"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 2 novembre 2009

LA PESCA SUL LARIO TRA PASSATO E PRESENTE (prima parte)

Il Lario - “Foto di Felice de Paoli”
Tra le attività umane che si sviluppano naturalmente nei territori caratterizzati da un grande ricchezza di acque, un posto di primo piano spetta senza dubbio alla pesca. Il prelievo del pesce a scopo alimentare è pratica antichissima sulle rive del Lario e, anche se una ricostruzione precisa della pesca nel passato non recente è resa difficile dalla scarsità di documentazione sopravvissuta fino ai nostri giorni, possiamo comunque farcene un’idea grazie al alcune interessanti testimonianze scritte.


Cheppia

Senza dubbio nei secoli scorsi venivano catturati alcuni pesci che oggi sono totalmente scomparsi dalle sue acque. E’ il caso ad esempi di alcune specie migratrici, che potevano risalire il Po attraverso l’Adda, senza trovare il cammino sbarrato dalle dighe che ora interrompono il corso di tutti i nostri fiumi principali. Tra di essi ricordiamo la Cheppia, forma migratrice da cui deriva l’attuale Agone, specie stanziale nel Lario. La Cheppia era probabilmente presente nel Lario da maggio a settembre, mese in cui faceva ritorno al mare dopo essersi riprodotta nelle nostre acque. La più recente segnalazione sulla risalita delle cheppie fino ai grandi laghi subalpini risale alla prima metà del secolo XIX, quando Maurizio Monti ne attestò la presenza nel lago Maggiore.


Storione

E’ probabile che anche gli storioni potessero occasionalmente risalire nel Lario. Francesco Ballerini ne testimoniò così la presenza nel vicino Verbano: “L’anno 1609 fu sovente veduto nel lago Maggiore un pesce marino nominato sturione, stimato più di 400 libbre grosse (130 kg.)”.


Anguilla

Le giovani anguille in passato dovevano risalire numerose dall’Adriatico dirette alle profonde acque del lago, dove si accrescevano fina a raggiungere la maturità sessuale per poi ripercorrere il cammino inverso e migrare sino al lontanissimo Mar dei Sargassi per la deposizione delle uova. Già nel 1923, però, come riportato in una tabella sui pesci del Lario redatta in quell’anno da E. Pirola, vennero immesse artificialmente un milione di giovani anguille, a sostegno di una popolazione che, evidentemente, dava i primi segni di declino. Oggi, la presenza delle anguille nel Lario è strettamente connessa con le massicce operazioni di semina che vengono annualmente effettuate, essendo loro preclusa ogni possibilità di risalita naturale dal mare.

Trota di lago

Un’altra testimonianza sulla pesca lariana nel passato, che ci dà importanti indicazioni sulla fauna ittica allora presente, è raccolta nell’opera di Maurizio Monti, che nel 1846 descrive i pesci della Diocesi di Como. La trota di lago – scrive il Monti – era “copiosa e di carni gustosissime” e, nel mese di settembre in Alto Lago “si possono prendere più di 90 trote per mattina” mentre nel Lago di Mezzola “si presero colle gueglie in un giorno mille libre di trote (327 kg.)”. Oggi tale valore non è probabilmente raggiunto dal pescato annuale di trote, a testimonianza del declino subito da questa specie in conseguenza del peggioramento della condizioni ambientali del lago e dei suoi principali affluenti. Sempre il Monti ricorda che il Barbo veniva pescato “a cento libbre (33 kg.) e più per volta”, che “l’anno 1841 a Lezzeno e Lenno due pesche montarono per ciascuna a 3000 libbre (980 kg.) di pighi”, che “un pescatore di Carate l’anno 1835 sotto le mura di Como prese in un momento meglio di 200 libre (654 kg.) di alborelle” e che “l’anno 1832 la pesca del luccio rese cento zecchini a quei di Gera” (Monti 1846).


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