"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

giovedì 26 novembre 2009

GROENLANDIA 2009


Groenlandia 2009.
La bussola verso il Grande Nord: un'attrazione irresistibile. Da Keflavik verso l'Islanda. Poi ad Est, al campo base di Tasilaq. Di Massimo Maggiari, 29 Settembre 2009.

"È apparso una notte di luglio. Era il mio messaggero. Non aveva né volto né ali. Una semplice voce nell'ombra. Con lui s'accompagnava il muso di un orso bianco, la sua espressione quieta. Era come se mi ascoltasse, aspettando una risposta. All'invito di quel silenzio, giungeva un mio sì. E a piccoli passi, il progetto di partire lontano. Destinazione: la costa est della Groenlandia".


Prima tappa. Keflavik. Attraverso l'IslandaL'Islanda è sempre una meraviglia da visitare. Fa rinascere una sensazione di piacere al primo impatto. Sempre vuota e libera dagli eccessi. E alleggerita dalla crisi... su di una rivista leggo che gli islandesi sono ritornati alle radici, al buon senso. Hanno lasciato la città e sono ritornati sulle coste, nelle anse, per i fiumi. La crisi li ha riportati ai luoghi e alle attività degli antenati. Fuori della capitale si mangia e si dorme sotto un tetto. Come pure si attende l'inverno preparando conserve. I negozi di lusso della capitale sono chimere lontane, e i cantieri fermi come giganti inceneriti al sole. Si è ritornati al mondo delle saghe, delle storie, dei canti. Del sano lavoro di tutti i giorni. Delle piccole cose sotto la neve e il vento. Senza brame o fame. Fino al sabato santo.

Kulusuk. Costa Est della Groenlandia. Calibra la virata il pilota della Icelandic Air, alla discesa guardo fuori dal finestrino, e sento l'emozione emergere fitta dal costato. Tra le nubi spuntano improvvisi gli scogli e poi le pareti sofferte di roccia. Qui la costa è sola e si perde all'orizzonte in mille frantumi. Galleggiano aleggiano tra le acque ribollenti di schiuma enormi blocchi di ghiaccio. Si trasmette un gelo per le ossa, che solamente al vederli, pare tutto vellutato di blu. Queste vette vaganti comunicano una presenza forte, a dir poco enigmatica. Mi chiedo: da dove vengono? Dove staranno andando? Con chi navigano? All'occhio che li intravede si mostrano così umbratili estatici... dispersi per le terre degli Inuit.La pista sterrata ci fa rimbalzare dai sedili al primo morso del carrello. Per fortuna, l'arresto è quasi tutto immediato. Sviolinato da un finale tutto freni e scricchiolii. Affioriamo dal portello in una giornata che è rinata al sole. Intorno siamo circondati da picchi e fiordi ancora tappezzati da macchie di neve. È uno scenario che sfida le consuete abitudini dei nostri sguardi. Ma con gentilezza, senza turbare troppo. L'aria risveglia dal torpore, più che altrove intensamente pungente. Dirigiamo con alcuni italiani al battellino rosso che ci attende presso il molo vicino all'aeroporto. Passiamo gli zaini e le borse, mentre si fa prontamente cordata insieme. Inutile mentirsi tra gli sguardi che si incrociano e le mani che afferrano. Siamo lontani da casa, un milione di miglia. In terra incognita. Attorniati da ghiacci e fiordi mai navigati nelle nostre anime. Il carico è completo. Passano pochi istanti d'attesa, e poi subito, il motore rantolante cerca strada. Con la giacca a vento ben abbottonata inizia il nostro viaggio di transfert alla meta. Sfrecciamo a saetta nell'oltre di quell'immensa cornice, che per noi è il cuore più selvatico del mondo.


