volo è veloce e volteggiato, come nelle specie affini, ma spesso la si può osservare quasi ferma a mezz’aria, mentre fa lo “spirito santo”.


Come rileva il suo nome comune predilige rupi, gole e contrafforti, ma, in mancanza di siti naturali idonei, si adatta bene anche a nidificare in edifici in muratura e persino in legno, purché ben soleggiati. Occupa anche viadotti, gallerie stradali, ponti e cave. Costruisce con il fango un nido tipico, a mezza coppa. Ad eccezione della stagione riproduttiva è una specie gregaria, che però non forma colonie molto numerose. Come tutte le altre rondini, è insettivora e caccia in volo.



In Europa nidifica esclusivamente nelle regioni mediterranee, tanto che l’arco alpino delimita a nord l’areale della specie. In Italia sono presenti anche popolazioni svernanti, cosa unico tra le rondini europee. In Lombardia nidifica nelle fasce prealpine, alpine e appenniniche, ma attenzione anche ai ponti che attraversano l’Adda o il Serio quando entrano nella pianura. Il contingente svernante, che probabilmente non supera il centinaio di invidiai, è localizzato nelle zone dei laghi di Como, d’Iseo e di Garda. Questo è il migliore indizio che c’è un buon clima, qui, per svernare con tranquillità.


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giovedì 24 settembre 2009

RIPARARSI DAL FREDDO

Indossare pellicce rimane il modo migliore per ripararsi dal freddo estremo che imperversa nel Grande Nord. Le pelle di animali, oltre ad essere calde, sono anche resistenti e impermeabili. Gli abitanti delle regioni artiche, hanno imparato già molto tempo fa a trattarle, prima di tagliarle e cucirle. Questo lavoro è tuttora compito delle donne.



Ogni popolo ha le sue tradizioni. Gli Inuit indossano spesso giacche e giacconi in pelle di foca, piuttosto morbide, con le quali confezionano anche muffole e stivali ma anche il rivestimento del kayak! I Dolgani, invece, così come i Sami, utilizzano piuttosto pelli di renne, dato che questi animali sono numerosi nella tundra. Tutti, però, dedicano una particolare cura all’abbigliamento e spesso aggiungono ricami, ciondoli di legno o metallo, oppure perle. Un tempo se li procuravano barattandoli in cambio di pellicce con i rari mercanti stranieri che si avventuravano in queste regioni ostili. Ai nostri giorni i Dolgani, per esempio, li acquistano a Khatanga, la capitale della provincia russa di Taymyr. Ma il massimo della raffinatezza è indossare pellicce bianche, anche perché si supponeva che questo colore allontanasse gli spiriti maligni. La folta coda delle volpi dell’Artico era particolarmente ricercata.


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lunedì 21 settembre 2009

L’EUTROFIZZAZIONE E I PESCI DEL LARIO – PARTE 2

Alborelle
Il ridimensionamento subito dai ciprinidi in questi ultimi anni deve essere valutato positivamente, come un chiaro segnale del miglioramento della qualità delle acque. C’è però un caso che desta più di una preoccupazione: il notevolissimo calo subito dalla popolazione di alborelle. Dei grandi branchi, che stazionavano fino a poco tempo fa in prossimità dei centri abitati, è rimasta solo qualche debole traccia. Il fenomeno, almeno in parte, si inserisce all’interno del generale declino subito dai ciprinidi ed è infatti comune a un altro lago che, in anticipo rispetto al Lario, ha recentemente subito un forte calo di trofia: il Lago Maggiore. Non si può escludere però che siano intervenuti anche fattori negativi verificatisi durante il periodo riproduttivo (ad esempio l’abbassamento del livello del lago e la conseguente messa in asciutta delle uova). In tal caso è necessario intervenire adeguatamente a sostegno della specie, perché l’Alborella rappresenta un perno fondamentale dell’ecosistema lacustre, essendo un punto di collegamento tra lo zooplancton e le specie ittiofaghe come il Persico reale, il Luccio e il Cavedano, la cui abbondanza è in stretta relazione con quella delle loro prede abituali.

