"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 9 aprile 2009

IL POPOLAMENTO ITTICO ATTUALE DEL LARIO

Il ramo lecchese del Lario visto dal monte Moregallo
La morfologia della cuvetta lacustre del Lario, con le ripide sponde subito degradanti verso grandi profondità, determina una grande estensione della zona pelagica a discapito di una zona litorale molto ridotta e circoscritta.

Lavarello

Ne consegue che il popolamento ittico è in gran parte costituito dalla specie pelagiche, quali i coregoni – presenti con le due specie Lavarello (Coregonus spp.) e Bondella (Coregonus macrophtalmus), l’Agone (Alosa fallax lacustris) e l’Alborella (Alburnus alburnus alborella). Con l’eccezione dell’Alborella, che si spinge nella zona litorale anche per motivi alimentari, queste specie trascorrono gran parte della loro esistenza in “mezzo al lago”, cibandosi di zooplancton, e dalle rive la loro pur abbondate presenza è avvertibile solo durante il periodo riproduttivo, quando gli esemplari maturi si portano sui bassi fondali per la deposizione delle uova. La Bondella, che anche per la riproduzione ha scelto i fondali profondi fino a 50 metri, è visibile da terra solo grazie alle quotidiane e copiose catture a opera dei pescatori di professione.

Tinca

Le specie ittiche più legate all’ambiente litorale, estremamente ridotto, raggiungono localmente densità molto elevate ma, nell’insieme, costituiscono una componente largamente minoritaria dell’ittifauna lacustre. Molte delle specie caratteristiche della zona litorale del Lario, appartengono alla famiglia dei ciprinidi, come il Triotto (Rutilus rubilio), il Cavedano (Leuciscus cephalus cabeda), il Pigo (Rutilus pigus), la Scardola (Scardinius eritrophtalmus) e la Tinca (Tinca tinca).

Triotto

Tra i predatori locali, spicca per importanza il Pesce persico (Perca fluviatilis), mentre il Luccio (Esox lucius) non raggiunge popolazioni consistenti a causa dell’habitat poco congeniale alle sue esigenze. E’ soprattutto la scarsità di vegetazione acquatica sommersa (unitamente alla ripidità delle sponde) a rendere occasionale la presenza del Luccio nel Lario. Le piante acquatiche costituiscono infatti il substrato naturale per la deposizione delle uova e l’ideale territorio di caccia del Luccio, che non a caso raggiunge densità decisamente più elevate nell’estrema porzione settentrionale del Lago, nel canale della Mera e nel lago di Garlate, dove sono tuttora presenti vaste aree di canneto.

Luccio

L’attuale popolamento ittico del Lario è rappresentato dalle 23 specie riportate nella Tabella riportata qua sotto. Non sono comprese in elenco alcune specie che possono essere saltuariamente rinvenute nel lago ma che non possono essere considerate come rappresentative della fauna ittica lariana. Tra esse ricordiamo il Temolo (Thymallus thymallus) che talvolta abbandona le acque correnti dell’Adda immissario, in cui è abbondantemente presente, e si avventura nel lago, per poi risalire il tratto terminale dell’acque fredde e ossigenate.

Pesce gatto

Provenienti da qualche scriteriata immissione, il Carassio (Carassius Carassius) e il Pesce gatto (Ictalorus melas) hanno fatto recentemente la loro comparsa nelle zone litorali del Lario. La loro presenza, trattandosi di specie infestanti e di pregio pressoché nullo, è fortunatamente ancora molto rara. Con ancora minore frequenza è possibile avvistare qualche raro esemplare di Persico trota (Micropterus salmoides), pesce predatore tipico dei bassi fondali ricchi di vegetazione e pertanto non molto attratto dalle ripide sponde del Lario.

Trota fario

D’estate il Lario è diviso in due zone: uno strato caldo e superficiale (epilimnio, da 0 a 15 metri) ed uno strato freddo e profondo (ipolimnio, da 20 metri al fondo) separati da un sottile strato (metlimnio, da 15 a 20 metri) caratterizzato da un brusco salto di temperatura. In questa stagione i pesci che non sopportano temperature elevate (trote e coregoni) sono costretti a trovare rifugio nell’ipolimnio.


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