"Vorrei imparare dal vento a respirare, dalla pioggia a cadere,
dalla corrente a portare le cose dove non vogliono andare,
e avere la pazienza delle onde di andare e venire, ricominciare a fluire..."
(Tiromancino)

lunedì 27 gennaio 2014

L’ESCURSIONE DI GRUPPO (parte prima)



Un’escursione in kayak si può preparare con molto anticipo, con lo studio delle carte nautiche e del portolano. Le condizioni prevalenti detteranno, in un secondo tempo, la tabella di marcia. E’ assolutamente importante conoscere i fenomeni meteorologici locali che possono essere pericolosi. E’ altresì importante sapere interpretare le informazioni del bollettino nautico. Le migliori previsioni meteo non superano le 12 ore successive, e sarebbe ancora meglio se si potessero ottenere aggiornamenti ogni sei ore. 




Il fattore che condiziona maggiormente la durata e il grado di difficoltà dell’escursione è il livello di abilità del più debole del gruppo. Se le condizioni meteo volgono al peggio, la situazione può sfuggire di controllo. Salvare compagni inesperti o trainarli verso luoghi sicure pone grosse responsabilità ai compagni più esperti. E’ di vitale importanza conoscere il profilo della costa e avere buone nozioni di navigazione. Cercate sempre di prevedere vie di fuga lungo il percorso, nell’eventualità che qualcosa vada storto. I kayakisti possono soffrire il mal di mare, lamentare disturbi alla vista a causa del riverbero del sole sull’acqua, soffrire il caldo o il freddo eccessivo, incorrere in un episodio di ipotermia o semplicemente ammalarsi. Quindi, se fate un’escursione in kayak con qualche nuovo compagno, le cui abilità non siano state già messe alla prova in precedenza, non mancate di prevedere buone vie di fuga. 




La velocità media con cui può procedere un gruppo che comprenda dei principianti è di circa 2 nodi. Un gruppo formato da kayakisti esperti mantiene per ore una velocità di oltre 3,5 nodi, considerando le pause per il cibo. Un forte vento di poppa può dimezzare tale velocità, e far sballare qualsiasi previsione all’arrivo. 



lunedì 20 gennaio 2014

LA VOLPOCA, D’INVERNO IN LOMBARDIA


Appartiene all’ordine Anseriformes, famiglia Anatidae, uccelli acquatici conosciuti come anatre. E’inclusa in un gruppo denominato “tadornini”, (solo tre specie presenti in Europa); si tratta di specie di medie dimensioni, assimilabili alle anatre di superficie. Il suo nome scientifico è Tadorna tadorna. Di grandi dimensioni (58-67 cm), a distanza somiglia ad una piccola oca, con il becco rosso molto evidente, le zampe anch’esse di colore rosso e il piumaggio bianco striato di nero; si riconosce facilmente per la testa ed il collo di colore nero-verde in netto contrasto con il corpo e per una fascia color ruggine intorno alle parti anteriori. I sessi sono simili, ma il maschio ha una vistosa escrescenza carnosa alla base del becco, mentre la femmina presenta una stria bianca intorno ad esso. Ha un volo a battito lento come le oche. E’ una specie gregaria, ad eccezione del periodo riproduttivo. 



Frequenta ambienti costieri di acque salmastre e salate o zone umide molto produttive; predilige ambienti fangosi e sabbiosi sottoposti a marea. Occasionalmente nidifica anche nell’entroterra. In acqua rimane in superficie immergendo la testa come alcune anatre, con il corpo molto emerso e più alto nella parte posteriore. Si nutre di invertebrati, che ricerca pescando con la testa nell’acqua bassa o nel fango umido. E’ meno acquatica di altre specie di anatre; corre velocemente e sa arrampicarsi. Costruisce il nido a terra, sfruttando tane di conigli, imbottite di piume. 



L’areale europeo di nidificazione è centrato sulle regioni settentrionali e orientali, mentre quello di svernamento corrisponde all’area mediterranea. Nel nostro Paese i contingenti svernanti si rivengono soprattutto a sud. Una modesta popolazione nidificante si trova nel Delta del Po. In Lombardia è svernante occasionale; le osservazioni note riguardano i principali fiumi, i laghi e le zone umide di pianura. Le popolazioni europee sono state stimate in un numero di coppie nidificanti tra 39.000 e 56.000. Questa specie non è considerata minacciata. 