Uova di alborella deposte sui ciottoli

Tra gli effetti collaterali che il processo di eutrofizzazione ha esercitato sulla fauna ittica del Lario, vale la pena di ricordare quello molto particolare riguardante le aree di riproduzione. Va premesso che il Lavarello e alcuni ciprinidi (Alborella e Cavedano in particolare) depongono a poca profondità uova adesive che si “impiantano” sulla ghiaia e sui ciottoli puliti, non ricoperti cioè da melma o altro materiale viscido. E’ noto che l’eutrofizzazione favorisce lo sviluppo degli organismi vegetali di un lago attraverso l’aumento della concentrazione di nutrienti, in particolare del fosforo. Questo fenomeno riguarda anche la copertura cosiddetta “perifitica”, cioè quello strato “melmoso” che ricopre i sassi della zona litorale e che li rende inidonei all’accoglimento delle uova. I lavarelli, le alborelle e i cavedani, nei periodi precedenti la riproduzione faticano quindi a trovare gli ambienti adatti per la deposizione delle uova e accolgono come manna dal cielo le eventuali piogge che innalzano il livello del lago e causano l’immersione di zone litorali precedentemente in asciutta, dove i ciottoli sono totalmente privi di copertura vegetale. Depongono quindi in massa nella fascia (generalmente molto esigua) di recente immersione. Tale fascia è però estremamente vulnerabile alle oscillazioni del lago, che la possono rapidamente riportare in asciutta, causano l’essicamento di tutte le uova presenti. Alcune marcate oscillazioni dell’abbondanza di lavarelli e delle alborelle del Lario possono, con ragionevole approssimazione, essere ricondotte a episodi di questo tipo, sui quali ha un incidenza determinante la regolazione artificiale delle acque a opera del Consorzio dell’Adda tramite la diga di Olginate (Lago di Garlate).

Diga di Olginate .

giovedì 17 settembre 2009

L’EUTROFIZZAZIONE E I PESCI DEL LARIO – PARTE 1

La storia recente delle acque del Lario è dominata dalla comparsa del fenomeno dell’eutrofizzazione, dalla sua rapida esplosione e dal suo successivo ridimensionamento a opera degli interventi depurativi adottati. Le notevoli modificazioni della qualità dell’acqua hanno ovviamente avuto pesanti ricadute sulla composizione e la struttura della fauna ittica presente nel lago.


Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso lo scadimento della qualità dell’acqua determinò un consistente aumento delle specie appartenenti alla famiglia dei ciprinidi, più resistenti, e il parallelo decremento dei salmonidi, famiglia a cui appartengono le specie ittiche più esigenti in termini di qualità ambientale, come il Lavarello, la Trota e il Salmerino alpino. Il popolamento ittico del Lario ha pertanto ripercorso la classica evoluzione degli ambienti eutrofizzati, cioè l’aumento delle specie più resistenti ai bassi valori di ossigeno e in grado meglio di utilizzare le maggiori disponibilità alimentari. Risale a quel periodo la notevole diminuzione del Lavarello, che ha portato all’introduzione di un secondo Coregone dotato di una maggiore resistenza ambientale, la Bondella. Sempre in quegli anni si verificò una crescita consistente delle popolazioni di Pigo e di Scardola che ampliarono il proprio habitat elettivo, il litorale, spingendosi ben all’interno della zona pelagica.
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A partire dagli anni ’80 il graduale miglioramento delle condizioni ambientali ha fortunatamente determinato un graduale recupero delle specie più pregiate ed esigenti, compensato da una contrazione della popolazione dei ciprinidi. Attualmente i coregoni rappresentano la principale risorsa della pesca professionale, costituendo circa il 70% del pescato totale. La Bondella prevale ancora nettamente sul Lavarello, che rappresenta solo il 30% della popolazione di coregoni, ma, proseguendo il processo di risanamento del Lario, è lecito attendersi una prossima inversione dei rapporti di forza tra le due specie. Le caratteristiche di maggiore resistenza ambientale della Bondella sono confermate dalla situazione in atto nel ramo di Como, dove, in virtù della cattiva qualità delle acque, il Lavarello è praticamente assente mentre la Bondella vi viene abbondantemente catturata. In analogia con l’evoluzione dei coregoni, anche la popolazione di trote dopo un lungo periodo di crisi profonda, dà confortanti segnali di ripresa. Non si tratta più di un popolamento “naturale”, ma del frutto di immissioni di novellame che vengono periodicamente effettuate; ciò nonostante il crescente successo della specie è senza dubbio da consideransi un segnale positivo circa la qualità raggiunta dalle acque del lago. Resta invece tuttora critica la situazione del Salmerino alpino, le cui catture mostrano soltanto negli ultimissimi anni qualche timido accenno di ripresa. E’ presumibile che, non sorretto da specifici ripopolamenti, il Salmerino presenti un recupero piuttosto lento a causa della limitata fecondità della specie e la competizione alimentare esercitata nei suoi confronti dalla Bondella. Così dopo aver raggiunto nel dopoguerra densità accettabili, rappresentando una componente minoritaria ma non trascurabile del pescato professionale, la sua cattura può oggi essere ritenuta quasi occasionale.

