"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 29 giugno 2009

IL GHIACCIAIO DELL’ADDA, GRANDE OPERAIO NATURALE


Una delle costanti del “Sentiero del Viandante” (da Abbadia Lariana a Colico), data la sua altezza media di 300-400 metri (pari a 100-200 sul livello del lago), è l’osservazione delle forme di erosione e di modellamento prodotte dal ghiacciaio dell’Adda durante la sua discesa verso la Pianura Padana in un freddissimo periodo compreso fra 20 e 15 mila anni fa. La coltre di ghiaccio raggiungeva quasi 2 chilometri di spessore e da essa emergevano solo le vette più elevate. Un ghiacciaio è lento, ma infaticabile lavoratore; con la sua massa e con la sua azione è in grado di erodere e fratturare le rocce più dure, di trasportarle con sé, di ammassarle alla fine della sua corsa formando altre colline o di abbandonarle strada facendo. I massi erratici, o trovanti, che numerosi si incontrano sulle montagne lariane sono appunto enormi massi trascinati dal ghiaccio e provenienti dalle più alte e lontane vette alpine e qui abbandonati. Ma un ghiacciaio scolpisce anche le valli, le allarga, le approfondisce e le appiattisce. A seconda delle sue fasi di avanzamento o di regressione, dovute alle oscillazioni del clima, forma dei gradini naturali sui fianchi delle valli, a varie altezze, chiamati terrazzi morenici, dove spesso si sono poi radunati, sotto il beneficio di una migliore insolazione e di moderate pendenze, i primi insediamenti umani.



Il Lario copre il fondo di una valle glaciale. Con un po’ di immaginazione possiamo pensarla ricoperta di una spessa coltre di ghiaccio, fino a un’altezza di circa 1500 metri. A questa quota diverse lingue di ghiaccio superavano le soglie più basse sconfinando verso i territori limitrofi come la conca del futuro lago di Lugano, la Val d’Intelvi, la Valsassina. La colata più grande defluiva verso l’attuale ramo comasco del Lario. Il ramo lecchese si formò mediante il superamento di un’altra soglia che venne erosa e abbassata al punto che, scioltisi i ghiacci, una nuova valle fu occupata dalle acque del lago che trovarono una così più agevole via d’uscita verso la pianura.



Se, dunque, al di sopra di una certa altezza svettano con tutta la loro energia le rocce calcaree (Grigne) e cristalline (Legnone) dell’edificio alpino, lungo le pendici che cingono queste montagne si manifestano le varie forme del glacialismo: dalle coltri di deposito morenico che hanno reso fertili i suoli, al caratteristico sbocco sospeso di molte valli laterali le cui lingue glaciali non avevano la stessa potenza di escavazione di quella principale. In questi casi il corso d’acqua tributario al lago defluisce o con suggestive cascate (talvolta anche con corsi sotterranei come nel caso del Fiumelatte presso Varenna) o, nel caso che le rocce siano più erodibili, con tetri orridi, come a Bellano, Nesso, Osteno. L’erosione fluviale è infatti un altro connotato di queste terre, iniziata dopo lo scioglimento dei ghiacci e tuttora in azione. I larghi apparati deltizi che si protendono nel lago, rendendone più sinuose le sponde a Dervio, a Mandello del Lario, a Abbadia Lariana dipendono dal continuo apporto di materiali alluvionali dei torrenti.


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