Foto di Gennaro Manna www.fotografiaenatura.net

lunedì 13 gennaio 2014

IL REGNO DEL QAJAQ (3)


Un fenomeno che sembra danneggiare più l’occhio umano di quello animale è il cosiddetto “white-out”, ovvero “cecità bianca”, a causa del quale l’uomo, perdendo ogni percezione visiva della profondità, risulta incapace di camminare su un terreno lievemente accidentato. Il “white-out” è dovuto a due fattori: alla luce riflessa dal terreno uniformemente ricoperto di neve e all’illuminazione diffusa filtrata da uno strato di nubi. Sono queste le condizioni che provocano, soprattutto se protratte nel tempo, la cecità da neve, con relativi gravi danni alla vista. 




In estate e in autunno, quando sono presenti sia larghi tratti di banchisa, sia ampi specchi di mare libero, si forma una nebbia detta “d’incontro”, presente nell’arcipelago canadese nonché lungo le coste della Siberia per non meno di 30-40 giorni all’anno. Fenomeni molto curiosi, visibili soltanto alle latitudini settentrionali sono quelli degli aloni solari e dei pareli ovvero immagini multiple del sole. Queste visioni talvolta si manifestano contemporaneamente: l’immagine vera del sole appare centrale, circondata da due aloni, cioè fasce circolari luminose e concentriche. Accanto all’alone centrale possono apparire, paralleli all’orizzonte, altri due dischi lucenti; nel caso appaiono tre soli, uno di essi lambisce l’orizzonte. 



Raramente il fenomeno può comprendere l’immagine di quattro soli oltre a quella reale (in questo caso i soli riflessi sono disposti nei quattro punti cardinali). Aloni e pareli sono l’effetto della deviazione subita dalle radiazioni luminose nell’attraversare cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera. Lo stesso fenomeno avviene per la luna, che si circonda di aloni e immagini multiple, chiamate in questo caso paraseleni. Entrambe le visioni, siano esse diurne o notturne, possono avere una durata variabile da pochi minuti a qualche ora. 



Fonte: Il meraviglioso universo del grande Nord.

lunedì 30 dicembre 2013

SAN NICOLO', PATRONO DEI NAVIGANTI – RESTAURATA LA STATUA IN ACQUA SUL LUNGOLAGO DI LECCO


San Nicolò (Nicola) oltre ad essere il patrono di Lecco lo è anche di Naviganti , pescatori e commercianti e quindi anche di noi canoisti-kayakisti. Vescovo di Myra in Turchia nel 4° secolo dove morì il 6 dicembre del 343 è in assoluto il santo più ‘stakanovista’ essendo patrono di 271 comuni solo in Italia oltre a patrocinare molte altre categorie professionali e non.


San Nicola diventa patrono dei naviganti a seguito del cosiddetto ‘miracolo della tempesta’ dove si racconta abbia salvato dei marinai. Verso l'anno 300 d.C. una ciurma di marinai, abituati a ruberie e a violenze, navigava verso Mira, al largo del Mar Egeo, ad un tratto, una tempesta li sorprese con tanta  furia che i naviganti,  in pericolo di morte, chiesero l'aiuto dei Signore  invocando l'intercessione del Vescovo Nicola. E fu tanta la fede dei marinai nella loro preghiera che il Vescovo, proprio nel momento di maggior angoscia, apparve loro e li aiutò a governare l’imbarcazione.


Il restauro della statua del santo patrono è stata un opera di volontariato della cittadinanza lecchese coordinato dal gruppo ‘Appello per Lecco’ . 17 volontari hanno partecipato al riposizionamento sul nuovo piedistallo alto 1mt. della statua alta 2,1mt. e pesante 200kg. Le operazioni sono state agevolate dall’impiego dell’elicottero sia in fase di rimozione che di riposizionamento del santo.


Massimo Chissotti ha offerto l’impalcatura – Massimo Riva con i subacquei dell’associazione ‘Salvamento’ di Lecco si sono occupati delle operazioni in acqua. Marco Cariboni ha fatto rifare il  basamento e relativa illuminazione che però non è ancora stata realizzata perché il progetto è fermo per l’approvazione in Sovrintendenza.