Campo base. Tasilaq. Dopo due ore di spruzzi e salti, entriamo nel fiordo di Tasiilaq sfrecciando tra due scogli che segnano un passaggio d'entrata. Poco più in là i galleggianti di una rete rivelano la presenza umana. E ancora più in là, la pace di un'ampia insenatura ci attende. Vicino sulle riviere brillano mille fazzoletti di neve sparsa, mentre un drappello di iceberg vaga tra i solchi blu delle acque. Mi chiedo: saranno loro i discreti guardiani di questo luogo? Sulla sinistra il rombo di un elicottero ci annuncia il villaggio, le sue case, la sua gente (circa duemila). Intorno, gli edifici lentamente s'affacciano all'occhio come puntini aguzzi di colore rosso e blu che costeggiano varcano, scalano ovunque per quel ramo di costa. Sono leggeri aerei quei profili. Ispirano al cuore l'avventura. Accostiamo. Uno scoglio meno ostile ci fa da punto d'attracco. E finalmente terra quella che tocchiamo. Destinazione sollievo dopo un lungo viaggio. Incontriamo Robert Peroni (www.tuning-greenland.com) presso la "Red House", in cima alla prima collina. Sarà proprio lì, il nostro alloggio, con il nostro pane quotidiano. Si presenta con fare amichevole questo distinto signore, e un sorriso prudente. La sua storia rasenta il mito e ricorda tanto quella di Nansen, l'esploratore norvegese, padrino di Amundsen. Peroni, alpinista noto, e viaggiatore di wilderness negli anni ottanta, e oltre, deciderà di fermarsi lassù in quella terra che attraverserà ben dodici volte per l'Ice Cap. Al punto che farà della Groenlandia casa sua. Abbracciando quel continente di ghiaccio sempre di più, sposando anche una donna Inuit. Negli anni che seguiranno, costruirà pezzo per pezzo la Red House per invogliare visitatori da tutto il mondo ad avventurarsi in quell'angolo perduto di bellezza. Oggi lo chiamano eco-turismo ed è una risorsa economica importante per la gente del posto. Ma questo signore di Bolzano prosegue ben al di là di quella prima vetta. Peroni s'innamora non solo dell'aura magica dei luoghi, ma prende anche a cuore la gente che lì vive stimandone le antiche usanze. Le ragioni sono semplici. Gli Inuit sono da sempre pacifici, laboriosi, vigili all'ambiente. Non ho intervistato l'alpinista con carta e penna, né mi sono guarnito di videocamera a ogni minima occasione. Lo ammetto. Non ne ho avuto il coraggio. Perché mi è bastato essere ospite alla Red House per una settimana guardandomi in giro. Questo ho visto con i miei occhi. Peroni ha creato un saldo ponte col suo mondo di origine. Il Sudtirolo. Le spedizioni e le visite dall'Italia si susseguono senza interruzioni per tutto l'anno. Ma soprattutto ha creato un forte legame con gli abitanti di Tasiilaq. Molte delle persone che lavorano al suo centro sono Inuit. E molte bussano per cercare lavoro, per vendere qualcosa, o per cercare aiuto: praticamente tutti i giorni. Una mattina ho notato impressa la più squisita dolcezza sul volto di due anziane signore del luogo che lo venivano a salutare. Lo rivelo a Peroni che condivide, poi aggiungendo: "Sai quella signora al primo scalino, dall'espressione così amabile, è nata e vissuta in una casa di sassi e terra, in un villaggio sperduto lontano millenni dal nostro mondo..." Mi dico dentro: è quindi proprio vero che sobrietà dei modi e nobiltà d'animo s'accompagnano di pari passo. Un'altra mattina un signore anziano con un magnifico sorriso ha consegnato al signor Peroni delle piccole sagome di legno ritraenti la balena Narwhal. Si sono seduti, si sono parlati, e si sono scambiati le sculture dal lungo unicorno con della valuta. Allungata sul tavolo con massimo rispetto. E un sorriso più pronunciato che diceva all'anziano: quello che tu fai è importante. Ci nutre. Fa parte di noi. È un dono, di cui siamo grati. Di questi tempi, in cui tanto si parla di globalizzazione, scambi e interscambi, non si parla ahimé di buone maniere, e di quanto esse siano cruciali tra persone e mondi lontani. Per farli avvicinare. Ma stiamo attenti. Non sto parlando di formalismi ed etichette da salotto borghese. Sto parlando di un modo di fare che genera reciprocità e fiducia reciproca. Anche tra persone distanti generazioni. Perché antico, ri-vitalizzante e proteso al futuro. Un modo di fare che relaziona la nostra quotidianità al mondo, a tutto il mondo, compresa natura, animali, antenati. Da sempre. Questo ho intravisto in Peroni, un soffio di Sapienza arcaica che benignamente collega vite e luoghi (anche se lontanissimi) alla vita con la ELLE maiuscola. Al suo grande disegno. Quell'Anima mundi che tutti condividiamo e che nutre come l'aria tutta la creazione del pianeta. Pensate se a ogni respiro seguisse un gesto di gratitudine, come cambierebbe la nostra piccola vita. E non pensate sia utopia. Gli indiani Lakota terminano ogni loro cerimonia con una frase-preghiera "Mitakuye Oyasin/To All Relations". Un ringraziamento a tutto quello che sostiene il viaggio delle nostre vite. Consapevolezza profonda che non siamo soli. Neanche agli estremi poli del mondo. Ma siamo un intero universo che respira.




