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giovedì 30 aprile 2009
LIBRI – CONGRATULAZIONI NUNAVUT!
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lunedì 27 aprile 2009
PESCI NOSTRANI E PESCI STRANIERI
Il primo Coregone a comparire nelle acque del lago fu senza dubbio un Lavarello. Già nel 1861 il De Filippi sperimentò infatti l’immissione di avannotti di Blaufelchen (Coregonus wartmanni coeruleus), originari del lago di Costanza. Nonostante il risultato del tutto negativo che fece seguito a questo primo tentativo, all’inizio del 1885 circa 500.000 uova fecondate di Coregonus wartmanni coeruleus vennero inviate dal lago di Costanza all’incubatoio di Fiumelatte, sul Lario lecchese. La schiusa delle uova ebbe luogo e gli avannotti vennero tutti immessi nel lago nel tratto di costa di Bellano. Il 19 ottobre di quell’anno venne catturato il primo Coregone del Lario, lungo 11 cm. Prima della fine del 1885 furono catturati altri quarantadue giovani coregoni, a conferma che l’introduzione della nuova specie stava dando i frutti sperati. Nel quinquennio successivo il Pavesi effettuò altre tre immissioni di avannotti, sempre provenienti da uova del lago di Costanza. Con ogni probabilità furono allora importate, oltre a uova di Blaufelchen, anche uova di un altro Coregone presente nel lago svizzero, denominato Weissfelchen (Coregonus schinzi helveticus). Nel lario le due forme finirono per ibridarsi e negli anni successivi la possibilità di distinzione fra le due specie di Coregone venne a mancare. Già nel 1933 R. Monti affermava infatti che i “coregoni italiani appartengono a una specie naturale unica” non avendo rilevato alcuna differenza a livello cromosomico. L’attuale Lavarello (Coregonus “forma hybrida”) è pertanto considerato un ibrido fra le due specie originarie. Il successo delle introduzioni di Lavarello fu notevole: già nel 1897 il pescato raggiunse le 12 tonnellate e si mantenne in seguito elevato sino agli anni ’60, quando le catture subirono un forte calo, in relazione al peggioramento delle condizioni ambientali del lago.
Si decise allora l’immissione di una seconda specie di Coregone, più resistente agli elevati valori di trofia che si stavano instaurando nel bacino lariano. Nel 1970 furono così immessi 500.000 avannotti di Coregunus macrophtalmus, denominato comunemente Bondella, provenienti dal lago di Neuchatel. L’immissione fu coronata da immediato successo, al punto che nel Lario la Bondella è ora la specie predominante, rappresentando circa il 70% dei coregoni nell’asse Colico-Lecco e il 95% nel ramo di Como. Le differenze morfologiche tra le due specie di Coregone sono molto limitate e a un esame superficiale la distinzione tra Bondella e Lavarello è un’impresa difficile anche per gli addetti ai lavori, come gli ittiologi e i pescatori di professione. Più nettamente differenziate risultano invece essere altre caratteristiche biologiche, come l’accrescimento e l’habitat riproduttivo. Il Lavarello cresce più velocemente e raggiunge taglie più elevate; non è infrequente infatti riscontrare catture di lavarelli superiori al mezzo chilo di peso, mentre la Bondella ha una crescita più lenta e, nella ristorazione locale, costituisce il classico pesce “da porzione”. Il Lavarello inoltre depone le uova nel mese di Dicembre, sui dolci fondali sassosi e ghiaiosi che si trovano in prossimità delle sponde, mentre la Bondella si riproduce in Gennaio a profondità (40-100 metri) ben maggiori.
Tra le specie introdotte allo scopo di accrescere il pregio dell’ittiofauna lariana, non possiamo dimenticare il Salmerino alpino (Salvelinus alpinus), proveniente dal lago di Zug (Svizzera). Immesso dapprima con successo nel lago di Lugano (1895), è stato da qui introdotto a partire dal 1910 nel lago Maggiore e nel Lario. La colonizzazione del Lario da parte del Salmerino fu probabilmente più lenta, a causa della limitata fecondità della specie. Basti dire che una femmina di Salmerino pesante un chilogrammo è in grado di deporre circa duemila uova, contro le quarantamila deposte da una femmina di Lavarello di uguali dimensioni. Le modificazioni ambientali intercorse dall’uomo a partire dagli anni settanta hanno purtroppo rallentato l’espansione del Salmerino; lo scadimento della qualità dell’acqua e la competizione spaziale e alimentare con la Bondella ha infatti causato una drastica riduzione di questo salmonide, al punto che attualmente è considerabile come specie rara.