La statua è stata gratuitamente restaurata dal maestro Giacomo Luzzana di Civate e ricoperta di Oro Zecchino oltre ad un ulteriore strato protettivo. Dopo il restauro è stata esposta in Duomo per alcuni giorni per poi essere collocata definitivamente sul nuovo piedistallo in modo da poter essere ammirata per il 6 dicembre giorno in cui si festeggia Lecco e il suo Patrono.


Testo del Luis

lunedì 23 dicembre 2013

LA PALA LUNGA


Era quasi del tutto naturale per un cacciatore Inuit in kayak scorrere le propri mani lungo una delle due parte estreme della pagaia; in tal modo guadagnava maggiore lunghezza di pagaiata e maggiore leva per aiutarsi con la moltitudine di manovre e appoggi che egli usava come una parte importante del suo lavoro quotidiano. 



Il moderno pagaiatore marino potrà spesso trovare vantaggio nell’aggiungere leva alla pagaia tenendola in quello che è conosciuto come la manovra della “pala lunga” (in inglese “extended paddle position”). Questa posizione estrema dell’impugnatura della pagaia gli darà confidenza, forza e velocità quando la utilizzerà nelle manovre di pagaiata, di rotazione, di appoggio, di virata specialmente in caso di mare mosso. Ci sono infine numerosi tipi di Eskimo (o meglio detto Inuit roll) che richiedono che la pagaia sia tenuta nella posizione estesa e cioè a pala lunga. In casi di mare molto mosso oppure di stanchezza conviene effettuare un Inuit roll a pala lunga per essere sicuri di non sbagliare avendo a disposizione una leva maggiore rispetto alla pala corta. 





La pala lunga, sia che venga effettuata con la pagaia moderna che con la pagaia groenlandese, prevede che una mano afferra l’estremità della pala mentre la mano attiva si sposta sul manico fino a circa metà avvicinandosi all’altra mano. Il principale problema dell’impugnatura a pala lunga su una pagaia moderna è quello di dover mollare con una mano la presa per afferrare la pagaia all’estremità. Con la pagaia groenlandese invece l’impugnatura non è obbligata all’estremità in quanto avendo la pala stretta e non sfalsata, permette una presa libera, consentendo in questo modo di non mollare mai l’impugnatura (il manico scorre semplicemente tra le mani).

lunedì 16 dicembre 2013

IL FRULLINO, IL LIMICOLO INVISIBILE


Ordine Charadriiformes, famiglia Scolopacidae, appartiene al gruppo dei “beccaccini”, uccelli limicoli caratterizzati dal lungo becco. Il nome scientifico è Lymnocryptes minimus.Riconoscibile agli altri beccaccini per le sue dimensioni, 17-19 cm di lunghezza corporea, che ne fanno il più piccolo del gruppo, e per le proporzioni del suo becco, che risulta relativamente corto rispetto alla testa piuttosto grande. Il piumaggio è marrone-nero in tutte le stagioni, con due strisce crema sul capo nero, che lo differenziano dal Beccaccino che ne ha tre, insieme alle più evidenti strie longitudinali. Il petto e i fianchi sono finemente striati e macchiati di marrone, mentre il ventre è bianco. 



Vive nella taiga boreale e subartica; nidifica nelle torbiere o negli acquitrini, costruendo il nido su piccoli rilievi erbosi, in cespugli e arbusti. Evita i terreni aridi e rocciosi, e ha una scarsa tolleranza per neve e ghiaccio. In migrazione frequenta zone umide o allagate, spesso di modesta estensione, con terreni fangosi e una buona copertura vegetale, che offre riparo durante la ricerca di insetti, molluschi e vermi di cui si nutre. E’ solitario ed ha abitudini prevalentemente notturne e crepuscolari. A differenza dei suoi “simili”, il Frullino si lascia avvicinare fino ad una distanza di pochi metri, restando nascosto e immobile, poco visibile anche nella vegetazione bassa, per poi uscire improvvisamente dal suo nascondiglio con un volo silenzioso, breve e rettilineo. 




Il suo areale riproduttivo si estende dalla Scandinavia settentrionale alla Siberia centrale; sverna prevalentemente nelle zone costiere e umide interne dell’Europa centrale, meridionale e mediterranea. In Italia è migratore e svernante, e in Lombardia è presente con un certa continuità nella parte centrale della pianura, in particolare nelle marcite. La popolazione nidificante conta circa 130.000 coppie. Alcune migliaia svernano in Italia; per la Lombardia non sono però disponibili stime precise a causa delle abitudini elusive di questa specie.