Bondella
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lunedì 14 settembre 2009

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA PAGAIATA IN AVANTI





Rollio del kayak
E’ un movimento parassita, e come tale determina uno spreco di energia. Consiste nell’oscillazione a destra e a sinistra della prua dello scafo, e si verifica quando la trazione del braccio di lavoro è troppo lunga (termina cioè oltre il bacino), oppure in caso di pagaiate non simmetriche e sbilanciate.






Beccheggio del kayak
Consiste nell’oscillazione in alto e in basso della prua del kayak; è anche questo un movimento parassita che riduce l’efficacia della pagaiata, ed è determinata dalla flessione in avanti e dell’estensione indietro del busto durante la pagaiata.




Cambio lato
Il ritmo della pagaiata è dato dal passaggio fra un colpo e l’altro. Non esiste un ritmo prestabilito, tutto dipende dalla velocità dello scafo e dall’intensità di vento e onde. Per mantenere una velocità costante è importante effettuare ogni colpo prima che il kayak cominci a rallentare. Con l’esperienza si acquisisce la sensibilità necessaria per ascoltare il movimento dello scafo ed effettuare il colpo con il giusto tempo, ottenendo in questo modo un avanzamento regolare.



Tirare o spingere.
Per pagaiare in modo corretto è indispensabile che le azioni di trazione e spinta delle braccia siano bilanciate. Capita spesso che i kayakers diano un’eccessiva importanza alla fase di trazione. Per ottenere il massimo dell’efficacia, invece, è utile concentrarsi sulla spinta, considerando che la trazione è di per sé un movimento spontaneo.




Pagaiata alta o bassa
Si definisce pagaiata alta quella in cui il tubo è in posizione quasi verticale e la pala lavora vicino al kayak. Utilizzare questa modalità permette allo scafo di avanzare più velocemente. La pagaiata bassa, invece, è quella in cui il tubo è quasi orizzontale rispetto al piano dell’acqua e l’azione della pala avviene lontano dal fianco del kayak. Questo tipo di colpo garantisce un buon equilibrio in presenza di onde, minor fatica nelle lunghe escursioni, limitato “effetto vela” del vento sulla pala.
Un buon kayaker deve essere in grado di utilizzare la pagaia nel maggior numero di modi possibile, per poter affrontare qualsiasi situazione.



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giovedì 10 settembre 2009

LIBRI - GUIDO MONZINO





Nella nostra vita si possono raggiungere le vette più alte, sempre che ciascuno intenda dare, veramente, il meglio di se stesso" sono le parole di Guido Monzino stesso, un personaggio straordinario che ha fatto della sua vita una sfida costante alla mediocrità e al conformismo della consuetudine... Con quest'opera l'autrice Rita Aymone Cat rifugge dal cercare di fare un'opera enciclopedica e ponderosa sulle avventure delle 21 spedizioni di Guido Monzino, ma con onesta modestia si limita a tracciarne appena le linee, riuscendo peró a mostrarne tutte le caratteristiche essenziali. Guido Monzino incarna lo spirito dei personaggi del a cavallo tra il XIX e il XX secolo, che animati dallo spirito di avventura hanno percorso ogni angolo della terra per portarne la conoscenza a tutta l'umanità. In lui lo spirito della conquista alpina di Whymper e quella dei grandi esploratori polari come Scott e Amundsen, peró alcuni decenni dopo e senza piú tante luci della ribalta. "Gradatim conscenditur ad alta..." "poco a poco si conquistano le altezze" questo era il motto di Guido Monzino, la cui vita é stata una continua ascesa verso verso i supremi valori dell'esistenza umana. Monzino inizió a ventisette anni la sua prima impresa, nel 1955 in Africa Occidentale l'attraversamento Senegal-Guinea-Costa D'Avorio, per circa quindici anni ha portato a sventolare il tricolore italiano in ogni luogo piú sperduto e famoso della terra, conquiste ardue, in terre affascinanti, dalla natura spesso assai forte e ostile. Molti si sono domandati il perché di tali imprese, quale molla scattasse al suo interno, ma lui rispondeva cosÌ a chi lo intervistava: "Ho ricercato una spiegazione obiettiva per questa misteriosa posizione d'incanto, senza mai approdare a nulla, soffrendone il fascino ... L'ideatore, l'organizzatore, il capo della spedizione... identificarvisi é tanto, tanto pesante ...Forse pochi sanno qual é l'angoscia dell'inventore." Legato da un amore profondo per la Valle d'Aosta, ha percorso le Grandes Murailles, la sua prima grande impresa alpinistica, poi le Ande Patagoniche, col Cerro Paine, il Kanjut Sar nel Karakorum, l'Africa centrale col Kilimanjaro, il Mount Kenya, il Ruwenzori, quella Sahariana con l'Hoggar e il Tibesti, poi le lunghe spedizioni in Groenlandia con le slitte degli Inuit, la spedizione triennale italiana al Polo Nord e infine 5 Maggio 1973 la prima conquista italiana del tetto del mondo, l'Everest. Il libro presenta in modo sintetico tutte e 21 le spedizioni, riportandone in modo completo i partecipanti e le carte con i tracciati seguiti; in appendice vi sono le riproduzioni di molti documenti autografi e il diario di posizione della spedizione al Polo Nord.
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Una curiosità su Guido Monzino, che riguarda proprio il mondo del kayak. La Regatalonga del Lario a Lezzeno, regata internazionale non agonistica, aperta a tutte le imbarcazioni remiere, ai partecipanti dalla provenienza più eterogenea e di ogni età, fu ideata, poi sostenuta economicamente, da Guido Monzino. L'idea, unica al mondo nel suo genere, venne in seguito copiata da Venezia con la Vogalonga conosciuta universalmente. L'esploratore soggiornò diversi anni sul Lario e ora il museo che ricorda le sue imprese è a Villa Balbianello sul promontorio del Lavedo a Lenno, ora di proprietà del Fondo per l'Ambiente Italiano.