La guida danese. Alla "casa rossa" faccio anche la conoscenza di Olaf. Un danese alto e ben piantato che fa da guida per il mondo agli appassionati di kayak. Il suo gruppo deve arrivare fra tre giorni. A cena condividiamo le nostre storie sull'artico, i suoi protagonisti, e le sue vicende. Parliamo di Amundsen e del Duca delgi Abruzzi. Gli spiego la mia ammirazione sia per il norvegese che per l'aristocratico italiano. E lui mi rivela il personale apprezzamento per Vittorio Sella e le sue splendide foto, specialmente quelle della Georgia e del Caucaso. Ma ci inoltriamo avanti. Nei temi della durezza dell'ambiente artico e della sua sopravvivenza. Olaf ha cacciato con gli Inuit in diverse occasioni e periodi più o meno lunghi. Sostiene di aver osservato tre cose in quella gente così caparbia e diversa da noi. Innanzitutto, che sono creativamente pieni di risorse. Se una slitta si danneggia, o un cane si ferisce, loro trovano sempre una soluzione. E in qualche maniera, la spuntano sempre, anche in una tempesta di neve. In secondo luogo, quanto siano attenti all'ambiente intorno a se stessi. "Se c'è un animale nei paraggi ne avvertono la presenza di gran lunga prima di te". Questo lo posso confermare io stesso perché ho assistito in mare aperto alla cattura di una foca, appena affiorata per un attimo tra due iceberg. Terza cosa, aggiunge, hanno un gran senso dell'umorismo. Che li aiuta anche in mezzo al peggior Piteraq (una specie di bora artica) in cui possono incappare. Peroni racconta di come un visitatore tedesco sia rimasto sospeso a quattro o cinque metri da terra in quel vento, con la moglie che lo guardava terrorizzata. "Gli avevo detto di stare al riparo che era un vento molto forte, non mi ha creduto... È finito sospeso in aria per un bel po'. Il Piteraq può arrivare improvviso in qualsiasi stagione. Si spegne in una decina di ore. E poi tutto ritorna come prima". Credere a ciò che non si conosce a volte può sembrare folle o ingenuo. Ma il non prendere in considerazione la selvatichezza del luogo e del suo tempo può essere in questo contesto l'anticamera di una tragedia, peraltro annunciata. Secondo, il danese Olaf quello è il punto clou dello spirito artico (e qui cita Arctic Dreams di Barry Lopez). Quello che meno ci si aspetta può capitare improvviso in ogni momento. Bisogna quindi avere prontezza, forza d'animo, anche per la peggiore eventualità. La calma di un pomeriggio estivo può risultare a volte finzione, apparenza. Mentre al passaggio di un kayak un iceberg esplode in una sassaiola che getta mille aculei di luce blu.