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giovedì 23 aprile 2009
I POPOLI DEL GRANDE NORD E LA LORO LINGUA
I circa 150.000 Inuit vivono in Alaska, in Canada (soprattutto nel Nunavut) e in Groenlandia. Un tempo erano chiamati “eskimos” (eschimesi) dagli occidentali uomini bianchi. Questo dispregiativo significava “colui che si nutre di carne cruda”. Oggi si fanno chiamare “Inuit”, che significa semplicemente “la gente”. Tutti i piccoli Inuit studiano l’inglese o il danese a scuola ma in famiglia praticano l’Inuktitut, la lingua del loro popolo, il cui alfabeto è stato ammodernato per renderlo compatibile con l’informatica.
I Sami, popolazione autoctona della Scandinavia, sono distribuiti fra Norvegia, Svezia e Finlandia e la penisola di Kola, in Russia. Secondo le stime, dovrebbero essere 70.000. I giovani imparano il Sami, una lingua ugro-finnica.
lunedì 20 aprile 2009
IL LAGO DI PUSIANO
- Solo dal 1922 il lago di Pusiano è di proprietà demaniale. Prima fu sempre di proprietà privata fin dal 1314. I vari proprietari che si susseguirono furono, per citarne alcuni: l’arcivescovo di Milano, i marchesi Carpani, il Viceré di Italia Eugenio Beauharnais, il comune di Bosisio
- Fino a cinquant’anni fa si svolgevano antichi lavori consacrati alla tradizione, come il taglio delle canne di palude e l’estrazione della sabbia e della ghiaia, l’estrazione della torba e ovviamente la pesca.
- Il lago è integralmente compreso entro i confini del Parco regionale Naturale della Valle del Lambro.
Il lago di Pusiano in cifre.
Altitudine media: 259 m slm
Superficie: 4,9 kmq
Perimetro: 10,7 km
Profondità media: 14,03 m
Profondità massima: 24,3 m
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Foto del caro amico Riccardo Agretti.
giovedì 16 aprile 2009
LO SCAFO DEL KAYAK DA MARE
Un fattore determinante ai fini della velocità con acqua agitata è la forma della prua, che può essere di due tipi: voluminosa e ad elevata galleggiabilità, tale da non affondare nelle onde di normali dimensioni; stretta e affilata, per tagliare i marosi senza però affondarvi. Il primo tipo funziona molto bene, basta che le onde non siano troppo alte, perché in tal caso la prua è costretta a impattare violentemente sulla superficie dell’acqua, che viene così proiettata con forza ai lati dello scafo, sottoponendo il kayaker a una doccia continua. Il secondo tipo produce un minimo spostamento d’acqua e ha una conformazione del ponte anteriore studiata in modo da permettere un’uscita molto asciutta dall’onda. L’efficacia di una prua di questo tipo non sta quindi nella sua galleggiabilità, bensì nelle sue qualità dinamiche. Qualunque tipo di prua si scelga, questa deve essere possibilmente slanciata, così da minimizzare qualsiasi “effetto draga” dovuto alla separazione dell’acqua al passaggio dello scafo.
lunedì 13 aprile 2009
LIBRI - LA SCOMPARSA DELL’EREBUS
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giovedì 9 aprile 2009
IL POPOLAMENTO ITTICO ATTUALE DEL LARIO
Ne consegue che il popolamento ittico è in gran parte costituito dalla specie pelagiche, quali i coregoni – presenti con le due specie Lavarello (Coregonus spp.) e Bondella (Coregonus macrophtalmus), l’Agone (Alosa fallax lacustris) e l’Alborella (Alburnus alburnus alborella). Con l’eccezione dell’Alborella, che si spinge nella zona litorale anche per motivi alimentari, queste specie trascorrono gran parte della loro esistenza in “mezzo al lago”, cibandosi di zooplancton, e dalle rive la loro pur abbondate presenza è avvertibile solo durante il periodo riproduttivo, quando gli esemplari maturi si portano sui bassi fondali per la deposizione delle uova. La Bondella, che anche per la riproduzione ha scelto i fondali profondi fino a 50 metri, è visibile da terra solo grazie alle quotidiane e copiose catture a opera dei pescatori di professione.
Le specie ittiche più legate all’ambiente litorale, estremamente ridotto, raggiungono localmente densità molto elevate ma, nell’insieme, costituiscono una componente largamente minoritaria dell’ittifauna lacustre. Molte delle specie caratteristiche della zona litorale del Lario, appartengono alla famiglia dei ciprinidi, come il Triotto (Rutilus rubilio), il Cavedano (Leuciscus cephalus cabeda), il Pigo (Rutilus pigus), la Scardola (Scardinius eritrophtalmus) e la Tinca (Tinca tinca).
