Oggi, anche perché sono finalmente stati applicati alcuni criteri di razionalizzazione della pesca (soprattutto a tutela degli esemplari in età pre-riproduttiva) la situazione è sicuramente migliore e le principali specie ittiche (Coregone, Agone) godono di buona salute. E’, per la verità, anche profondamente mutata la “funzione” della pesca nella società. Da attività legata prima di tutto allo sfruttamento commerciale e alimentare della risorsa-pesce, la pesca tende sempre di più a trasformarsi in una pratica “sportiva”, finalizzata esclusivamente all’occupazione del tempo libero. Per fare un esempio, nel 1994 i possessori di licenza di pesca di categoria A, quella cha abilita all’esercizio della pesca professionale nel Lario con le reti, erano 73, mentre solo cinque anni prima il loro numero superava le cento unità, e agli inizi del secolo scorso, raggiungeva le trecento.
Viceversa, nelle province lariane (Lecco e Como) sono oggi presenti più di ventimila pescatori “sportivi”, che esercitano la pesca non per fini di lucro, ma per semplice diletto. Se il “boom” della pesca sportiva è facilmente spiegabile all’interno dei grandi cambiamenti sociali verificatesi negli ultimi decenni (sempre maggiori risorse vengono destinate al riposo e al divertimento), il declino della pesca professionale ha probabilmente radici più sottili e complesse. Nel determinare una tale tendenza non sembrano infatti prevalere fattori strettamente e direttamente economici, dal momento che la pesca di mestiere garantisce ancora guadagni per lo meno non sensibilmente inferiori al recente passato. Più verosimilmente la pesca è oggi rifiutata dai giovani – come scelta professionale – perché ritenuta di “basso profilo sociale”. Restando così le cose, è facile prevedere che la figura del pescatore di mestiere è destinata a scomparire dal Lario, determinando così una situazione di “sottosfruttamento” delle risorse ittiche lariane e la scomparsa di una cultura e di una tradizione che hanno radici antichissime nelle comunità rivierasche.
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