Per i fiordi. Nei giorni che seguiranno passerò il tempo tra ghiacciai, iceberg e piste scoscese. I sentieri saranno ben diversi da quelli a cui siamo abituati ad altre latitudini. Solo povere tracce su ripidi pendii marcati a lunga distanza da segnali rotondi in pittura blu e gialla. Partirò alla mattina presto dopo colazione con lo zaino e il tamburo a tracolla. A tratti ancora tormentato dalla scomparsa di mio padre. Dopo essermi defilato dal villaggio, sfilerò via il tamburo dalla custodia e riprenderò la marcia al suo ritmo lento e cadenzato. Guarderò le mie mani con un senso di pietà. Per quello che hanno fatto e per quello che hanno omesso di fare. Lo so oramai. Il nostro operare è solo conquista parziale. A ogni mio passo riflettono sempre le ombre del giorno. Ovunque oblique. Sarò una creatura appartata e unica che lentamente avanza nel ventre della montagna. All'andatura s'accompagnerà intermittente il canto. Lontani gli iceberg punteggeranno di bianco il mare, come perle in un immenso arazzo cosmico. Il resto sarà tutto vento, silenzio, passaggio lento ritmico alleante. Progressivo entrare nella totalità del presente. Nella sua fibra più essenziale e profonda. Mi dico: qui in questi luoghi ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita Knud Rassmussen, il grande etnografo danese. O meglio il grande umanista degli Inuit. Quell'anima nobile che ha spiegato e illustrato al resto del mondo, l'artico e la sua gente. Tragicamente morirà per avere mangiato della carne di foca avariata. Qui, proprio qui, sono vissuti anche grandi sciamani come Sanimuinak, Kuuitse (sopravvissuto due volte da un attacco di orso) e lo stesso fiordo fu scoperto da un angakoq che lo riconobbe come luogo ideale per un insediamento umano. E qui ho camminato io per sette lunghe ore. Alternando tamburo e voce. Per arrivare fino alla vetta. Al suo lampo di cresta finale. In quella solitudine comparirà una guizzante ragazza danese. Bionda come il latte, tra gli spuntoni di roccia nero-scura. Così fresca e accesa di vita. Una vera figlia del vento, che perdutasi, aveva ritrovato la via col suono del tamburo. Qui ho capito che quel vecchio mondo di credenze e usanze forse, solo forse, non c'era più. Che gli spiriti del luogo parlavano ora altre lingue. Ma capivo anche che stava a noi il compito di reinventarlo quel passato magico, e farlo in qualche modo rivivere. Sì, farlo ri-vivere, ancora una volta: col suono, la voce, la poesia e il canto. Farlo ri-vivere come un'arte che risveglia senzazioni profonde, che ritualizza i nostri gesti nella verità del bello. Importante sia questo come un comandamento o una missione. Vero transito obbligatorio dell'anima al cuore. Per rilanciare un significato alla vita anche quando ci sfugge. Con un sorriso.



Massimo Maggiari (Genova, 1960) insegna Lingua e Letteratura Italiana all'Università di Charleston, in South Carolina. Lì organizza anche un Festival di poesia italiana. Ha pubblicato raccolte di versi, scritti saggi e recensioni su diverse riviste di italianistica. Nel 2008 ha pubblicato il libro Dalle terre del nord, alla ricerca dell'anima artica (Vivalda editore), nato da una serie di viaggi compiuti intorno al Circolo Polare Artico, dall'Islanda all'Alaska attraverso la Groenlandia e il Canada artico di Nunavut.
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