Tra i predatori locali, spicca per importanza il Pesce persico (Perca fluviatilis), mentre il Luccio (Esox lucius) non raggiunge popolazioni consistenti a causa dell’habitat poco congeniale alle sue esigenze. E’ soprattutto la scarsità di vegetazione acquatica sommersa (unitamente alla ripidità delle sponde) a rendere occasionale la presenza del Luccio nel Lario. Le piante acquatiche costituiscono infatti il substrato naturale per la deposizione delle uova e l’ideale territorio di caccia del Luccio, che non a caso raggiunge densità decisamente più elevate nell’estrema porzione settentrionale del Lago, nel canale della Mera e nel lago di Garlate, dove sono tuttora presenti vaste aree di canneto.
L’attuale popolamento ittico del Lario è rappresentato dalle 23 specie riportate nella Tabella riportata qua sotto. Non sono comprese in elenco alcune specie che possono essere saltuariamente rinvenute nel lago ma che non possono essere considerate come rappresentative della fauna ittica lariana. Tra esse ricordiamo il Temolo (Thymallus thymallus) che talvolta abbandona le acque correnti dell’Adda immissario, in cui è abbondantemente presente, e si avventura nel lago, per poi risalire il tratto terminale dell’acque fredde e ossigenate.
Provenienti da qualche scriteriata immissione, il Carassio (Carassius Carassius) e il Pesce gatto (Ictalorus melas) hanno fatto recentemente la loro comparsa nelle zone litorali del Lario. La loro presenza, trattandosi di specie infestanti e di pregio pressoché nullo, è fortunatamente ancora molto rara. Con ancora minore frequenza è possibile avvistare qualche raro esemplare di Persico trota (Micropterus salmoides), pesce predatore tipico dei bassi fondali ricchi di vegetazione e pertanto non molto attratto dalle ripide sponde del Lario.
D’estate il Lario è diviso in due zone: uno strato caldo e superficiale (epilimnio, da 0 a 15 metri) ed uno strato freddo e profondo (ipolimnio, da 20 metri al fondo) separati da un sottile strato (metlimnio, da 15 a 20 metri) caratterizzato da un brusco salto di temperatura. In questa stagione i pesci che non sopportano temperature elevate (trote e coregoni) sono costretti a trovare rifugio nell’ipolimnio.
lunedì 6 aprile 2009
LE REGIONI DEL GRANDE NORD
giovedì 2 aprile 2009
GRIGNE, PIANURA PADANA, LARIO E IL CLIMA
Che le Prealpi Lombarde siano esposte a precipitazioni abbondanti lo confermano i dati del pluviometro di Lecco, che totalizza circa 1400 mm annui con i valori massimi dell’anno relativi ai mesi primaverili ed estivi: quasi 200 mm in maggio (in tredici giorni) e valori sempre superiori ai 100 mm da aprile a novembre, con almeno sette giorni di pioggia al mese. E piogge più abbondanti rispetto al fondovalle lecchese, anche prossime ai 2000 mm, interessano i versanti delle Grigne direttamente esposti a i venti umidi meridionali. Motivo per cui prati e boschi conservano un verde brillante per tutta l’estate, stagione che tuttavia non manca di giornate perfettamente serene, soprattutto quando spirano deboli venti asciutti da nord. Il maggior soleggiamento relativo si ha invece in inverno, periodo che mostra le precipitazioni più contenute, con minimo di 50 mm in gennaio e febbraio.
La neve sulle Grigne è una presenza importante nei mesi invernali, da novembre ad aprile, ma sebbene non manchino nevicate abbondanti, anche superiori a un metro di spessore in ventiquattrore, la durata del manto nevoso sui versanti ben esposti al sole è modesta, anche a causa delle quote non molto elevate, Pure la temperatura risente dell’influenza padana, con valori non estremi: a 200 metri il valore medio annuale si aggira sui 2 gradi, una notte d’inverno può far scendere il termometro a meno 20 ma se la giornata è serena, i versanti sud si intiepidiscono rapidamente. D’estate, l’ombreggiamento causato dai cumuli può spesso mantenere temperature moderate anche quando la pianura ribolle. Ancora un accenno al vento, presenza perlopiù discreta e limitata alle brezze giornaliere lacustri (il mattutino Tivano da Nord, la pomeridiana Breva da Sud) durante il semestre estivo, ma che in qualche giorno dell’anno, specie in inverno, si sfoga in robuste tempeste di Foehn. In quei giorni le Grigne sono spesso fuori dal muro di nubi che avvolge le Alpi interne, e, anche se sferzate da raffiche oltre i 100 km/h, offrono panorami grandiosi fino agli Appennini.