Negli ultimi anni del II secolo d.c. un soldato della guardia a presidio di Milano, città imperiale, chiamato Fedele, si dirigeva in fuga verso Nord, sulle acque del Lario. Mentre remava, nella sua mente scorrevano i ricordi in terra lombarda: la militanza nelle file del Sacro Romano Impero, l’incontro con Materno, vescovo di Milano e la conversione. Poi la feroce repressione per opera dell’imperatore Massimiano, che scatenò una caccia spietata tra i monti e le valli del Lario: tutti vennero catturati e trucidati. Tutti, tranne uno: Fedele, scaltro e ben addestrato che tentò di sfuggire alla cattura sulle acque del lago. Contando sulle sue doti fisiche, con una piccola imbarcazione, risalì remando lungo la sponda da Como fino a Summus Lacus, l’odierna Samolaco. Credeva di aver scampato il pericolo, di essere libero, di dedicarsi a una nuova vita nelle professione della fede cristiana.
Nella pace dell’alba lacustre, il suo pensiero era rivolto costantemente, con tristezza, ai compagni, a quei commilitoni con cui aveva condiviso la vita di soldato e per la cui sorte, adesso, poteva solo tremare. Purtroppo Fedele si imbatté in una pattuglia di soldati romani, fu catturato e, in località Torretta, decapitato. Era il 298 d.c., moriva il primo martire del cristianesimo lariano. Molti anni più tardi, nell’Alto Medioevo, a una donna di Gordona, in Val Chiavenna, apparve in sogno il luogo dove sarebbero stati tumulati i resti di Fedele, sulla sponda orientale del fiume Mera, in una piccola radura erbosa, nel lago di Novate Mezzola. Nel 964, Ubaldo, vescovo di Como, dispose il trasferimento della salma nel capoluogo lariano, nella basilica di Sant’Eufemia, da allora dedicata al martire. Sul luogo del ritrovamento venne costruito un tempietto, conosciuto in valle come San Fedelino.
Nel corso dei secoli i barcaioli continuarono ad assicurare i collegamenti tra la colonia comasca e la Resia, attraverso l’alto Lario. Commercianti, viaggiatori e uomini d’arme preferivano la navigazione alle fatiche di un sentiero lungo l’impervia costa, che così è rimasta incontaminata anche quando, per traffici stradali e ferroviari, si preferì sfruttare la sponda opposta al luogo del martirio, quella su cui si svilupparono i centri di Novate e Verceia.
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