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Titolo: Guido Monzino - L'ultimo Signore di Balbianello e le sue ventuno spedizioni.
Autore: Ajmone Cat Rita
Editore: Alberti

Pubblicazione: 2003

Numero di pagine: 312

Prezzo: € 20,00

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lunedì 7 settembre 2009

IL FALCO PELLEGRINO, IL RAPACE CON I BAFFI



Lo possiamo vedere in volo quando pagaiamo vicino alle scoscese falesie del Lario. Appartiene all’ordine Falconiformes, famiglia Falconidae. Il suo nome scientifico è Falco peregrinus. Ha una caratteristica silhouette compatta con coda ed ali larghe alla base e sottili e appuntite verso le estremità. Ha ali, coda e dorso grigio-blu; il sottogola è bianco candido con sottili striature verticali scure. Il petto, bianco anch’esso, ha barrature orizzontali. Sul capo ha un tipico cappuccio grigio-blu scuro che scende a formare due caratteristici “mustacchi”. La femmina è ben distinguibile dal maschio perché più grande e massiccia. In volteggio ha una tipica forma ad ancora; il volo battuto è caratterizzato da potenti colpi d’ala intervallati da rapide scivolate.




Nidifica in diversi ambienti purché in presenza di adeguata disponibilità alimentare e pareti dominanti il territorio circostante. Lo si può trovare in montagna fino a 1500 m, sulle coste o all’interno e persino in grandi città dove sfrutta i grattacieli come pareti artificiali. Si nutre principalmente di uccelli di media taglia che cattura in volo con spettacolari picchiati ad ali chiuse durante le quali può raggiungere i 300 km orari. In Italia è distribuito in modo frammentario sulle Alpi e lungo la catena appenninica, in maniera più continua sulle isole e lungo le coste rocciose. Una curiosità: durante il corteggiamento si esibisce in spericolate e spettacolari acrobazie che comprendono voli in cerchio, a festoni e a “8“.
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giovedì 3 settembre 2009

IL LAVORIO DEI VENTI ARTICI



Il paradosso del Grande Nord è che in queste regioni, anche quando il cielo è perfettamente azzurro, può alzarsi all’improvviso il vento e il tempo può guastarsi in un istante. Fra i venti dell’Artico, il più famoso è il blizzard, che soffia impetuoso e solleva tormente di neve. Queste tempeste ostacolano la visibilità e nascondono punti di riferimento, tanto che a volte non si riesce nemmeno a distinguere la punta delle proprie scarpe!




Talvolta si scatenano anche i cosiddetti venti “catabatici” che si raffreddano scivolando lungo i ghiacciai e aumentano di velocità a contatto con il freddo. Sono davvero temibili, perché riescono addirittura a sollevare le case. I venti più violenti dell’emisfero Nord, con punte di 300 km/h, soffiano in Groenlandia, nella regione di Ammassalik, nella parte orientale dell’isola.


La potenza del vento accentua la sensazione di freddo. Gli scienziati hanno redatto una tabella di valutazione di questo “fattore vento” (in inglese windchill). L’intensità del freddo viene misurata in funzione della temperatura dell’aria e della velocità del vento. Ad esempio, se il blizzard soffia a 64 km/h quando la temperatura è di –20°C, la sensazione di freddo avvertita sul viso sarà identica a quella provata ad una temperatura di –49°C. Il vento, con il suo continuo lavorio, scolpisce magicamente i ghiacci creando forme insolite e meravigliose.


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